NO
ALLA MATERNITA' SURROGATA: BASTA NI
di Giuliana Nerla
La
maternità surrogata non è una novità del nostro tempo, al
contrario è una pratica molto antica. Lo scorrere dei secoli ha
squadernato a più riprese, sotto i cieli più disparati, casi di
donne che hanno portato in grembo figli per le classi più agiate.
Nel Vecchio Testamento si narra che Abramo chiese alla serva Hagar,
“surrogata ante litteram”, di portare il figlio in vece della
moglie Sara. Sono sempre state le donne più povere, o le schiave, a
partorire al posto delle più ricche, mai il contrario. Il
superamento di questa pratica è stato una conquista di civiltà, non
lo è certo legalizzarla.
La
surrogazione della maternità oggi consiste nell’impiantare un
embrione nel corpo di una donna, che si impegna contrattualmente a
portare avanti la gravidanza e a consegnare il figlio ad una coppia
committente dopo il parto. Questa pratica è chiamata in vari modi
fra i quali “utero in affitto” o “gestazione per altri”;
useremo indifferentemente queste espressioni, anche se la locuzione
migliore è surrogazione della maternità (non a caso adoperata dallo
stesso legislatore nella L. 40/04) perché più fedele a quanto
effettivamente avviene. Il periodo della vita della donna interessato
è infatti largamente esteso: tutta
la gravidanza fino al parto e alle prime cure del neonato
dopo la nascita, nonché il
recupero post-partum. “Surrogazione di maternità” suona
fastidiosa a quanti preferiscono definizioni che fanno riferimento
solo alla gestazione o all’utero, per rintracciare un presunto
legame con slogan femministi tipo “L’utero è mio...”.
Quest’assunto è evidentemente infondato perché non vi è alcun
nesso fra le battaglie fatte per l’autodeterminazione, con la
mercificazione insita in questo tipo di pratica.
Tutte
le attività umane hanno un costo ma, se non altro alla luce della
nostra Costituzione, non tutto può essere ridotto a merce come il
pensiero iperliberista, oggi dominante, vorrebbe. Non tutto può
essere oggetto di un contratto di compravendita, ed è abominevole e
pericoloso che lo sia la nascita di un bimbo. Si sono verificati casi
di coppie committenti che hanno rifiutato il neonato malato e
attribuito la colpa alla gestante, casi finiti sui banchi del
tribunale per “ridare indietro il prodotto difettoso”; perdonate
la brutalità, ma se si accettano questi contratti, si sappia che ne
conseguono tali rischi.
Patetici
quanti sostengono che siccome negli Stati Uniti la donna che affitta
il suo utero, ha già un lavoro, lo fa per amore, e non vi è
mercificazione. Allora un operaio che, per incrementare il suo
gruzzoletto, di sera fa il cameriere, lo farebbe per amore? La
maternità surrogata è fortemente classista, basti pensare che negli
Stati Uniti è molto in auge fra le donne facoltose che anziché
affrontare le difficoltà della gravidanza, si rivolgono ad altre in
cerca di denaro (che lo cerchino per motivi seri o futili non cambia
la questione). Come dice Norberto Fragiacomo: “Portare in grembo un
bimbo già venduto è la negazione dell’umanità”.
Attenzione
nel dire che in certi paesi la gestazione per altri è gratuita. Nei
paesi nei quali è anche determinata una specifica retribuzione, alle
donne in questione rimane in tasca di più, ma ovunque sono previsti
risarcimenti e indennizzi, necessariamente elevati vista la difficile
quantificazione di tutto ciò che ogni gestazione comporta. Anche
alla luce dell'estensione del periodo di vita interessato, è
impensabile prescindere da una qualsiasi forma di compenso.
Altro
infondato argomento: siccome vi è ricorso un omosessuale, ossia
Vendola (leader politico che in passato ho avuto modo di apprezzare
per battaglie giuste), dovremmo stare zitti per non essere tacciati
di omofobia! E pensare che a proposito della stepchild adoption da
più parti si è denunciato, senza ancora sapere del caso di Vendola,
che questa potrebbe essere usata per legittimare l’affitto
dell’utero (il partner del genitore divenuto tale tramite la
maternità surrogata, potrebbe diventare a sua volta genitore per
mezzo della stepchild adoption). E ancor prima, a dicembre 2015, il
gruppo “Se Non Ora Quando – Libere” ha lanciato un appello per
mettere al bando questa pratica. E d'improvviso si dovrebbe tacere?
Quanta
violenza psicologica nelle argomentazioni di chi mette in relazione
l’omofobia con la contrarietà alla maternità surrogata …e
quanta strumentalità ed ipocrisia! Che il caso riguardi una coppia
omosessuale o eterosessuale, il problema resta lo stesso.
Il
comma 6 dell’art. 12 della menzionata L. 40/04 recita: “Chiunque,
in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la
commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di
maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con
la multa da 600.000 a un milione di euro.” Questo divieto è quasi
solo formale per una serie di ragioni. I
genitori committenti, al rientro in Italia, sono segnalati dal
consolato al Ministero dell’Interno ai fini del procedimento
giudiziario; generalmente si evita però di passare per il consolato
scegliendo paesi nei quali vige lo ius
soli (ad
es. Usa e Canada). Anche quando i procedimenti giudiziari vengono
avviati, solitamente si risolvono senza l’addebito delle sanzioni
previste; la giurisprudenza tende infatti a riconoscere la
genitorialità quando il bambino nasce con la maternità surrogata in
paesi dove questa è legale.
I
mezzi di comunicazione mainstream,
in ossequio al pensiero unico liberista, hanno già scelto: o si
stravolge la Legge
40/04 nel
senso di consentire anche in Italia questa pratica, o si è omofobi,
retrogradi, bigotti e incivili. Invece
il divieto in questione va reso cogente perché è riprovevole che
finché nel mondo ci siano bambini da adottare, e quindi da salvare
da situazioni difficili, si ricorra alla gestazione per altri. Le
adozioni vanno rese più facili, anche abbassando i costi da
sostenere.
E’ scontato però che, senza una specifica proibizione,
la maternità surrogata si utilizzerà comunque: chi finora vi è
ricorso non lo ha fatto certo perché non poteva permettersi
l’adozione, visti le maggiori spese della gestazione per altri
nonché la complessità della pratica.
Nel
momento in cui il potere dominante avrà terminato di convincerci che
tutto è merce, il passo verso il baratro iperliberista sarà
compiuto. E’ comprensibile che Emma Bonino, esponente di un partito
che si è sempre dichiarato liberista, sia favorevole alla maternità
surrogata, ma non lo è, nella maniera più assoluta, che lo siano
esponenti di sinistra. Chi
propone di legalizzare questa pratica in Italia, tatticamente, lo fa
in modo soft, affermando ad esempio: “si vogliono solo ammettere i
casi di gratuità”. Qualsiasi apertura, però, è rischiosa e
azzardata. Ogni indulgenza verso formule ibride o possibiliste
schiuderà la strada a questa nuova forma di schiavitù classista. E’
auspicale che eventuali aperture vengano respinte con netti “NO”,
in mezzo a tanti inaccettabili “NI”.
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