ARCHIVIO TEMATICO (in allestimento. Pronto l'indice dei redattori)

lunedì 30 novembre 2015

SINISTRA: CHE (COSA SI POTREBBE) FARE di Maurizio Zaffarano


Vignetta del Maestro Pietro Vanessi PV

SINISTRA: CHE (COSA SI POTREBBE) FARE
di Maurizio Zaffarano



Vi sono due parole che, a proposito di Sinistra, sono scomparse dal mio personale vocabolario: Stupore e Unità.
Lo Stupore per la totale scomparsa della Sinistra dal Paese che aveva il più grande Partito Comunista dell'Occidente e contemporaneamente un Partito Socialista che non era la ridicola formazione politica di Nencini ma quella di Nenni, Lombardi, Pertini oltre ad una numericamente piccola ma politicamente assai significativa area extra-parlamentare. Allo stupore, cioè alla rabbiosa incredulità, si è sostituita la razionale rassegnazione: oggi la Sinistra è tramontata dall'orizzonte collettivo, non solo e non tanto come Partito ma come valori e sentimenti condivisi, come coscienza e cultura di massa, come senso comune diffuso nel popolo. Da questa elementare consapevolezza bisogna ripartire, se sarà possibile ripartire.

L'Unità delle forze della Sinistra radicale quale premessa indispensabile – mettendo insieme quel poco di apparati, di militanza, di risorse che ancora esiste – per la formazione di un soggetto politico con il minimo di forza necessario a non essere condannato alla totale marginalità e per potersi candidare ad essere riconosciuto quale Alternativa di sistema. 
Il percorso degli ultimi anni - tra cartelli elettorali last minute, Rifondazione, SEL, benecomunisti, cosiddetta sinistra PD - ci ha mostrato una misera e meschina guerra di posizione di pseudo generali senza esercito per occupare posizioni – leadership e poltrone – nel nuovo ipotetico soggetto politico. 
L'ultima iniziativa elettorale unitaria è stata l'Altra Europa con Tsipras ad inizio 2014 ed ad oggi, mentre infuria la feroce offensiva reazionaria di Renzi, siamo ancora "al carissimo amico": nessuna organizzazione stabile, nessuna strategia politica e comunicativa, nessun chiarimento definitivo riguardo ad un elemento essenziale quale il posizionamento nei confronti del PD, nessuna capacità di calarsi nella realtà sociale imitando l'unica cosa buona che ci ha lasciato Syriza (l'organizzazione mutualistica di Solidarity For All). Ciò che ci viene proposto continua ad essere il progetto (nostalgico del Centrosinistra) di SEL allargata e patetiche e ambigue riproposizioni di cartelli elettorali usa e getta i cui manifesti fondativi riescono persino nell'impresa di non nominare mai le parole Socialismo e Comunismo. 
E' stato detto, e oggi lo condivido totalmente, che la Sinistra potrà rinascere non attraverso l'unità di pezzi di ceto politico – come se esistesse un popolo di Sinistra, maggioranza nel Paese, che non aspetta altro di ritrovare una guida per muoversi e sollevarsi – ma quando emergerà un'iniziativa politica, originale ed autonoma, che sarà in grado di mettersi in sintonia con i bisogni e i sentimenti migliori delle masse popolari. Maurizio Landini e Stefano Rodotà lanciando il progetto di Coalizione Sociale sembravano aver capito perfettamente tutto questo: peraltro anche loro sono ancora fermi alle parole, agli annunci, agli appelli, alle richieste di mobilitazione senza essere riusciti a penetrare la carne viva della Società.

sabato 28 novembre 2015

PER UNA RETE ANTILIBERISTA E ANTICAPITALISTA

 

Un’ampia sintesi dell’appello che convoca un primo appuntamento nazionale a Roma il 13 dicembre 2015


