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martedì 17 marzo 2015

LANDINI CIOE' di Michele Castaldo








LANDINI CIOE' 
di Michele Castaldo



Facciamo subito una necessaria premessa: di fronte al canagliume di destra, di centro e di “sinistra”, sociale, politico, sindacale, giornalistico, porta borsistico ecc., Maurizio Landini si erge come una colonna d’Ercole su di un cumulo di putrida immondizia; non fosse altro perché pone al centro delle questioni il lavoro e i lavoratori di fronte a un attacco senza precedenti nella storia del modo di produzione capitalistico. Poi passiamo ad analizzare le luci e le ombre, le illusioni e la pochezza della sua analisi, l’impotenza delle sue proposte, ma innanzitutto le difficoltà per una ripresa generalizzata di lotte del proletariato a cui il più brillante dei rivoluzionari non potrebbe né saprebbe cosa dire.

La Camusso prende le distanze da Landini!, strombazza "La Repubblica" di Scalfari. Lo crediamo bene, quando la nave affonda il grido d’allarme del comandante, il capitalismo, è: si salvi chi può! Se c’è chi si pone il compito di salvare gli ultimi per salvare con la nave anche i primi, è un irresponsabile. Veniamo al ‘che fare?’ di Landini di fronte al fatto – vero – che la nave tende ad affondare.

La nostra prima impressione è che l’urlo di Landini esprime uno stato d’animo d’assieme, misto di frustrazione e di impotenza, della stragrande maggioranza dei lavoratori, e non solo italiani. Una frustrazione e una impotenza corrispondenti al fatto che di fronte alla crisi generale del modo di produzione capitalistico i lavoratori non sanno come reagire, perché intuiscono che le difficoltà che hanno di fronte sono immense. Poi alcuni poveri di spirito scriveranno che la responsabilità di quanto finora è accaduto è dei vertici sindacali e politici della sinistra di cui Landini faceva e tuttora fa parte, rimuovendo così la responsabilità principe dovuta alla forza di corruzione del capitale. Ma questo è un giudizio che lasciamo, appunto, ai poveri di spirito.

Ora, cosa può esprimere in termini di proposta uno stato d’animo simile? Cerchiamo di capirlo analizzando quello che dice Landini, con una serie di capitoletti, per rendere più fluida e chiara la discussione:


1) Una nuova assemblea costituente, perché l’attuale governo non è stato eletto.

Bene, le assemblee costituenti sorgono solo a seguito di grandi sconvolgimenti sociali; allo stato attuale in Italia c’è solo una grande stagnazione sociale. Non è possibile pertanto anteporre l’effetto alla causa, cioè per una ripresa del movimento di classe la costituzione di un’assemblea costituente.


2) Il sindacato deve trasformarsi profondamente, deve diventare un soggetto politico.

Qui Landini coglie nel segno, nel senso che il sindacato categoriale, intercategoriale e confederale sorse in una fase di crescita dell’accumulazione capitalistica: cresceva l’economia, cresceva la categoria, cresceva la confederazione dei lavoratori. Una nuova lotta di classe non può ripartire allo stesso modo perché si avverte che la condizione dei lavoratori non può più crescere sul piano economico e sociale partendo dalle categorie.


3) Un sindacato nuovo partendo dal basso.

Giusto, ma se deve partire dal basso non può partire dal segretario generale di una categoria, anche se la più importante storicamente per i lavoratori italiani del vecchio ciclo.


4) Mettere insieme diverse associazioni.

Associare chi, cosa, e su quali basi? La semplice volontà antirenziana? È poca cosa.


5) La Fiom sta stravincendo nelle elezioni delle Rsu.

Crediamo profondamente a quel che dice Landini innanzitutto perché riteniamo in buona fede chiunque, salva prova contraria; resta però il fatto politico pesante, cioè la differenza tra il voto e la stagnazione nelle fabbriche dove i lavoratori in questa fase sono atterriti, e non per responsabilità del segretario della Fiom. Dunque il fattore voto può tutt’al più consegnarci uno stato d’animo, per un verso, e una preferenza nei confronti di un sindacato di categoria che negli ultimi anni è stato il meno arrendevole di fronte alla prepotenza padronale, per l’altro verso. Ma le opinioni, si sa, non muovono foglia.


