LA SINISTRA SI E’ ESTINTA?
Riflessione “tiepida” su una scomparsa (niente
affatto misteriosa) denunciata dopo il 4 marzo
di
Norberto Fragiacomo
Il
più patetico De profundis per la
Sinistra antisistema è stato intonato domenica notte da quattro amichevoli
compagni al bar (per la precisione: in un locale di S. Lorenzo a Roma): il
giubilo non artefatto di Viola Carofalo e i bizzarri cori di vittoria degli
attivisti di Potere al Popolo hanno
meravigliato persino il cinico maratoneta Mentana.
Come
interpretare questa sorta di “allegria di naufragi”? Qualche buon bicchiere di
vino dei Castelli aiuta ma non basta, e la spiegazione non può essere
individuata nel fatto che le prime proiezioni assegnavano a PaP un 1,6% meno
deprimente del misero 1-1,1% effettivamente ottenuto: già in quel momento
l’accesso al Parlamento appariva irrimediabilmente precluso. Le vere ragioni di
tanto gaudio sono state parzialmente indicate dalla sorridente “capo-partito”:
un pugno di ragazzi napoletani partiti da un semisconosciuto centro sociale è
riuscito in meno di tre mesi a prendersi il Brancaccio, raccogliere una marea
di firme, presentare la lista in tutte le regioni italiane e guadagnarsi
qualche centinaio di migliaia di voti d’opinione. Avrebbe potuto aggiungere la
giovane partenopea, fosse stata più maliziosa: siamo stati capaci di
coinvolgere nel progetto partiti autentici (seppure in disfacimento) senza
lasciarcene fagocitare, ed anzi relegandoli a portatori d’acqua. A rivederla
così, la scenetta perde un po’ del suo tono parodistico, esprimendo piuttosto
il legittimo orgoglio di chi – come i diecimila a Cunassa – ha tenuto bene il
campo in mezzo alla disfatta generale. Legittimo orgoglio misto a sollievo: la reazione liberatoria rivela ciò che forse era
meglio non emergesse – il timore, serpeggiante fino all’ultimo, di andare
molto, ma molto peggio…
Resta
però un dato indiscutibile: per la Sinistra c.d. radicale la sconfitta del 4
marzo è più pesante – lo dicono i numeri – di quelle sofferte nell’ultimo
decennio da Sinistra Arcobaleno, Rivoluzione Civile[1] e via
dicendo. Pesante e (forse) definitiva.
In
un commento pubblicato a caldo su FB Roberto Preve ha lucidamente osservato che
se anche Potere al Popolo non avesse commesso alcun errore nel corso della
campagna elettorale (e invece ne ha fatti a iosa, sottolinea elencandoli) ben
difficilmente avrebbe superato l’1,5%.
Personalmente
concordo, con riferimento sia agli sfondoni che all'esito pronosticabile nel
caso fossero stati accuratamente evitati. Periodo ipotetico dell’irrealtà,
comunque: un movimento egemonizzato dai centri sociali non poteva che produrre
un antifascismo da museo delle cere, la beatificazione del migrante, pari
attenzione per i problemi seri e quelli fasulli (drammatizzazione della
disparità di genere in primis) e
addirittura il grottesco autogol su ergastolo e 41-bis[2]. Frutto
di un compromesso al ribasso è stata invece l’assenza di una linea precisa su
UE (e, di conseguenza, sullo
strumento-moneta unica), sostituita da due rette parallele destinate, come insegna
la geometria, a non toccarsi mai, e in ogni caso fatte apposta per confondere
le idee all'elettorato. Nel complesso un messaggio disorganico, una sintassi
politica pasticciata, che l’indifferenza politica dei media – di cui ovviamente PaP non ha colpa – ha impedito venisse in
piena luce. Ma non è per questi motivi – credo – che la lista ha finito per
attestarsi su un mesto 1%, e neppure per la discutibile scelta di presentare in
tv (le pochissime volte che sono stati ammessi) il volto simpatico ma ignoto
della Carofalo anziché, ad esempio, quello di Cremaschi o di qualche altro
leader con un minimo di esperienza: il destino era comunque già scritto.
La
riprova ci viene da due vicende elettorali diverse ma con qualche elemento di
affinità. Rispetto alle alleanze che l’hanno preceduta dal 2008 in avanti
quella nata a dicembre al Brancaccio scontava un handicap di partenza: il non
essere riconosciuta dall'informazione come “sinistra estrema” – con tutto ciò
che questo comporta in termini di visibilità: si sparli purché si parli! -, essendole stato scippato questo ruolo
dal lacerto di PD ribattezzatosi Liberi
e Uguali. Quel che penso di questa formazione è noto, non merita ribadirlo;
qui mi interessa l’aspetto comunicativo: LeU aveva leader riconoscibili (fin
troppo, nel caso di D’Alema), era di casa in televisione e veniva accreditata
di un 5-6% di preferenze, che nelle speranze… di Speranza sarebbero addirittura
raddoppiate alla prova del voto. La realtà dei conteggi è stata un trauma:
soglia del 3% superata di un soffio, un’esigua pattuglia eletta in Parlamento
con i resti dei resti[3].