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Ci sono momenti della lotta di classe di un paese che hanno ripercussioni complessive sul terreno internazionale. La crisi greca è uno di questi momenti fondamentali.
Quella vicenda mette in luce tutte le difficoltà, ma anche la necessità della lotta affermare in alternativa al capitalismo una reale democrazia, attraverso forme di contropotere e di controllo popolare su politica, economia, finanza e di un fronte anti-austerità in tutta Europa.
L’Unione Europea non è l’Europa dei diritti, della giustizia sociale, ma è l’Europa del grande capitale, è l’Europa fortezza contro gli immigrati.
Con i suoi trattati e la troika, l’Ue si dimostra irriformabile; per sconfiggere le politiche dell’austerità, il giogo del debito, occorre avere il coraggio di operare delle rotture profonde con gli assetti sociali ed economici sia su scala europea che in quella nazionale.
L’entusiasmo in Italia per la seconda affermazione elettorale di Syriza è fuorviante. Con una fortissima astensione, a Tsipras è stato riconsegnato un governo che ha come funzione la gestione del terzo memorandum sotto il controllo diretto dei nuovi emissari Ue. Per questo le valutazioni su questo drammatico scontro di classe sono una cartina di tornasole anche dei reali orientamenti di fondo delle diverse forze della sinistra italiana che oggi si aggrappano alla nuova Syriza e a Tsipras per lanciare un soggetto unitario che altro non sarà se non un’unità verticistica, politicista, rinchiusa nel perimetro del centro-sinistra.
L’austerità non si può governare da sinistra. Bisogna superare il neoliberismo e costruire una prospettiva strategica alternativa al capitalismo. La battuta d’arresto subìta dalle forze di sinistra in Grecia costituisce una sconfitta per tutte le classi lavoratrici in Europa e coinvolge tutte le forze anticapitaliste.
Nuovi possibili uragani di crisi si profilano in Europa e nel quadro internazionale. Le migrazioni e l’esodo di massa di milioni di persone sono il frutto concreto della divisione internazionale del lavoro e delle guerre di depredazione da parte dei grandi paesi capitalistici in Africa, Asia, Medio Oriente. Per questo siamo convinti che serve un nuovo internazionalismo che si proponga di unire ciò che il capitale divide.
Dopo la Grecia, l’Italia è il laboratorio avanzato delle politiche delle classi dominanti in Europa. A Renzi è stato assegnato il compito di condurre fino in fondo un processo di controriforma finalizzato a demolire tutte le conquiste economiche e sociali del movimento operaio del Novecento e a svuotare di contenuto la democrazia parlamentare, stravolgendo la Costituzione nata dalla Resistenza.
Per questo pensiamo che il compito principale sia oggi quello di costruire le resistenze e le lotte contro questo governo dell’austerità. Riteniamo necessario mobilitare la classe lavoratrice nelle sue diverse articolazioni, compresi il mondo dei precari, dei disoccupati e dei giovani, e i diversi movimenti sociali per cacciare Renzi e riconquistare dignità, diritti, futuro. Più che mai è necessario, per qualsiasi schieramento sociale e politico che voglia contrastare le politiche dell’austerità, avere una totale autonomia e contrapposizione al PD, sia su scala nazionale che su quella locale.
I vertici dei sindacati confederali, anche quello della CGIL, sono stati il veicolo più efficace per far penetrare tra i lavoratori avanzati tutti i luoghi comuni dell’ ideologia liberista “temperata”. Le realtà di classe interne alle confederazioni e il sindacalismo di base devono provare a superare diffidenze e contrapposizioni reciproche e trovare la strada dell’unità d’azione per una pratica intersindacale a partire dai luoghi di lavoro nella prospettiva dell’autorganizzazione di nuove forme consiliari.
L’obiettivo diventa quello di costruire un ampio fronte, una coalizione o forum delle opposizioni, sociali, politiche e dei variegati movimenti sociali, studenteschi, ecologisti, femministi: poiché ci sono comuni interessi e evidenti convergenze tra questi soggetti. Per opporsi al ricatto padronale è fondamentale la costruzione della risposta unitaria, democratica e partecipata di tutti i soggetti sociali, ma sul terreno della lotta al neoliberismo e al capitalismo.
Combattiamo ogni forma di razzismo ogni manifestazione di fascismo e xenofobia. L’unico modo per rispondere al clima di paura è quello di costruire la mobilitazione attiva e solidale di lavoratori italiani e stranieri per il diritto alla casa, al lavoro, al cibo, all’istruzione ed alla sanità pubblica, ad un ambiente sano, alla cittadinanza piena; all’accoglienza e al diritto di asilo politico riconosciuto a tutti coloro che fuggono da guerre, persecuzioni, miseria, disastri ambientali.
Assistiamo all’abbandono del percorso emancipatorio, compiuto dal movimento femminista, attraverso l’imposizione del ritorno alla “famiglia”. Si afferma subdolamente una sorta di “welfare materno”: a fronte di questa regressione si affermano, da una parte, un familismo conservatore attraverso l’enfatizzazione della ‘comunità’ in cui restano invisibili i rapporti di potere tra generi e generazioni, dall’altra parte un’assunzione della “femminilità” in una visione paternalistica di cooptazione della soggettività femminile. Anche per le donne il nesso condizione/coscienza passa per la soggettivazione e la lotta al moderno nesso patriarcato/capitalismo invasivo delle vite in particolare delle giovani donne.
E’ necessario unire le lotte in difesa dell’ambiente a quelle legate al mondo del lavoro, poiché rappresentano i due principali fronti dell’opera distruttiva del capitalismo.
E’ necessario che si costruisca un rapporto politico tra tutte/i coloro che, a partire da contenuti anti-austerità e dall’internità al conflitto sociale, vogliano costruire dialogo e coordinamento. Questa ricerca unitaria non dovrà rimettere in discussione le proprie appartenenze politiche, sociali o sindacali, ma contribuire a costruire campagne comuni, iniziative e mobilitazioni in una prospettiva anticapitalista.
Discutiamo e verifichiamo quali forme di Rete antiliberista e anticapitalista sia possibile oggi costruire, quali ne siano i contenuti, le espressioni territoriali e locali.
Per questi motivi pensiamo che l’appello debba rimanere in una forma aperta, emendabile, con la possibilità di modificare ed arricchire i contenuti con nuove proposte e analisi.
Per aderire: antiliberista.anticapitalista@gmail.com, indicando nome, cognome, provenienza.

DALL'ANNO ZERO DELL'IRPINIA di Lucio Garofalo






DALL'ANNO ZERO DELL'IRPINIA
di Lucio Garofalo




Nei giorni scorsi non sono mancate numerose commemorazioni ufficiali per celebrare il 35° anniversario del terremoto che il 23 novembre del 1980 sconquassò il Sud Italia con un’intensità che superò il 10° grado della scala Mercalli ed una magnitudo pari a 6,9 della scala Richter. Una scossa durata ben 90 secondi fece tremare tutto l’Appennino meridionale, radendo al suolo decine di paesi dell’Irpinia e della Lucania. 

A 35 anni di distanza il ricordo di quella tragedia ha suscitato ancora emozioni di sgomento e cordoglio, un profondo senso di angoscia, misto a dolore e rabbia. Fu in effetti il più catastrofico cataclisma che ha investito il Sud Italia nel secondo dopoguerra, un'immane sciagura provocata non soltanto dalla furia degli elementi naturali, bensì pure da fattori causali di ordine storico-politico, economico, antropico-culturale. 
Nei giorni seguenti al sisma, rammento che molti si spinsero ad ipotizzare agghiaccianti responsabilità delle istituzioni politiche, polemizzando sui ritardi, sulle lentezze e sulle carenze nell’opera dei soccorsi, lanciando una serie di accuse che teorizzavano una vera e propria “strage di Stato”.