6) Costruire un movimento più che un partito.

No, i movimenti non si costruiscono, essi si sviluppano per la forza di reazione dei lavoratori che insorgono, se necessario, anche contro gli stessi sindacati nei quali sono iscritti o addirittura organizzati, come insegna Melfi di alcuni anni fa. Dunque se ci si pone sul terreno della costruzione di un movimento in assenza di mobilitazioni, si capovolgono i termini della questione e si arriva a proporre soluzioni, come i referendum, che non rappresentano in alcun modo lo strumento per cambiare i rapporti di forza con l’avversario o il nemico di classe, a seconda dei casi.


7) Referendum abrogativi.

No, Landini dovrebbe sapere che lo statuto dei diritti dei lavoratori fu il risultato di un ciclo di lotte degli operai dell’industria. Quello statuto è stato totalmente stracciato e non può essere riconquistato con il voto nella cabina elettorale. Henry Kissinger – che di cose se ne intendeva – quando la stampa americana lo criticava per le continue concessioni nei confronti dei vietnamiti, rispose: non si può conquistare al tavolo delle trattative quel che si perde sul campo di battaglia. I lavoratori italiani, e non solo, in questo momento sono assenti dalla battaglia.


8) Non è sufficiente fare solo gli scioperi.

E’ vero ed è giusto, ma innanzitutto vanno fatti quelli e se non si fanno, come in questo momento, vanno capite le ragioni piuttosto che proporre altri strumenti in aggiunta.


9) Un mondo che non c’è più.

Giusto, ma allora tocca capire innanzitutto perché non c’è più e qual è la natura del nuovo mondo. Bisogna farlo assolutamente se non si vuole essere colti di sorpresa dal risveglio improvviso di un nuovo movimento di classe che inevitabilmente arriverà.


10) Sovranità nazionale.

Landini denuncia l’evanescenza della sovranità nazionale di fronte ai diktat della Banca centrale europea, il che è vero, ma non la si può ripristinare con decisioni nazionali. Il modo di produzione capitalistico è arrivato ad una svolta definitiva di fronte alla quale nessuna nazione è in grado di poter fare da sola, i vincoli valgono per tutti e sono tutti contro i lavoratori. Posta in questo modo la questione è illusorio pensare che si possa tornare allo status quo ante, a una presunta sovranità nazionale e, se Landini lo fa, sbaglia, perché illude i lavoratori piuttosto che innervosire i capitalisti, la Confindustria, il governo ecc.


11) Costruire un consenso sociale nel paese.

A nostra memoria l’unico modo per costruire un consenso sociale non è richiamandosi alla commiserazione per i più deboli, ma cercando di costruire con la lotta una forza capace di attrarre piuttosto che essere pietiti perché poveri e attaccati. I fessi sono attratti dalla debolezza.


12) La maggioranza di questo paese non va a votare.

E’ vero, ma siamo ancora una volta alla constatazione del fatto piuttosto che alla sua spiegazione. Neanche negli Stati Uniti c’è mai stata una alta percentuale di votanti. Negli anni sessanta e settanta in Italia si andava a votare in massa, perché tutte le classi sociali intuivano che c’erano spazi economici e politici da conquistare e si attivizzavano. Oggi le masse – in modo particolare quelle proletarie del ciclo passato – intuiscono che c’è poco da strappare a quel livello e disertano il voto. Chi si è attivizzato – come gli elettori del M5S – lo ha fatto per rabbia e per un’illusione, trattandosi di nuove generazioni acculturate.


13) Dal sindacale al politico.

Nella lotta di classe tutto e sempre parte dal piano sindacale per arrivare sul terreno politico, cioè dei rapporti di forza. L’attuale rapporto di forza, cioè della capacità di contrattare collettivamente la propria merce-forza lavoro, è ai minimi storici, per non dire zero. Questo va detto chiaro e forte ai lavoratori: non siamo in grado di costruire un nuovo rapporto di forza senza una vostra mobilitazione generale. Con i referendum si consegna invece una illusione ulteriore ai lavoratori che non aiuta la presa d’atto delle vere difficoltà che stanno attraversando.


