È DI SINISTRA DIRE NO
ALLE OLIMPIADI?
di Lorenzo Mortara
Virginia Raggi, alla fine, ha detto No
alle Olimpiadi, in ossequio a Beppe Grillo che lo voleva a tutti i
costi per rilanciare l’immagine del M5S contro i poteri forti. Ma
la corruzione, le tangenti, il comitato promotore del Coni e lo
stuolo di burocrati che ci hanno già mangiato sopra prima ancora che
siano state assegnate, in breve i poteri forti che volevano le
Olimpiadi a Roma, non sono altro che la borghesia romana sommata a
quella italica. Dicendo No alle Olimpiadi, Virginia Raggi, in ultima
analisi, ha detto nient’altro che No al Capitalismo. Ma
il capitalismo a Roma non ha bisogno di arrivarci con le Olimpiadi,
c’è già da parecchio, troppo tempo. Non
c’è posto a Roma che non sia stato raggiunto e sommerso dalla
merda capitalistica. Se Roma sembra una fogna a cielo aperto è
perché è infognata fino al collo nel capitalismo. Anche senza
Olimpiadi, Roma resterebbe sempre campionessa olimpionica di
sfruttamento. La medaglia d’oro non gliela toglierebbe nessuno.
Le
Olimpiadi sono solo la ciliegina sulla torta di Mafia Capitale e dei
loro affari sotto banco. Tolta quella, banche, palazzinari, mafiosi e
partiti loro complici, continuerebbero a spartirsi la città come se
niente fosse. Quel che non potranno estorcere senza Olimpiadi, i
capitalisti lo estorceranno in altra maniera, magari chiedendo i
danni per mancato introito, come stanno già facendo. Perché, o si è
in grado di offrire le olimpiadi socialiste,
o non ha molto senso rinunciare a quelle capitaliste.
Per
vincere la guerra col capitale bisogna dargli battaglia, non
ritirarsi da un fronte. Ai capitalisti resteranno sempre tutti gli
altri. Per questo i capitalisti vanno sfidati sul loro stesso
terreno. A loro le Olimpiadi interessano meno che al M5S. A loro
interessa il profitto sulle Olimpiadi. Non è la stessa cosa. Oltre
al mare di tangenti, di sperpero di denaro pubblico, di cemento, di
cattedrali a cui seguirà il deserto finita la manifestazione
sportiva, le Olimpiadi al pari di un qualunque Expo, saranno fatte di
voucher, di manodopera più o meno gratuita, precaria e senza diritti
e che, alla fine della fiera sportiva, sarà più disoccupata di
prima. Saranno l’occasione per pretendere doppi turni al personale
già risicato degli autobus, della sanità, della nettezza urbana,
del Colosseo e di tutti gli altri monumenti messi in vetrina 24 ore
su 24 per spennare i turisti che arriveranno. Saranno infine il
pretesto per l’isteria razzista della stampa borghese – Corriere
del Fascismo che fu in testa –
per linciare chiunque osi riunirsi in assemblea o addirittura
scioperare durante l’orgia olimpica.
Se si
dà un’occhiata agli studi ideologici sull’opportunità delle
Olimpiadi, ai vantaggi che porterebbero e alle altre fanfaronate
della propaganda borghese, si constaterà facilmente che non una
parola è stata spesa per il lavoro che dovrà metterle in piedi. Il
lavoro con le sue condizioni è il grande non pervenuto nelle
discussioni cretine dei borghesi cretini che le vogliono senza
spendere un centesimo. Perciò, invece di dire semplicemente No alle
Olimpiadi, era molto meglio se Virginia Raggi avesse detto: «Le
volete? Allora dovrete
pagare innanzitutto i lavoratori. No ai voucher, No a contratti in
deroga con le complicità sindacali dei tre porcellini confederali,
No alla somministrazione, No agli appalti dei subappalti, Sì a orari
ridotti e paga a 2000 euro al mese per aumentare al massimo i
vantaggi occupazionali dell’evento...».
Se avesse parlato così, Virginia Raggi avrebbe assistito, prima
all’isteria dei padroni, e poi, dopo tanta bava alla bocca, al
miracolo della borghesia che rinuncia lei stessa alle Olimpiadi,
visto che non sa cosa farsene se non può approfittarne. Il suo
consenso sarebbe andato alle stelle. Così, invece, rischia di
intascare una vittoria di Pirro.
Perché, anche se in questo momento, incassa il consenso superficiale
del Fatto quotidiano e
dell’intellighenzia piccolo borghese a cui basta l’onestà perché
il portafogli ce l’ha già pieno, i lavoratori si accorgeranno
presto che con l’onestà non si mangia. Togliere i profitti delle
Olimpiadi non serve a nulla, se i soldi risparmiati non finiranno
nelle tasche dei lavoratori ma in quelle dei creditori del debito
pubblico, o dei piccoli medi imprenditori, cioè dei piccoli medi
sfruttatori. A Roma la partita decisiva non si gioca sulle Olimpiadi,
ma sui rinnovi contrattuali degli enti pubblici.
Stando allo stesso
Tronca mancano come minimo 8000 dipendenti pubblici per far
funzionare Roma. E se lo dice Tronca, vuol dire che ne servono almeno
il doppio, con buona pace dei Rizzo e degli Stella e delle altre
ipocrite scribacchine della stampa padronale. Aggiungiamo che manca
pure buona parte di salario accessorio che Marino, un altro presunto
onesto sulla pelle dei salariati, gli ha rubato per tamponare il
debito pubblico fatto dai privati capitalisti. Se con la scusa del
debito, Virginia Raggi, taglierà asili nido, salari e servizi, il
risparmio delle Olimpiadi non le impedirà di far la fine di un
Pizzarotti qualunque che a Parma si vanta di aver ridotto il debito,
senza dirci che a pagarlo non sono stati i cittadini interclassisti
ma i proletari classisti, perché i cittadini a forma di banchiere o
di padrone non han tirato fuori il becco di un quattrino. Perché le
idee non sono né di destra né di sinistra, ma i debiti sono proprio
tutti di sinistra.
Il
tentativo della Raggi di imbarcare nella sua giunta pezzi del vecchio
apparato, non lascia ben sperare, nonostante l’immediato naufragio.
Non sembra, infatti, che la sindaca ne abbia compreso il reale
significato politico, cioè di classe, arenata com’è nelle secche
dell’interclassismo. La mossa sulle Olimpiadi prosegue, girata di
segno, la stessa generica inconcludenza. Dall’imbarcare il
capitale, Virginia è passata all’estrometterlo del tutto senza
imbarcare un solo proletario che è l’unica cosa che dovrebbe fare.
Siamo più o meno al punto di partenza, con l’aggravante che i
cittadini, almeno quelli che determinano tutto, ossia i proletari,
quando si accorgeranno che senza circenses
non avranno più pane di prima, toneranno rapidamente a reclamare il
circo di un tempo. Come dargli torto? Meglio panem et circenses,
infatti, che solo panem. Se ce l’ho un giorno su due, è meglio che
al secondo ci siano le Olimpiadi, non mangerò come prima, ma almeno
mi godrò lo spettacolo olimpico della fame.
Lorenzo Mortara
RSU FIOM-Vercelli
Il Sindacato è
un’altra cosa
La vignetta è del Maestro Enzo Apicella
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