 La furibonda violenza tellurica si abbatté in modo implacabile sulle nostre comunità, ma in seguito la voracità degli avvoltoi e degli sciacalli completò lo scempio e la devastazione del territorio. Il ritorno ad uno stato di “normalità” ha costituito un processo assai lento, che ha imposto decenni nei quali le famiglie hanno cresciuto i figli in gelidi container con le pareti rivestite d’amianto. 

lunedì 23 novembre 2015

RICORDANDO IL TERREMOTO DELL'IRPINIA di Lucio Garofalo




RICORDANDO IL TERREMOTO DELL'IRPINIA
(23 Nov. 1980-23 Nov. 2015)
di Lucio Garofalo




Quest'anno ricorre il 35° anniversario del terremoto del 1980. All'epoca, io ero un adolescente ingenuo e spensierato. Stavo seguendo in TV un incontro della seria A di calcio in un bar del mio paese, quando si verificò una delle catastrofi che più si sono impresse nella memoria storica e nell'immaginario collettivo delle popolazioni locali. 
Oggi ci siamo in qualche misura ridotti a rimpiangere e idealizzare il tempo vissuto prima del maledetto 23 novembre 1980. 

Un giorno orribile che, per una sorta di strano ed automatico meccanismo di rimozione inconscia, si tende quasi a derubricare dal calendario. Ma per le popolazioni che subirono la furiosa e devastante forza tellurica della Natura (non senza una correità politica e morale ascrivibile agli esseri umani), è una data impregnata di ricordi strazianti, di risvolti psicologici ed emotivi che hanno segnato intere esistenze personali. 

Al terremoto seguì una fase di lunga emergenza e di ricostruzione, attraversata da scelte politiche controverse assunte dalle classi dirigenti locali e nazionali. 

Una data spartiacque, assai simbolica dal punto di vista antropologico. Nel corso degli anni è intervenuta una brusca e repentina accelerazione storica che ha visto deteriorarsi i rapporti interpersonali, con effetti di abbrutimento spirituale ed evidenti ripercussioni negative sul terreno dei comportamenti, dei gesti e dei sentimenti nella sfera esistenziale quotidiana. 
Si è innescato un fenomeno di imbarbarimento e regressione civile, una deriva che ha dannato le nostre comunità ad un destino di involuzione sociale. 
Tale effetto di brutalizzazione di massa ha investito pure il funzionamento della macchina amministrativa, avvinta da una spirale di faziosità, cinismo e spregiudicatezza morale che non si erano riscontrate in precedenti fasi storiche. Abbiamo assistito a faide e a rese dei conti tra bande rivali per contendersi il controllo degli affari e l'occupazione sistematica degli scranni istituzionali. Dal branco di lupi famelici sono emersi gli esemplari più feroci, che hanno sopraffatto gli altri grazie ai mezzi più disonesti. Tutto ciò alimenta sentimenti di rimpianto ed una spinta all'idealizzazione dei "bei tempi", delineando una visione immaginaria e idilliaca della vita "prima del terremoto". 

UN SIMBOLO, UNA STORIA, UNA MISSIONE di Carlo Felici


UN SIMBOLO, UNA STORIA, UNA MISSIONE
di Carlo Felici


C'era una volta un simbolo che ha accompagnato la storia del Novecento e, in Italia ha sempre contraddistinto le lotte dei lavoratori, le loro conquiste in campo sociale e civile, la difesa della democrazia, sin dalla nascita: con la Resistenza e la Costituzione.
Quel simbolo fu adottato, per la prima volta, dal Partito Socialista che, anche grazie ad esso, nel 1919, raggiunse il massimo dei consensi mai raggiunti in Italia.
Purtroppo ciò non bastò ad arginare la reazione clerical-fascista, anzi, la scatenò fino al punto che alla fine venne vietato, come quello di ogni altro simbolo di partito, e come la democrazia stessa che, in Italia, venne sepolta da venti anni di dittatura e da tre guerre rovinose, l'ultima delle quali ridusse il nostro Paese in macerie, portandoci ad avere una sovranità limitatissima.
Ciò che ci impedì di metterci seduti e di farci dettare la Costituzione da chi, pur liberandola, invase l'Italia, fu la lotta di liberazione: la Resistenza fatta, nella maggior parte dei casi, anche in nome di quel simbolo, da brigate partigiane che pagarono il tributo più alto, in termini di sangue e di morti, per la riconquista della libertà.

sabato 21 novembre 2015

PARIGI 2015: UN (SECONDO) PECCATO DI OMISSIONE? di Norberto Fragiacomo




PARIGI 2015: 
UN (SECONDO) PECCATO DI OMISSIONE?
di
Norberto Fragiacomo


Sui fatti di Parigi si sono espressi tutti, e hanno scritto davvero di tutto: eviterò pertanto insulsi copia-incolla, limitandomi a qualche personalissima riflessione, che non vanta pretese di originalità.

Su un punto mi dichiaro d’accordo col piagnucoloso mainstream giornalistico: si è trattato di un crimine raccapricciante, che ci lascia sgomenti. Aggiungo: al pari dell’attentato contro i vacanzieri russi, della strage di Beirut, di quelle che - come corollari dell’esportazione della “democrazia” a stelle e strisce - insanguinano con cadenza quasi giornaliera il Vicino Oriente e mezzo mondo. Affermazione tanto ovvia quanto contraddetta dall’esperienza: nessuno ha proposto di cantare l’inno russo (tra l’altro, il più bello del mondo, Internazionale a parte) dopo l’esplosione dell’Airbus, nessun Consiglio regionale, comunale o circoscrizionale ha esposto il vessillo libanese in omaggio a una cinquantina di vittime senza nome. Le coccarde bianche rosse e blu su FB e il bandierone che, scosso da raffiche di bora a 100, immagino agitarsi in piazza Oberdan ci raccontano un’ovvia, indigeribile verità: tutti i morti sono uguali, ma alcuni sono più morti degli altri.

giovedì 19 novembre 2015

NEMICI INTERNI ED ESTERNI di Lucio Garofalo





NEMICI INTERNI ED ESTERNI
di Lucio Garofalo


Al di là delle questioni di ordine geopolitico internazionale, che sono senza dubbio serie, nelle ultime ore sto spostando la mia attenzione sul tema, non meno importante, delle dinamiche e dei processi sociali interni, ossia sul quadro dei conflitti di classe e dei rapporti di forza intestini al blocco politico borghese, che in simili casi trova giovamento e si ricompatta immediatamente. 