Altro
esempio, non meno calzante è quello offertoci dal Partito Comunista di Marco Rizzo. Non ha certo goduto di più spazio
mediatico rispetto a Potere al Popolo, anzi, però l’ha usato incomparabilmente
meglio: anzitutto ha parlato unicamente con la voce convincente del suo
fondatore e segretario, che è stato capace – nell'ordine – di attirare simpatie
e attenzione sul progetto, di comunicare con chiarezza un programma già coerente
di suo; di far presente, infine, che l’orizzonte non era quello banalmente
elettorale e l’approdo è ben altro che Montecitorio. Rammento un sondaggio di
gennaio, che dava il PC al 2% mentre PaP annaspava: il risultato finale,
tuttavia, è stato lo 0,30%, cioè poco più di niente (sempre in termini
elettorali), anche a tener conto del fatto che la lista non ha raccolto firme
sufficienti in parecchie regioni.
Cosa
significa questo, forse che gli italiani sono ormai del tutto impermeabili alle
“vecchie ideologie[4]” e hanno voltato loro con
disprezzo le spalle? Non la metterei in questi termini. Partiamo da un dato:
hanno votato tre italiani su quattro. Sarà anche la percentuale più bassa mai
registratasi, ma nelle attuali circostanze è comunque altissima: i commentatori possono raccontarci le fandonie che preferiscono,
ma nessuno contava su un 73% di votanti. Gli italiani sono andati alle urne per
esprimere un voto preoccupato, attento e calcolato – così la vedo io.
“Calcolato”/meditato non significa lungimirante, e “preoccupato” non equivale a
terrorizzato: ho inteso dire che ci troviamo alle prese con una scelta fatta su elementi concreti,
non in base ad entusiasmi o astrazioni. Reputo verosimile che il proletariato
meridionale sia stato attratto dalla promessa grillina del reddito di
cittadinanza, una sorta di ultima spiaggia per chi vede il lavoro come un
miraggio; parimenti non mi sorprendo granché nel constatare che le maestranze
del Nord Italia sono tornate a votare Lega – l’hanno già fatto ai tempi di Bossi
– come reazione alla duplice minaccia rappresentata dalla costante crescita nei
territori del numero di stranieri percepiti come non integrabili e dalle
delocalizzazioni (queste sì davvero “selvagge!”) attuate sistematicamente sulla
pelle operaia dalle multinazionali[5].
L’opzione
Sinistra non è stata semplicemente presa in considerazione dall’elettorato,
poiché le forze che professano il marxismo nella sue varie sfumature sono state
giudicate incapaci di incidere, fuori dai giochi, irrilevanti. Messe da
parte, più che esplicitamente rifiutate.
Ad
essere sconfitto, assieme alla c.d. Sinistra, è stato il voto d’opinione – un
lusso che oggi può concedersi soltanto chi ha un posto di lavoro relativamente
sicuro, qualche soldino in tasca e tempo e idee da perdere sui social. Che
Facebook fosse uno specchio deformante, d’altronde, potevamo indovinarlo anche
prima: arduo ipotizzare, anche per i più ottimisti, che nell’Italia reale a
disputarsi il successo fossero effettivamente LeU, PaP, PC, Per una Sinistra
Rivoluzionaria (e, al limite, Casa Pound).
Il
crepuscolo elettorale delle forze di sinistra non coincide però fatalmente con
la scomparsa dei valori cui esse si ispirano[6]: molti
degli elettori del M5S e persino della Lega sono dei “nostri”, e perciò
recuperabili (almeno in teoria). Non nel breve termine, comunque: hanno
espresso in maggioranza un sostegno convinto a quei movimenti, e potrebbero
tornare “a casa” (in una casa ristrutturata a dovere) solo a certe condizioni,
fra loro alternative. Provo ad elencarle: un clamoroso tradimento degli impegni
presi da parte dei grillini, l’attuazione brutale da parte di Salvini di certi
suoi progetti fintamente progressisti (la “piccola gente” si accorgerebbe ben
presto che la Flat tax è una fregatura epocale), la resa di entrambi i
vincitori ai diktat dell’Unione Europea, seguita dall’ingresso in una
coalizione di “responsabili” al servizio del tecnico-macellaio di turno.
Queste
evenienze potrebbero senz'altro verificarsi, ma l’evolversi del presente in
qualsivoglia direzione non dipende da noi. All'irrilevanza elettorale, d’altra
parte, non si può rimediare con un abracadabra rivoluzionario, per la banale
ragione che, al momento, i nostri potenziali seguaci hanno dato credito ad
altre forze e, conseguentemente, non si lancerebbero anzitempo in avventure
scriteriate. Noi rivoluzionari da blog dobbiamo prendere atto che siamo
l’avanguardia di masse che popolano le nostre fantasticherie e qualche post
dettato dall'ebbrezza, non certo il mondo reale.
