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venerdì 18 marzo 2016

NO alla maternità surrogata: basta NI di Giuliana Nerla





NO ALLA MATERNITA' SURROGATA: BASTA NI
di Giuliana Nerla




La maternità surrogata non è una novità del nostro tempo, al contrario è una pratica molto antica. Lo scorrere dei secoli ha squadernato a più riprese, sotto i cieli più disparati, casi di donne che hanno portato in grembo figli per le classi più agiate. Nel Vecchio Testamento si narra che Abramo chiese alla serva Hagar, “surrogata ante litteram”, di portare il figlio in vece della moglie Sara. Sono sempre state le donne più povere, o le schiave, a partorire al posto delle più ricche, mai il contrario. Il superamento di questa pratica è stato una conquista di civiltà, non lo è certo legalizzarla.

La surrogazione della maternità oggi consiste nell’impiantare un embrione nel corpo di una donna, che si impegna contrattualmente a portare avanti la gravidanza e a consegnare il figlio ad una coppia committente dopo il parto. Questa pratica è chiamata in vari modi fra i quali “utero in affitto” o “gestazione per altri”; useremo indifferentemente queste espressioni, anche se la locuzione migliore è surrogazione della maternità (non a caso adoperata dallo stesso legislatore nella L. 40/04) perché più fedele a quanto effettivamente avviene. Il periodo della vita della donna interessato è infatti largamente esteso: tutta la gravidanza fino al parto e alle prime cure del neonato dopo la nascita, nonché il recupero post-partum. “Surrogazione di maternità” suona fastidiosa a quanti preferiscono definizioni che fanno riferimento solo alla gestazione o all’utero, per rintracciare un presunto legame con slogan femministi tipo “L’utero è mio...”. Quest’assunto è evidentemente infondato perché non vi è alcun nesso fra le battaglie fatte per l’autodeterminazione, con la mercificazione insita in questo tipo di pratica.


Tutte le attività umane hanno un costo ma, se non altro alla luce della nostra Costituzione, non tutto può essere ridotto a merce come il pensiero iperliberista, oggi dominante, vorrebbe. Non tutto può essere oggetto di un contratto di compravendita, ed è abominevole e pericoloso che lo sia la nascita di un bimbo. Si sono verificati casi di coppie committenti che hanno rifiutato il neonato malato e attribuito la colpa alla gestante, casi finiti sui banchi del tribunale per “ridare indietro il prodotto difettoso”; perdonate la brutalità, ma se si accettano questi contratti, si sappia che ne conseguono tali rischi.

Patetici quanti sostengono che siccome negli Stati Uniti la donna che affitta il suo utero, ha già un lavoro, lo fa per amore, e non vi è mercificazione. Allora un operaio che, per incrementare il suo gruzzoletto, di sera fa il cameriere, lo farebbe per amore? La maternità surrogata è fortemente classista, basti pensare che negli Stati Uniti è molto in auge fra le donne facoltose che anziché affrontare le difficoltà della gravidanza, si rivolgono ad altre in cerca di denaro (che lo cerchino per motivi seri o futili non cambia la questione). Come dice Norberto Fragiacomo: “Portare in grembo un bimbo già venduto è la negazione dell’umanità”.
Attenzione nel dire che in certi paesi la gestazione per altri è gratuita. Nei paesi nei quali è anche determinata una specifica retribuzione, alle donne in questione rimane in tasca di più, ma ovunque sono previsti risarcimenti e indennizzi, necessariamente elevati vista la difficile quantificazione di tutto ciò che ogni gestazione comporta. Anche alla luce dell'estensione del periodo di vita interessato, è impensabile prescindere da una qualsiasi forma di compenso.

Altro infondato argomento: siccome vi è ricorso un omosessuale, ossia Vendola (leader politico che in passato ho avuto modo di apprezzare per battaglie giuste), dovremmo stare zitti per non essere tacciati di omofobia! E pensare che a proposito della stepchild adoption da più parti si è denunciato, senza ancora sapere del caso di Vendola, che questa potrebbe essere usata per legittimare l’affitto dell’utero (il partner del genitore divenuto tale tramite la maternità surrogata, potrebbe diventare a sua volta genitore per mezzo della stepchild adoption). E ancor prima, a dicembre 2015, il gruppo “Se Non Ora Quando – Libere” ha lanciato un appello per mettere al bando questa pratica. E d'improvviso si dovrebbe tacere? Quanta violenza psicologica nelle argomentazioni di chi mette in relazione l’omofobia con la contrarietà alla maternità surrogata …e quanta strumentalità ed ipocrisia! Che il caso riguardi una coppia omosessuale o eterosessuale, il problema resta lo stesso.

Il comma 6 dell’art. 12 della menzionata L. 40/04 recita: Chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro.” Questo divieto è quasi solo formale per una serie di ragioni. I genitori committenti, al rientro in Italia, sono segnalati dal consolato al Ministero dell’Interno ai fini del procedimento giudiziario; generalmente si evita però di passare per il consolato scegliendo paesi nei quali vige lo ius soli (ad es. Usa e Canada). Anche quando i procedimenti giudiziari vengono avviati, solitamente si risolvono senza l’addebito delle sanzioni previste; la giurisprudenza tende infatti a riconoscere la genitorialità quando il bambino nasce con la maternità surrogata in paesi dove questa è legale.

I mezzi di comunicazione mainstream, in ossequio al pensiero unico liberista, hanno già scelto: o si stravolge la Legge 40/04 nel senso di consentire anche in Italia questa pratica, o si è omofobi, retrogradi, bigotti e incivili. Invece il divieto in questione va reso cogente perché è riprovevole che finché nel mondo ci siano bambini da adottare, e quindi da salvare da situazioni difficili, si ricorra alla gestazione per altri. Le adozioni vanno rese più facili, anche abbassando i costi da sostenere. 

E’ scontato però che, senza una specifica proibizione, la maternità surrogata si utilizzerà comunque: chi finora vi è ricorso non lo ha fatto certo perché non poteva permettersi l’adozione, visti le maggiori spese della gestazione per altri nonché la complessità della pratica.
Nel momento in cui il potere dominante avrà terminato di convincerci che tutto è merce, il passo verso il baratro iperliberista sarà compiuto. E’ comprensibile che Emma Bonino, esponente di un partito che si è sempre dichiarato liberista, sia favorevole alla maternità surrogata, ma non lo è, nella maniera più assoluta, che lo siano esponenti di sinistra. Chi propone di legalizzare questa pratica in Italia, tatticamente, lo fa in modo soft, affermando ad esempio: “si vogliono solo ammettere i casi di gratuità”. Qualsiasi apertura, però, è rischiosa e azzardata. Ogni indulgenza verso formule ibride o possibiliste schiuderà la strada a questa nuova forma di schiavitù classista. E’ auspicale che eventuali aperture vengano respinte con netti “NO”, in mezzo a tanti inaccettabili “NI”.



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