Insomma, è palese che il clima di panico ed inquietudini generato dal terrorismo, giustifica l'invocazione di una maggiore sicurezza sociale da parte dell'opinione pubblica (ammaestrata come non mai) e da parte di quelle forze politiche che giocano e speculano sulla pelle della gente e della democrazia residua, che in tal modo va a farsi benedire definitivamente. 
Si stabilisce così, una sorta di compromesso politico interno, in base al quale sull'altare di una sicurezza, solo illusoria, vengono sacrificate le libertà che ancora ci restano sulla carta. 

Ed ecco che grandi capitali europee, come Parigi e Roma, vengono ad essere presidiate militarmente, in uno stato di belligeranza interna. Tra poco saranno revocati i diritti costituzionali allo sciopero ed alla libera espressione del pensiero.


martedì 17 novembre 2015

SOCIALISMO O BARBARIE di Lucio Garofalo




SOCIALISMO O BARBARIE
di Lucio Garofalo





Il terrorismo islamico è solo una forma di depistaggio. 
È proprio una curiosa circostanza, niente affatto casuale, quella in cui uno degli attentatori di Parigi porti addosso un prezioso documento personale come il passaporto (guarda caso, di nazionalità siriana). Una strana "circostanza" che somiglia molto ad un atto di depistaggio. 

Siamo giunti al paradosso che chiunque si sforzi di ragionare liberamente (e criticamente) con la propria testa è accusato di "fantasticare". 
Ma le vere fantasie sono le narrazioni propagandistiche che negli ultimi anni hanno voluto farci credere: 
1) che l'Iraq di Saddam Hussein disponesse di armi di sterminio e distruzione di massa (non si sono mai visti questi famigerati arsenali bellici dopo l'invasione del territorio iracheno); 
2) che serviva "esportare la democrazia", piuttosto che la civiltà occidentale (a base di torture, violenze e massacri di ogni tipo); 
3) che l'Iraq post Saddam Hussein fosse finalmente un paese "pacificato e normalizzato" dopo due guerre combattute nel Golfo Persico (rispettivamente nel 1991 e nel 2003), mentre la realtà denota rigurgiti ulteriori di fanatismo ed un'aspra recrudescenza delle guerre intestine e fratricide che ormai dilaniano il mondo musulmano: sciiti contro sunniti, sunniti contro altre disparate (e disperate) correnti e fazioni "coraniche"; e via discorrendo. 

Ora si pretende che si creda alle presunte "cellule islamiste impazzite", o ad una "nuova strategia" dell'ISIS. 
Ma chi le ha allevate tali cellule islamiste? 
Chi le arma e le appoggia? 
Chi le finanzia e le foraggia da anni? 
Chi ha partorito ed alimentato, negli ultimi lustri, un clima assai propizio ed un terreno fertile all'espansione del cosiddetto "integralismo islamico"? 
Chi ha addestrato, in Afghanistan, le prime cellule di al Qaeda in funzione anti-sovietica ed oggi le milizie dell'ISIS in funzione anti-russa? 

La CIA è, senza dubbio, il più sofisticato ed avanzato "cervello" strategico ed organizzativo dell'ingerenza eversiva ed imperialista statunitense. Non solo in Medio Oriente, ma in America Latina, in Africa, in Asia e pure in Europa (chi ha progettato ed applicato la "strategia della tensione", in Italia, negli anni '70?). 

Ma il problema è che le analisi servono a ben poco se non si prova a scardinare e sbloccare politicamente una situazione di immobilismo che pare scaturire da un senso di impotenza che attanaglia un po' tutti. 
In effetti, si respira un'atmosfera cupa da "fine impero". 

È probabile che ci troviamo in una fase di transizione storica. Rammento le illuminanti parole di Rosa Luxemburg per indicare il bivio che l'umanità rischia di imboccare in simili circostanze: "socialismo o barbarie". Con la prima e la seconda guerra mondiale e l'avvento dei regimi totalitari del nazifascismo, l'umanità ha varcato la soglia della barbarie. Dovremmo imparare da queste tragiche esperienze storiche. 
Gramsci diceva che la storia è maestra, ma non ha scolari. L'umanità si dimostra una pessima allieva.



lunedì 16 novembre 2015

APPELLO ANTILIBERISTA E ANTICAPITALISTA




Per aderire, scrivere un’e-mail a: antiliberista.anticapitalista@gmail.com, indicando nome,cognomeprovenienza



Appello



Ci sono momenti della lotta di classe di un Paese che hanno ripercussioni politiche complessive sul terreno internazionale. La crisi greca con il terribile disastro sociale prodotto dalle politiche dell’austerità e l’accettazione del terzo memorandum da parte del governo di Syriza, costituisce uno di questi momenti fondamentali.

domenica 15 novembre 2015

NUOVA GUERRA GLOBALE PERMANENTE di Lucio Garofalo






NUOVA GUERRA GLOBALE PERMANENTE
di Lucio Garofalo



C'è un filo rosso (di sangue) che lega i feroci attentati di Parigi, la sanguinosa strage di Beirut, in Libano, l'abbattimento dell'aereo russo di oltre una settimana fa: si tratta, molto probabilmente, di ritorsioni terroristiche contro chi ha scelto di combattere l'Isis. 