14) Emergency e associazioni del volontariato.

Ancora una volta Landini si infila in un vicolo cieco senza vie di uscita e con molte incognite. Stiamo ancora una volta alla buona fede ma vogliamo qui ricordare che molte organizzazioni cosiddette del volontariato, senza fine di lucro, Ong e via di questo passo, sono sorte sull’onda delle lotte della classe operaia degli anni 70. Con il riflusso operaio iniziato con la sconfitta alla Mirafiori del 1980 gli operai sono arretrati e quelle organizzazioni sono avanzate e si sono anzi moltiplicate perché alimentate lautamente dal sottobosco dei vari governi che si sono succeduti negli ultimi 35 anni. Per dare solo un’idea di quel che diciamo basta leggere un bel libro di Valentina Furlanetto, L’industria della carità, pubblicato nel 2013, dove possiamo leggere: «[…] ma se il governo di Karzai decidesse di finanziare un nostro progetto io lo accetterei. Accetterei anche dei soldi da Silvio Berlusconi come privato cittadino». Chi è l’autrice di queste parole? Cecilia Strada, presidente di Emergency e figlia di Gino Strada.

Se ci si mette su un certo terreno, costruendo certe alleanze, senza una propria prioritaria autonomia, ci si pone alla coda e al servizio di quei compagni di strada. Se si decide di raccogliere fondi, magari anche statali, per un servizio sanitario suppletivo sul territorio, si va a fare un’impresa capitalistica, meritoria finché si vuole, lo fa già la chiesa cattolica e altre congregazioni, ma si sta su un altro terreno rispetto alla ripresa di una generale mobilitazione dei lavoratori per invertire l’attuale rapporto di forza. Il 21 marzo alla manifestazione di Bologna contro tutte le mafie indetta da Libera di don Ciotti? Va bene tutto, purché ci si cominci ad attestare su di una resistenza complessiva di tutto il mondo del lavoro piuttosto che a rimorchio delle altre classi.


15) Gramsci e Panzieri.

Ci pare di cogliere nelle varie argomentazioni di Landini un’eco delle posizioni teoriche di Gramsci sulle “casematte”, cioè la conquista del consenso sul territorio come esempio che fa da moltiplicatore; e di Panzieri sull’operaismo, cioè del comportamento politico del singolo operaio avulso dal suo ambiente lavorativo. Si tratta di concezioni dignitosissime, ma non materialistiche e come tali non possono in alcun modo aiutarci a superare le difficoltà che sono ben più profonde di come le immagina Landini.

Conclusione : 28 marzo a piazza del Popolo!.

Landini indica nella manifestazione di sabato pomeriggio, in una giornata primaverile, col tepore della città de La grande bellezza un primo momento di visibilità di un nuovo movimento. Bando alle chiacchiere: E’ necessario innanzitutto esserci! Può andar bene tutto, anche la manifestazione fatta alla vigilia della domenica delle Palme, come segnale a Papa Francesco che appare agli occhi dei più come un grande innovatore e che mostra comprensione per i più poveri, i più deboli, fino a comprendere addirittura certi gesti violenti dell’estremismo islamico. Resta però il punto nodale: o la lotta, e poi si contratta, o si resta al palo; o gli interessi proletari e quelli delle altre classi a essi subordinati oppure ci si accoda a fare da utili idioti degli interessi di altre classi.

Storicamente, come movimento dei lavoratori, abbiamo sempre tentato con strumenti come il mutuo soccorso, le cooperative, l’autogestione e similari e siamo sempre finiti impigliati nella fittissima rete del modo di produzione capitalistico che ci ha assorbito e neutralizzati. Si tratta di esperienze non più riproponibili, specie in Occidente. Lo scontro di quest’epoca storica non è tra liberismo e riformismo, ma tra chi difende, in un modo o nell’altro, il modo di produzione capitalistico in crisi e chi lo combatte sapendo che la sua crisi, dell’intero sistema, è irreversibile.

Quanto a certe fantasiose esperienze che si sono recentemente costituite in Europa, esse hanno la durata dall’alba al tramonto, come ha dovuto sperimentare nel volgere di pochi mesi l’eccentrico Varoufakis.






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