ZAGREBELSKY?
FORSE HA SEMPLICEMENTE SBAGLIATO
“CONTESTO”
di
Norberto
Fragiacomo
La
“spersonalizzazione” del Referendum costituzionale – che,
inizialmente previsto per ottobre, si terrà invece alla vigilia
dell’inverno – è stata solo un’abile finta di Renzi, cui i
media peraltro seguitano a (fingere a loro volta di) abboccare: nelle
ultime settimane il premier è tornato prepotentemente in campo,
atteggiandosi ad agitprop del SI in qualunque circostanza e di fronte
a qualsiasi oppositore.
La
disfida con Marco Travaglio dalla Gruber (del tutto impari, se
conteggiamo i minuti concessi all’uno e all’altro contendente) è
stata solamente l’aperitivo di un “duello al sole”, tenutosi in
prima serata tra il fiorentino e il costituzionalista Gustavo
Zagrebelsky, anima argomentante del fronte del NO.
Ora,
sul confronto si è detto e scritto di tutto: per i poveri di spirito
– come sempre suggestionabili con ammiccamenti e mossette - Renzi
avrebbe “asfaltato” il suo interlocutore1,
mentre persone di maggior caratura, schierate per il NO, hanno
evidenziato come il professore, pur ricorrendo a un linguaggio piano
e comprensibile, sia stato penalizzato da un contesto
- quello televisivo - che valorizza lo slogan e la battuta ad effetto
molto più di un pacato argomentare. Non avendo assistito all’intero
dibattito devo limitarmi a poche annotazioni. La mia impressione è
che il professor Zagrebelsky sia partito un po’ in sordina, conscio
della maggior consuetudine del primo ministro con il mezzo
televisivo, e poi – col trascorrere del tempo – abbia acquistato
sicurezza, piazzando alcune stoccate anche piuttosto efficaci, come
quando, infastidito dall’untuosa litania di Renzi “io mi sono
formato sui suoi testi, professore”, ha risposto tranchant che i
libri bisogna saperli leggere, o quando ha lasciato intendere, di
fronte ad insinuazioni particolarmente spudorate del fiorentino, che
se avesse supposto che la contesa si sarebbe incentrata sulla
coerenza dell’uno e dell’altro avrebbe approfondito la biografia
del contraddittore e, a quel punto, di cose da dire ne avrebbe avute
a iosa.
A
chi ha rimproverato al Presidente emerito della Consulta una certa
mancanza di incisività replico che un intellettuale autentico ha
bisogno di tempo per articolare il suo ragionamento; che se viene
sistematicamente e metodicamente interrotto da una controparte che,
all’opposto, parla per frasi fatte (da qualche spin
doctor
lautamente pagato) rischia di andare in affanno proprio per le
maggiori sue preparazione e serietà; che, infine, indipendentemente
dalla bravura del docente, non tutti i concetti possono essere
spiegati in due parole: la sintesi è un dono, il pressapochismo un
pessimo regalo fatto all’ascoltatore. La mia sensazione è che
Zagrebelsky, finissimo giurista e uomo perbene, abbia accettato per
senso del dovere una sfida su un terreno a lui estremamente
sfavorevole e ne sia uscito a testa alta: si è trattato, insomma, di
un atto di coraggio civile, che si aggiunge alle appassionate prese
di posizione e alle approfondite analisi sui difetti della riforma
che il Fatto Quotidiano ha pubblicato nei mesi scorsi. L’accusa,
formulata nei suoi confronti dall’ottimo Aldo Giannuli, di “non
saper parlare alla casalinga di Voghera” è completamente assurda:
chi s’impegna in una battaglia ideale non può e non deve inseguire
il demagogo sulla strada della cialtroneria, pena il venir meno delle
ragioni e delle motivazioni della lotta. Nel composito schieramento
del NO c’è spazio per personaggi diversissimi come Zagrebelsky,
Freccero, Moni Ovadia, Fiorella Mannoia e Scanzi (che a parer mio,
grazie alla battuta micidiale e non preconfezionata, è il più
indicato a battere Renzi sul suo campo): a ognuno va riconosciuto un
ruolo differente a seconda di inclinazioni e indole – ma quello del
“ballista” non è contemplato, lo lascio volentieri a quanti si
ergono a paladini della c.d. riforma Boschi, compreso qualche
“emerito” assai meno rispettabile del professor Zagrebelsky.
Fin
qui sono rimasto sulle generali anche perché, come premesso, non ho
seguito la discussione dal principio alla fine. C’è stato un
passaggio, però, nel discorso del costituzionalista che mi ha
lasciato lievemente perplesso: alludo ai riferimenti al “contesto”
all’interno del quale va calata la riforma, che non è
evidentemente il contesto in cui si è svolto il dibattito.
Zagrebelsky ha tracciato un ardito parallelismo tra la costituzione
del Centro Africa di Bokassa e quella americana, sostenendo che è la
situazione di fatto più che una Carta, buona o cattiva che sia, a
determinare il tasso di democrazia di un Paese. Mettiamo fra
parentesi l’indignazione posticcia di Renzi, mera posa retorica, e
concentriamoci sul ragionamento: la costituzione materiale si impone
a lungo andare su quella formale. Non occorreva volare in Africa per
appurarlo: basta tenere a mente l’esperienza di Weimar e quello che
ovunque sta avvenendo nell’Europa odierna, dove le norme
fondamentali vengono svuotate di significato, talora espressamente
(nuova formulazione dell’art. 81 in Italia), talvolta senza
clamori. Si tratta di una considerazione alquanto banale per chi ha
una certa familiarità col marxismo: è la struttura (lo stato dei
rapporti economici all’interno di una società) a influenzare
potentemente la sovrastruttura (il diritto, in questo caso), non
viceversa. Il sentiero è però troppo impervio per Zagrebelsky,
democratico sincero e moderatamente “di sinistra”, ma anzitutto
giurista,
con tutto quel che ne consegue, soprattutto in termini di forma
mentis.