In primis, la Russia (ovviamente, siriani e curdi, che subiscono ogni giorno le atroci violenze dei "tagliagole"), ma anche le milizie libanesi di Hezbollah (l'attentato si è verificato in una zona della periferia meridionale di Beirut, in una roccaforte controllata dalle milizie sciite di Hezbollah), nonché la Francia, che aveva da poco tempo iniziato a bombardare le postazioni dell'Isis. 

Mi sforzo di individuare un filo logico di connessione tra diversi episodi sanguinosi, proprio per scoprire la regia occulta che fa capo al "cervello" strategico ed organizzativo che ha partorito un mostro come l'Isis. 
Guarda caso, chi subisce gli attentati è in prima linea a combattere l'Isis. 

CHE PROSPETTIVA DI GOVERNO PER LE SINISTRE PORTOGHESI? di Riccardo Achilli






CHE PROSPETTIVA DI GOVERNO PER LE SINISTRE PORTOGHESI?
di Riccardo Achilli




Le sinistre portoghesi stanno dando, con la mozione di censura che ha fatto cadere il Governo di minoranza di Passos Coelho, una speranza ad ampi settori della sinistra. Spiace doversi mostrare bastian contrari, ma l’impressione è che tali speranze non siano sempre del tutto ben riposte. Purtroppo, un conto, molto facile, è identificare un comune nemico, un conto, ben più difficile, è saper proporre una alternativa di governo solida e in grado di affrontare i temi strutturali di fondo.

Nei documenti programmatici sottoscritti fra socialisti, Bloco de Esquerda e comunisti (visibili su http://www.ps.pt/ ) non si enuncia un programma di governo vero e proprio, ma soltanto una serie di obiettivi auspicabili (fine delle privatizzazioni, aumento dei salari, lotta alla precarietà, riforma fiscale più progressiva ecc. ecc.) premettendo che esistono differenze rilevanti, di tipo strutturale, nell'analisi e nel percorso che ogni partito ritiene di dover percorrere per raggiungere quegli obiettivi. 

Nemmeno una parola che una sui due temi fondamentali, senza i quali gli auspici rimangono tali, ovvero il rapporto con la Trojka e la questione del debito pubblico. Non a caso: sono esattamente i due temi sui quali i tre partiti della sinistra portoghese si dividono profondamente. 
Senza un comune sentire su queste tematiche, accettando come inevitabili le differenze strutturali, nel migliore dei casi si formerà un Governo che si schianterà ai primi "niet" della Trojka, oppure che avrà una evoluzione "greca", finendo cioè per accettare nuove misure di austerità (certo i socialisti portoghesi non sarebbero disposti ad uscire dal Pse per sostenere posizioni anche solo blandamente anti-euro). 

sabato 14 novembre 2015

LA BARBARIE IMPERIALISTA CREA QUELLA DEL TERRORISMO



 

LA BARBARIE IMPERIALISTA CREA QUELLA DEL TERRORISMO 


Comunicato del Nouveau Parti Anticapitaliste 



 Gli orribili attentati che hanno avuto luogo venerdì sera a Parigi, con almeno 120 morti, centinaia di feriti, quella violenza cieca, suscitano rivolta e indignazione. l’NPA condivide questi sentimenti ed esprime solidarietà alle vittime e ai loro parenti. E’ un dramma tanto più rivoltante in quanto colpisce vittime innocenti, con gli attentati rivolti contro la popolazione.

 Questa barbarie abietta nel centro di Parigi risponde alla violenza altrettanto cieca e ancora più omicida dei bombardamenti perpetrati dall’aviazione francese in Siria decisi da François Hollande e dal suo governo.

Si tratta di bombardamenti presentati come contro lo stato islamico, i terroristi jahadisti, ma, nei fatti, ancor più dopo i bombardamenti russi, proteggono il regime del principale responsabile del martirio del popolo siriano, il dittatore Assad.

E anche là è la popolazione civile ad essere la prima vittima, condannata com’è a cercare di sopravvivere sotto il terrore o fuggire a rischio della propria vita.

La barbarie imperialista e la barbarie islamista si nutrono a vicenda. E questo per il controllo delle fonti di approvvigionamento del petrolio.

In un penoso intervento, Hollande si è commosso in diretta e ha farfugliato qualche parola sulla Repubblica. Lui, che gioca alla guerra e porta un’immensa responsabilità in questo nuovo dramma, reclama “fiducia”. Ha decretato lo stato d’emergenza in tutto il territorio, pensando che la risposta da dare era quella di calpestare le libertà fondamentali. E’ stato immediatamente sostenuto da Sarkozy. Le autorità politiche possono così ormai proibire riunioni pubbliche e controllare la stampa.

Ancora una volta, i principali responsabili di questa esplosione di violenza barbara fanno appello all’unità nazionale. Cercano di rivolgere una situazione drammatica a loro vantaggio, per soffocare l’indignazione e la rivolta. E per fare ciò trovano un capro espiatorio, i musulmani. Noi rifiutiamo ogni unità nazionale con i responsabili delle guerre, la borghesia, Hollande, Sarkozy e Le Pen. Denunciamo il razzismo che lo stato distilla nel nome dei presunti “valori della repubblica” nello stesso momento in cui, con il pretesto della lotta contro il terrorismo, sono i diritti democratici ad essere minacciati. Chiediamo la revoca dello stato d’emergenza.

 La sola risposta alle guerre e al terrorismo è l’unità dei lavoratori e dei popoli, al di là delle rispettive origini, del colore della pelle, della religione, al di là delle frontiere, per battersi insieme contro chi vuole farli tacere, sottometterli, per farla finita con questo sistema capitalista che crea la barbarie.