Un
tanto non implica necessariamente l’inerzia: sarà nostro dovere sostenere chi,
in un momento complesso e sfavorevole, si dà da fare per rafforzare le proprie
posizioni e diffondere un messaggio al passo con i tempi.
Occorre
tuttavia smetterla con i velleitarismi e attestarsi su una linea difensiva
realistica, onde non disperdere le sempre più esigue forze a disposizione. Come
capita nel gioco dell’oca, il tiro di dadi della Storia e le nostre
inadeguatezze ci hanno riportato alla casella di partenza: proviamo a
considerarla un’opportunità, anziché piangere sconsolati sulle attuali
sciagure.
La
prima versione del Socialismo italiano ad affermarsi fu la sua variante c.d. municipale:
dopo averne conquistate silenziosamente parecchie, il giovane Partito
Socialista portò un’aria nuova nelle amministrazioni comunali, iniziando un
rapido processo di trasformazione dal basso. La principale di queste
realizzazioni a beneficio della classe lavoratrice (che, lo dico tra parentesi,
esiste e vota ancora) fu la creazione dal nulla dei servizi pubblici
locali, solo in un secondo momento – e quasi per forza d’inerzia –
regolamentati dal legislatore nazionale: un’innovazione rivoluzionaria che
segnò di fatto l’ingresso della mano pubblica nell’economia e pose un freno
all’ingordigia padronale.
Da
circa tre decenni, sotto la spinta della UE e dei suoi sponsor, assistiamo
all’inverso a una massiccia riprivatizzazione di ciò che dovrebbe essere
patrimonio collettivo e, contemporaneamente, a un subdolo tentativo di
intaccare l’autonomia politico-finanziaria degli enti locali, se non di
cancellarne l’esistenza stessa – in nome di economicità, efficienza ecc., cioè
dell’interesse del Capitale privato. Allora è proprio dai municipi che la
battaglia social-comunista deve ripartire, attraverso una strenua opposizione
alle logiche mercantili condotta con il coinvolgimento di popolazioni
annichilite e allo stremo.
Inutile
seguitare a ritagliarsi, fintantoché le condizioni generali non cambieranno, un
ruolo da comparse in competizioni elettorali dagli esiti per noi scontati e
deprimenti: ricominciamo dai Comuni, elaborando – oggi come allora –
ragionevoli programmi controcorrente da sottoporre a chi, una volta persuasosi
della loro utilità concreta, tornerà senza troppi sforzi a fidarsi di noi.
[1] Che a PaP potesse effettivamente andare molto, ma
molto peggio ce lo attesta proprio l’amara sorte di Antonio Ingroia, ritornato
sul “luogo del delitto” con una lista niente affatto disprezzabile, ma incapace
di schiodarsi dallo 0,0% di partenza. Più che muoversi, il cavallino è stato
subito rimosso dalla scacchiera…
[2] Perché in base ad uno schema tutt’altro che
indiscutibile, ma da certa sinistra indiscusso, la commissione di reati è
sempre da imputarsi allo sfruttamento e all’ingiustizia sociale, mai a quella
che E.A. Poe definiva perversità. In
certi ambienti va di moda vittimizzare il colpevole, se del caso
colpevolizzando le vittime.
[3] Non fosse per quest’ultimo (succoso) particolare
potremmo parlare di un remake della storia “La Sinistra e l’Arcobaleno” –
l’epilogo sarà comunque assai simile.
[4] Non solo a quelle di ispirazione marxista,
attenzione: i fascisti non dissimulati di Casa Pound sembravano in crescita
inarrestabile, gli allarmi si moltiplicavano e venivano diffusi mentre il loro programma – di schietta destra sociale
– seduceva persino qualche intellettuale formatosi a sinistra. Lo spettro del
Parlamento ridotto a “bivacco di manipolo” si è dissolto già domenica sera:
0,9% e tutti a casa! Scrissi prima delle elezioni: “Fascisti e Comunisti
giocavano a scopone / ma vinse il capitale, con l’asso di denari”. Non fa rima,
ma ritengo renda l’idea…
[5] Che a questo ceto la Lega possa dare la risposta
sperata è ovviamente illusorio: l’annuncio della Flat tax denuncia l’ideologia di destra economica che permea il
movimento salviniano e l’immensa distanza che separa quest’ultimo da destre
nazionaliste autrici di politiche di tutela delle classi lavoratrici, come il
PiS polacco (non a caso fiero avversario della Flat tax proposta dai liberal-liberisti di Piattaforma civica).
L’unica via per finanziare l’obbrobrio della “tassa piatta”, vale a dire per
regalare milioni a chi è già ricco e pochi spiccioli ai percettori di redditi
bassi, passa attraverso lo smantellamento di ciò che rimane dello Stato
sociale.
[6] Mi riferisco ai valori di
solidarietà, eguaglianza, giustizia sociale ecc., non alle fanfaluche buoniste
alla moda e ai diritti civili di conio sorosiano (che continuano ad attrarre
gli stolti).
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