No, lui non voleva “svalutare” il diritto, bensì inserirlo in
una cornice non tanto economica quanto politica.
Nel
caso di specie il “contesto” che, combinandosi con la riforma in
atto, potrebbe condurre a un brusco passaggio dalla democrazia
all’autoritarismo in Italia è rappresentato – spero di aver bene
inteso il suo pensiero, ma questo ha detto – dalla vigenza di una
legge elettorale poco rispettosa della reale volontà degli elettori
e dall’emergere, a livello continentale, di destre nazionaliste e
xenofobe. Trattasi, in fondo, di argomento caro alla c.d. sinistra
dem, Bersani in testa, che si accontenterebbe di una riforma della
legge elettorale: esaudito il pio desiderio, il “ni” recentemente
evolutosi in un cauto “no” tornerebbe uno squillante “sì”.
Non so se l’ex Presidente veda la faccenda come la vede un Cuperlo,
penso onestamente di no, ma il monito sui pericoli di una deriva di
destra (nel senso di fascista-nazionalista), ripetuto più volte, non
lascia dubbi su chi, per Zagrebelsky, sia l’avversario più
insidioso. D’altra parte, lui stesso ha chiarito di non scorgere
tentazioni autoritarie nell’attuale premier e nel suo esecutivo
(che pure non gli piace: il riferimento all’oligarchia
era una stilettata), ma di aver timore di futuri governi estremisti.
Mi
chiedo: si può considerare “contesto” una legge elettorale
sicuramente obbrobriosa, ma non ancora messa alla prova? Lo escludo:
essa è semmai un effetto
del contesto, una spia che segnala una situazione. Inoltre, al pari
della riforma Boschi, l’Italicum
è stata voluto e approvato dall’attuale maggioranza di governo,
non da una futuribile “destra nazionalista” dagli incerti
contorni. Stando così le cose, il “contesto” zagrebelskiano si
rivela del tutto evanescente, e soprattutto inverosimile: Renzi e i
suoi sarebbero una banda di dilettanti che, senza avvedersene,
dissodano il terreno a beneficio di forze ostili alla democrazia che,
un domani, potranno raccogliere senza fatica ciò che è stato
scriteriatamente seminato.
Questa
visione ha delle notevoli implicazioni, prima fra tutte
l’impossibilità, per chi la fa propria, di comprendere le ragioni
obiettive dell’odierna riscrittura della Carta fondamentale. E’
per questo che il professore, capace di rispondere brillantemente ed
esaurientemente al quesito “quali fra le numerose innovazioni
possono mettere a rischio la democrazia?”, si trova a mal partito e
a corto di argomenti quando la domanda è “ma per quali motivi è
stata concepita una riforma che può preludere a un’involuzione
autoritaria?”
Il
nodo resta irrisolto - semplicemente perché, partendo dalle premesse
citate, esso appare irrisolvibile. Ora, potrebbe anche darsi che, da
gentiluomo quel è, Zagrebelsky abbia voluto evitare, davanti a
milioni di telespettatori, uno sgradevole scontro frontale e abbia
schermato le sue reali convinzioni a proposito del governo Renzi: in
diritto vale però la volontà espressa, dichiarata, non quella
intima, ed è perciò sulla prima che dobbiamo basare il nostro
giudizio.
A
questa stregua, non è tanto partecipando alla trasmissione di
Mentana che egli avrebbe “sbagliato contesto”, quanto
individuandone uno ipotetico-fantastico in luogo di quello reale.
Il
vero
contesto
in cui riforma elettorale e costituzionale, ma anche Jobs act,
riforma della P.A. ecc. vedono la luce (e che dire dell’eliminazione
di soppiatto della black
list
dei paradisi fiscali?) è quello dell’offensiva finale della destra
non già “fascista”, bensì economico-finanziaria
contro il welfare e le istituzioni democratiche dell’Europa
continentale: lo scopo è quello di affiancare a un isterilimento dei
diritti sociali ed economici un accentuato accentramento dei poteri
decisionali, da attuarsi attraverso il potenziamento degli esecutivi
– affrancati dal controllo parlamentare, ma a loro volta
sorvegliati speciali della Commissione UE, che detta le regole
economiche e di bilancio - e la cancellazione (Province, ma anche
Comuni) ovvero l’annichilimento (Regioni, rese impotenti dalla c.d.
clausola di supremazia) degli enti territoriali intermedi.
Il
Nemico non sono i tartari di cui si attende istericamente l’arrivo:
è un’armata in giacca e cravatta che già occupa in forze il
territorio italiano ed europeo. Cerchiamo di tenerlo a mente e – al
prezzo di essere noiosi - di ricordarlo ogni giorno a chi ci sta
accanto, quale che sia il mestiere che fa.
1
Sembra che l’abbia sostenuto lui per primo. Nessuna sorpresa:
modestia, buon gusto, eleganza e cultura non sono certo i punti di
forza del buon amico del finanziere Serra.
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