 Per mettere fine al terrorismo, bisogna mettere fine alle guerre imperialiste che puntano a perpetuare il saccheggio delle ricchezze dei popoli dominati dalle multinazionali, imporre il ritiro delle truppe francesi da tutti i paesi in cui sono presenti, in particolare in Siria, in Iraq, in Africa. dal sito Sinistra Anticapitalista



dal sito Sinistra Anticapitalista






CHE PROSPETTIVA DI GOVERNO PER LE SINISTRE PORTOGHESI? di Riccardo Achilli





CHE PROSPETTIVA DI GOVERNO PER LE SINISTRE PORTOGHESI?
di Riccardo Achilli



Le sinistre portoghesi stanno dando, con la mozione di censura che ha fatto cadere il Governo di minoranza di Passos Coelho, una speranza ad ampi settori della sinistra. Spiace doversi mostrare bastian contrari, ma l’impressione è che tali speranze non siano sempre del tutto ben riposte. 

Purtroppo, un conto, molto facile, è identificare un comune nemico, un conto, ben più difficile, è saper proporre una alternativa di governo solida e in grado di affrontare i temi strutturali di fondo.

Nei documenti programmatici sottoscritti fra socialisti, Bloco de Esquerda e comunisti (visibili su http://www.ps.pt/ ) non si enuncia un programma di governo vero e proprio, ma soltanto una serie di obiettivi auspicabili (fine delle privatizzazioni, aumento dei salari, lotta alla precarietà, riforma fiscale più progressiva ecc. ecc.) premettendo che esistono differenze rilevanti, di tipo strutturale, nell'analisi e nel percorso che ogni partito ritiene di dover percorrere per raggiungere quegli obiettivi. Nemmeno una parola che una sui due temi fondamentali, senza i quali gli auspici rimangono tali, ovvero il rapporto con la Trojka e la questione del debito pubblico. Non a caso: sono esattamente i due temi sui quali i tre partiti della sinistra portoghese si dividono profondamente. Senza un comune sentire su queste tematiche, accettando come inevitabili le differenze strutturali, nel migliore dei casi si formerà un Governo che si schianterà ai primi "niet" della Trojka, oppure che avrà una evoluzione "greca", finendo cioè per accettare nuove misure di austerità (certo i socialisti portoghesi non sarebbero disposti ad uscire dal Pse per sostenere posizioni anche solo blandamente anti-euro). Già oggi, in una intervista ad Rtp, il candidato socialista al Ministero delle Finanze, Mario Centeno, chiarisce che si cercherà di attutire l’austerità rimanendo, però, dentro i patti sottoscritti con l’Europa. Come questo sia possibile, senza finire per fare una austerità appena mitigata da qualche decimale di flessibilità, come si sta facendo in Italia, e senza scontrarsi con gli altri alleati di sinistra in un eventuale governo rosso, non è dato sapere né capire.

mercoledì 11 novembre 2015

DA DOVE RIPARTIRE COME SOCIALISTI di Marco Zanier






DA DOVE RIPARTIRE COME SOCIALISTI
di Marco Zanier



E’ giunto il momento, secondo me, di creare per gradi un processo di aggregazione a sinistra. Credo che per creare uno schieramento che raccolga le storie migliori della sinistra ci si debba lasciare molto alle spalle ma non penso che questo debbano essere le singole appartenenze quanto piuttosto le differenze, le incomprensioni, le diffidenze storiche direi, perché la storia bella di socialisti e comunisti credo possa e debba costituire il cemento ideale della nuova formazione politica da costruire insieme. Penso alle tante battaglie importanti condotte dalla stessa parte nel passato, alle capacità organizzative che hanno permesso alla sinistra di riempire le piazze e di sostenere le lotte nelle fabbriche e nei luoghi di lavoro, penso soprattutto ad un’ottica di classe che credo vada mantenuta o, meglio, recuperata: lo stare dalla parte degli sfruttati e in contrapposizione netta a chi sfrutta e divide per suo tornaconto personale o di categoria. Per i socialisti in particolare credo si debba ripartire da una certa sana critica dell’orizzonte socialdemocratico, così come lo criticavano Basso e De Martino, per immaginare una società socialista da realizzare veramente più giusta ed equa per tanti.
Mi vengono in mente due passaggi: da un lato le parole che Lelio Basso pronunciò nel 1962, poco prima cioè di lasciare il partito per dare vita al Psiup (Per una sinistra socialista, Editoriale del numero di marzo 1962 di Problemi del Socialismo)
“L’alternativa non è tra il riformismo della maggioranza e il rifiuto totale di ogni politica, di ogni obiettivo e di ogni strumento che non sia integralmente socialista, come da molte parti ci sentiamo ripetere (rifiuto della costituzione, del parlamento, della democrazia, ecc.), perché il socialismo si costruisce proprio lottando all’interno degli attuali rapporti sociali, delle attuali strutture e sovrastrutture, lottando sul terreno della realtà di oggi, anche con gli strumenti che essa ci offre, anche con la costituzione, anche con il parlamento, anche con quel tanto di democrazia che oggi possediamo, e che dobbiamo progressivamente allargare perché è vero che la costituzione, il parlamento e la democrazia di oggi non sono per sé soli bastevoli di avvicinarci al socialismo” 
e l’altro di De Martino, nel suo libro del 1989 “Il pessimismo della storia e l’ottimismo della ragione” (p.22): 
“Il socialismo viene concepito da molti come pienamente compatibile con la sopravvivenza del sistema capitalistico. In tal modo si pensa di acquistare legittimità nella gestione del sistema, ma non si valuta nella sua entità la rinuncia all’autonomia teorica e politica. In tal senso hanno operato correnti maggioritarie della socialdemocrazia europea ed in modo ancor più accentuato il moderno riformismo in Italia, fino a condividere una sorta di esaltazione del ‘privato’ di contro al pubblico. A questo punto cade una effettiva delimitazione tra liberismo e socialismo e si indeboliscono i legami col riformismo originario.”
In questo senso credo che il contributo dei socialisti alla creazione di una nuova concezione della sinistra possa essere interessante anche per i compagni che vengono da altre esperienze, senza per questo avere la presunzione di possedere una verità rivelata ma invece con la voglia di aiutare a superare alcuni limiti di tanti altri tentativi di riaggregazione a sinistra. Intendiamoci però, se come socialisti possiamo essere d’aiuto ai compagni comunisti che con mente aperta e spirito critico intendano dare vita insieme ad un nuovo soggetto di sinistra efficace ed utile a tanti, dall’altra parte dobbiamo, secondo me essere aiutati ad uscire dalla nostra autoreferenzialità e dal nostro isolamento, mascherato da autonomismo e vestito troppo spesso di anticomunismo.
Guardare alla realtà, alle trasformazioni della società, alla gravità della trasformazione della legislazione sul lavoro introdotta dal Jobs Act, votata anche dai nostri rappresentanti in Parlamento e dalla maggioranza del PD (anche da molti esponenti storici di sinistra) che ha cancellato le conquiste introdotte dallo Statuto dei Lavoratori ed introdotto una precarietà senza fine e senza scampo per i nuovi assunti, aprirsi al confronto con le questioni nuove come la gestione concreta dei flussi migratori in un momento in cui le destre e non solo stanno portando avanti una battaglia senza quartiere ai diritti basilari delle persone, ripartire dai problemi concreti della casa e dell’abitare mentre sono in aumento gli sfratti nelle gandi città e nei piccolo centri e manca da troppo tempo una politica di rilancio dell’edilizia sociale, parlare di diritto al lavoro per i tanti precari della scuola che sono sotto scacco per colpa delle politiche del governo Renzi, affrontare con coraggio il dramma dei tagli alla sanità pubblica che colpiscono i servizi essenziali per i cittadini come i Pronto Soccorso riducendo i servizi e il personale mentre aumentano le sovvenzioni alla sanità private, in barba ai principi contenuti nella nostra Costituzione.
Ripartire da qui adesso, tutti insieme. Questo secondo me deve fare oggi la sinistra che si vuole costruire. Senza chiuderci ognuno nel proprio staccato, senza guardarci gli uni e gli altri con diffidenza, abbattendo i muri che ci dividono per tornare a dire la nostra in questo Paese. Ed aiutare la maggior parte della gente che non ce la fa ad alzare lo sguardo ed avere una prospettiva ideale: costruire insieme una società nuova, migliore e socialista.

