LA MORTE MERITOCRATICA:
NON CHIMIAMOLO "FEMMINICIDIO"
di Angela Rizzica
Un viso che, timido, si imbarazza
all’obiettivo. Non era bellissima, ma aveva uno sguardo di una dolcezza
infinita: la classica ragazza della porta accanto in cui tutti possiamo
riconoscere una sorella, un’amica, una fidanzata o una figlia.
Sara Di
Pietrantonio aveva 22 anni ed una vita davanti ma l’ex fidanzato
Vincenzo Paduano, 27 anni, ha deciso di cambiare le carte in tavola
bruciandola viva insieme alla sua macchina.
Potremmo a questo punto
pensare che si tratti della più bassa azione di uno squilibrato mentale,
l’extrema ratio di un compagno geloso che non si era rassegnato alla
fine di una storia, ma manca un pezzo importante: Sara poteva essere
salvata. Fuggendo dal suo carnefice, ha tentato di fermare diverse auto
lungo il tratto della Magliana dove poi è stata ritrovata la sua
macchina carbonizzata.
E’ stata l’indifferenza ad ucciderla, non solo
l’alcol di cui Vincenzo l’ha cosparsa per farle prendere fuoco più
velocemente una volta tornati nella Toyota. L’indifferenza, omertosa e
vigliacca, da sempre crea più vittime della morte stessa. Così,
giustamente, pensiamo che per combatterla sia necessario chiamare questo
e tanti altri omicidi con un nome diverso per distinguerli, per
riconoscerli, per renderli più importanti. Il mostro non è più solo un
mostro ma un “femminicida” perché uccide le donne ed una morte non è più
tale ma un “femminicidio” perché a morire è stata una donna.
Insomma,
morire perché biologicamente parlando, appartieni al genere femminile è
un merito. La mia morte è più dignitosa ed importante di quella di un
mio coetaneo. Le mie grida di aiuto sono più strazianti di quelle di un
ragazzo. I miei capelli biondi sono più biondi di quelli di un
ventiduenne. Sciocchezze. La morte è una e non è meritocratica.
Non è
creando un’ipotesi di reato ad hoc che si ferma la violenza, ma ponendo
l’attenzione su tutto quello che la precede. Molti invocano la creazione
del reato di “femminicidio” alla maniera di come è stato creato quello
“stradale”, ma sono condizioni e situazioni diverse: il secondo è nato
dall’esigenza di circoscrivere una specifica dinamica ed attiene quindi
alle modalità con cui si svolge il reato, il primo nascerebbe sulla base
del sesso della vittima.
E’ come puntare sulla ricerca per i farmaci
contro l’HIV senza prima aver investito nell’educazione sessuale,
concentrarsi sul rimedio e non sulla prevenzione. Una vita interrotta è
interrotta, e non si potranno pareggiare i conti chiamando
quell’interruzione in modo diverso.
Mi compiaccio poi delle femministe
dell’ultima ora che reclamano il “femminicidio” a gran voce, come se la
parità di genere potesse essere raggiunta riconoscendo alle donne
un’implicita debolezza. Sì, perché dire che una determinata categoria di
persone deve essere tutelata tramite degli strumenti ad hoc è
stigmatizzarla come debole, come meritevole di maggiore protezione. E’
spostare il centro dell’attenzione dal carnefice alla vittima,
invertendo pericolosamente il focus: è suggerire di non mettersi la
minigonna se si vuole evitare lo stupro; è consigliare di uscire sempre
in gruppo con dei ragazzi per stare tranquille la sera; è cercare di
modificare gli effetti senza agire sulla causa scatenante.
Bisogna
indignarsi non perché è stata uccisa Sara, ma perché Vincenzo ha dato
fuoco ad una persona. Prima di piangere per l’ennesima ragazza
strangolata, stuprata, sgozzata o arsa viva, prima di infiammare i
social con la demagogia becera che dura giusto il tempo di un nuovo
delitto, parliamo di “stalking” e di come, quasi sempre, non vengano
attivate le giuste misure di sicurezza a seguito di una denuncia;
parliamo di come il “mobbing” sul posto di lavoro non venga preso sul
serio e di come una donna venga anzi spesso derisa perché “la pacca sul
culo è un gesto di affetto”.
Parliamo di tutto ciò che precede il vostro
adorato “femminicidio”, è questo che fa la reale differenza. E’ ottuso
pensare che non ci siano altri Vincenzo solo perché viene creata una
nuova ipotesi di reato, che tra l’altro consta di tutti i problemi
caratteristici della novità inserita nell’ordinamento italiano: ritardi
nell’attuazione, problemi di coordinamento con le norme preesistenti,
incertezza nel comminare la pena a causa di dottrina e giurisprudenza
scarse od inesistenti e tanti assassini a piede libero o quasi.
Valorizziamo il bene della vita nei social e nei media, facciamo
informazione nelle scuole e portiamo il rispetto a tavola perché un uomo
a cui è stato insegnato il rispetto per le donne non le insulta, non le
stupra, non le carbonizza vive.
Sara non è solo la vittima di Paduano,
ma anche di tutti coloro che pensano a come punire i carnefici e non a
fare in modo che non ce ne siano più. La legge esiste e deve essere
uguale per tutti, anche per Sara, anche per me. Non c’è merito a morire
per essere donna come non c’è per essere gay, nero, immigrato o ebreo.
L’omicidio non ha sesso, non chiamiamolo femminicidio: fatelo per lei,
fatelo per tutte noi.
31 maggio 2016
dal sito http://www.iurisprudentes.it/
http://iltafano.typepad.com/il_tafano/2016/06/giornalisti-miei-eroi-immaginari.html
RispondiElimina