27 Giugno 2015 (aggiornato il 17 Agosto 2015)




SINISTRA ITALIANA/SI: SPERANZA O PRESA IN GIRO? CE LO DIRA’ LA PRIMAVERA di Norberto Fragiacomo




SINISTRA ITALIANA/SI: SPERANZA O PRESA IN GIRO? CE LO DIRA’ LA PRIMAVERA
di
Norberto Fragiacomo




Sinistra Italiana/SI: sarà il solito sbiadito arcobaleno?
Dopo il flop dell’insulsa Rivoluzione Civile, soffocata in culla dai borbottii né carne né pesce di Ingroia, e il voltafaccia di Alexis Tsipras la riproposizione dell’ennesima sinistra di alternativa – composta, per di più, di ex piddini e parlamentari di SeL – difficilmente poteva scatenare entusiasmi. Chi scrive nutriva seri dubbi sulla serietà dell’operazione, e ne ha ancora, ma prende atto di alcune interessanti novità, per ora meramente cartacee. Scorrendo “La Sinistra si organizza. Ecco il documento” (1) e “Ora unire e allargare la Sinistra” (2) mi sono imbattuto in alcune affermazioni per me lapalissiane, ma tutt’altro che scontate: si prende atto che “la stagione del centro-sinistra è finita” e che il PD, “dominato dall’agenda liberista dell’Eurozona”, è un avversario come tutti gli altri, che “vive ormai con fastidio il modello disegnato dalla Costituzione repubblicana”; si seppellisce il falso mito degli “Stati Uniti d’Europa”, funzionale “solo a svuotare ulteriormente le democrazie nazionali, assoggettandole al controllo di organi tecnocratici” (e infatti, sabato scorso, il messaggio europeista di Santa Laura Boldrini è stato sonoramente fischiato); si osa auspicare una “sinistra patriottica per la sua capacità di rappresentare in chiave non regressiva i bisogni profondi della nostra comunità nazionale”, pensionando quel surrogato di sano internazionalismo che, per riflesso pavloviano, nascondeva agli occhi di tanti compagni la natura oppressiva ed antidemocratica dell’Unione Europea. Certo, ci sono anche gli strali lanciati contro il fantasma della “Cosa rossa”, che il buon Landini non ha alcuna intenzione (né il coraggio) di battezzare, ma questa è fuffa, un espediente comunicativo per allontanare da sé l’accusa sempre in canna di estremismo, immediatamente scagliata, comunque, dai pennivendoli “progressisti” agli ordini di Matteo Renzi.

martedì 10 novembre 2015

APPUNTI PER UNA STORIA DEL TROTSKISMO di Stefano Santarelli -parte terza-




APPUNTI PER UNA STORIA DEL TROTSKISMO 
di Stefano Santarelli
 -parte terza- 


IL MORENISMO



Questa corrente trotskista prende il nome dal dirigente argentino Nahuel Moreno (pseudonimo di Hugo Bressano) che fu tra i fondatori nel 1943/44 del Grupo obrero marxista (GOM) che nel dicembre 1948 si trasforma nel Partido obrero revolucionario (POR) una piccola formazione che contava una cinquantina di militanti. Ed in quell’anno Moreno partecipa come delegato argentino al II Congresso della Quarta internazionale (1948) schierandosi subito al fianco del Revolutionary communist party (RCP) britannico contro le tesi catastrofistiche della maggioranza diretta da Pablo. E’ ancora presente come delegato al III Congresso mondiale (1951) che però riconosce come sezione ufficiale il gruppo diretto da Posadas, questa decisione ovviamente influisce sull’adesione del Por al Comitato internazionale fondato dal Swp e da Lambert e Healy.
Moreno per conto del CI costituisce il Comitato latino americano (Cla) costituito dai tre Por di Argentina, Cile e Perù e dove segue con particolare attenzione la politica del Por boliviano che, insieme al Movimiento nacionalista revolucionario  (Mnr) in una situazione rivoluzionaria era uno dei due partiti più influenti nel movimento operario e seguiva la politica pablista. Ricordiamo che il Por aveva fatto adottare dal sindacato nel 1947 le cosidette “Tesi Pulacayo” che altro non erano che una traduzione nella realtà boliviana del “Programma di transizione” di Trotsky. Queste tesi affermavano che “I paesi arretrati si muovono sotto il segno della pressione imperialista, il loro sviluppo ha un carattere combinato: riuniscono allo stesso tempo le forme economiche più primitive e l’ultima parola della tecnica e della civilizzazione capitalistica. Il proletariato nei paesi arretrati è obbligato a combinare la lotta per gli obiettivi democratico-borghesi con la lotta per rivendicazioni socialiste. Entrambe le tappe -quella democratica e quella socialista- non sono separate nella lotta da tappe storiche, ma sorgono immediatamente l’una dall’altra.” (…)
Ed i compiti della rivoluzione boliviana secondo queste tesi sono i seguenti:

POLITO EDITORIALISTA DELLA DOMENICA di Lorenzo Mortara





POLITO EDITORIALISTA DELLA DOMENICA 
 di Lorenzo Mortara 

RSU FIOM Vercelli 



Pucciare l’editoriale di Polito nel caffellatte, è una delle prelibatezze più raffinate concesse dalla domenica mattina, quando il Corriere ci delizia con la sua pubblicazione. Il tema di ieri, al bar della Confindustria, sono le tasse. Lo svolgimento prevede una panoramica sui pregiudizi in materia della Sinistra, smontati uno a uno con precisione chirurgica dalla sua narrazione scientifica, realistica, quasi vendoliana e assolutamente oggettiva e veritiera. Proprio per questo, non chiedete qualche dato che comprovi le affermazioni a questo Dio delle chiacchiere. Non essendo ideologico, privo di interessi personali e classisti, disinteressato, super partes e liberale antidogmatico come è, bisogna credergli sulla parola perché lui è assiomatico.

Tassare i ricchi è vecchio come la sinistra. Il che spiega la sua storica vocazione minoritaria. Per Sinistra, Polito intende la sinistra odiosa, stalinoide, storicamente compromessa, tuttalpiù socialdemocratica, vagamente keynesiana, trasformista, opportunista, cerchiobottista, carrierista, burocratica, riformista, tsipriota, giammai rivoluzionaria e al dunque sempre capitolarda, schifosamente antimarxista, capitalista, sommamente asina e consociativista. Intende proprio questa chiavica di sinistra che, le poche volte che si è ritrovata al potere, ha sempre abbandonato un qualunque programma del proletariato, anche il meno ricco purché onesto, per la squallida miseria di un programma borghese, stufando le masse salariate fino al punto di trovarsi in men che non si dica all’opposizione (dopoguerra PCI), indi nella pattumiera della Storia negli anni ’90 (PSI) o subito dopo negli anni 2000 (PRC).

lunedì 9 novembre 2015

NOTE CRITICHE SULLA PIATTAFORMA FIOM di Lorenzo Mortara




NOTE CRITICHE SULLA PIATTAFORMA FIOM 
di Lorenzo Mortara 



Punto per punto, alcune riflessioni su quel che non va della Piattaforma FIOM 2016, tralasciando per lo più quel che altri hanno già detto


Nuovismo – La prima cosa che colpisce della PIATTAFORMA FIOM per il RINNOVO del CONTRATTO DEI METALMECCANICI 2016, è la voglia di novità e di sperimentazione contrattuale. Tutto il preambolo è un unico peana in onore del rinnovamento. Peccato che anche Federmeccanica, non parli d’altro che di rinnovare l’assetto contrattuale. Questo vizio di ammiccare alla controparte con le stesse parole, ben sapendo che le lingue sono diverse, ha già prodotto disastri nel recente passato. Chi non ricorda che Landini fu il primo ad aprire a Renzi? Il metodo era lo stesso: il Berluschino del PD voleva cambiare l’Italia, e anch’io, disse il nostro Leader, lo voglio, perché nessuno più dei lavoratori vuole cambiare questo Paese. Sperava così di diventarne un interlocutore privilegiato. Divenne solo un giocattolo nelle sue mani. Possibile che dobbiamo fare un’altra volta la figura dei fessi? Così come Renzi vuole cambiare in peggio il Paese, e Landini in meglio, almeno per i lavoratori, alla stessa maniera l’innovazione contrattuale di Federmeccanica è lo smantellamento del Contratto Nazionale, l’innovazione della Fiom è invece il suo rafforzamento. Sono due cose opposte e inconciliabili, perché quando due discorsi vaghi e generici sul rinnovamento contrattuale si incontrano, tra i due prevale sempre quello più forte. Esattamente come l’apertura a Renzi sul cambiamento del Paese, non ha sortito altro che l’uso strumentale di Landini come copertura delle sue politiche antioperaie. La colpa non è di Renzi, ma di Landini che l’ha continuamente promosso, portandolo in palma di mano per un paio di mesi, anziché smascherarlo subito senza pietà. La Piattaforma ripete lo stesso errore col profondo rinnovamento contrattuale…