PANE,
CITTADINANZA E SICUREZZA
di
Norberto
Fragiacomo
Più
ancora del borioso e divisivo Governo Renzi quello attuale sta
catalizzando su di sé sentimenti opposti, che vanno da
un’implacabile avversione a genuini entusiasmi (tralascio
l’opposizione sempre più sbracata del PD: fino a ieri viva voce
dei mercati, i suoi esponenti si sgolano oggidì nei panni di ultras
dello spread).
I
sostenitori, va riconosciuto, sono in larga maggioranza: le loro
schiere, tuttavia, sono per lo più formate da “gente comune” che
fa di necessità virtù, e per difetto di alternative affida le
proprie preci alla trimurti Conte-Di Maio-Salvini. Meno numerosi sono
coloro – in buona parte di provenienza marxista – che motivano il
proprio appoggio con argomenti più articolati, assegnando in
sostanza a questo anomalo esecutivo un ruolo che potremmo definire di
“guastatore” nei confronti del fortilizio europeo e liberista.
Eccesso di fiducia e ottimismo? Mi piacerebbe avessero ragione, ma a
essere onesto coltivo parecchi dubbi sugli intenti “rivoluzionari”
dei c.d. gialloverdi e soprattutto sulla loro determinazione, sulla
capacità di tenuta di fronte agli assalti esterni: benché
indebolita dalle stramberie di Trump, la finanza euroatlantica sa di
non potersi permettere una tattica attendista (e difatti ha già
scatenato il personale politico di servizio, da Juncker ai figuranti
piddini).
Del
pari non condivido l’atteggiamento di quanti (la quasi totalità
della sinistra-sinistra) contestano il governo qualsiasi cosa faccia,
scorgendo dietro ogni sua azione un perfido inganno. Si tratta di una
condanna aprioristica, che non abbisogna di prove perché fondata sul
“fatto notorio” che le forze politiche al potere sarebbero
fasciste, razziste ecc.1
Questa posizione appare dialetticamente robusta solo perché
puntellata dai media e dai loro ispiratori, che comprensibilmente la
giudicano funzionale alle proprie esigenze.
Personalmente
non mi dichiaro né a favore né contrario, considerato anzitutto il
poco tempo trascorso dall'insediamento: all'indomani del voto
espressi scetticismo sulla bontà dei programmi elettorali di Lega e
5Stelle, ma qualche mese dopo sostenni il loro diritto a governare
contro chi voleva a tutti i costi la nascita di un esecutivo
“tecnico”, cioè votato dai mercati. Ho approvato (con le debite
riserve) il Decreto Dignità, riconoscendovi un passo di lato
rispetto alla precedente marcia liberista, nonché l’accordo
sull'Ilva e la posizione assunta sulle concessioni autostradali, ma
alle promesse dovranno seguire i fatti, e le azioni dei nostri
neofiti tradiscono sovente un certo impaccio.
Di sicuro questo governo tricipite si distacca dai precedenti sotto il profilo dei comportamenti pubblici - comportamenti intesi in senso stretto. Per enfatizzare la “novità Monti” i media si gettarono come tarme sul suo loden, con il giovane (per antonomasia) Matteo Renzi il gioco fu ancor più facile, ma entrambi i premier si limitarono ad adattare il “politichese” alle proprie esigenze, interfacciandosi col popolo solo per ammonirlo/educarlo (il primo) e per blandirlo grossolanamente (il secondo). Concluso il bagnetto di folla, le distanze con le masse permanevano inalterate. I nuovi arrivati, invece, appaiono diretti e spontanei – talora persino naif. I sorrisi e la gestualità di Conte non hanno nulla di artefatto, e lo stesso Matteo Salvini – benché sia un comunicatore abilissimo – sembra trovarsi a suo agio in ogni occasione. La sorpresa però è Di Maio: prima delle elezioni veniva descritto come un post-democristiano, un moderato grigio e calcolatore – oggi scopriamo in lui un capopopolo tagliente, pugnace e incisivo. A impressionare non sono gli strafalcioni (ingigantiti dall'ostile propaganda mediatica: in realtà parla piuttosto bene), ma schiettezza e assenza di “diplomazia”: adopera quasi sempre a proposito termini forti – si pensi all'uscita sull'infame Jobs act – e quando c’è da contrattaccare UE, istituzioni e Moscovici vari non si tira affatto indietro. Più che un vicepremier pare un militante arrabbiato - e questo agli italiani non dispiace, dopo anni di euroinchini e concioni sulla responsabilità in salsa globalista. Populismo? Senz'altro, ma l’azzeramento delle citate distanze unito alla passione – che presumo sincera – scalda i cuori come non accadeva da tempo. Non è tutto: quest’anomala maggioranza cresce nei consensi anche perché pare intenzionata ad attenersi ai programmi elettorali. Le campagne passate ci avevano abituato a un massimalismo parolaio (tanto a destra quanto a “sinistra”) che poi, a urne chiuse, cedeva il passo a sano realismo neoliberale: per anni i desiderata delle lobby sono stati esauditi al volo, senza bisogno di diffide – anche i toni dei politicanti, in precedenza accesi, si ammorbidivano di colpo al primo ingresso in parlamento. Adesso sembra accadere l’esatto contrario: ai placidi ammiccamenti (all'Unione, alla finanza ecc.) di gennaio-febbraio hanno fatto seguito un piglio deciso, una retorica incendiaria.
Non
si tratta solamente di chiacchiere: la scelta – al limite della
temerarietà – di alzare il deficit al 2,4% del PIL ha anzitutto
una valenza simbolica: è quasi un guanto di sfida alla Commissione
UE. Poco importa che negli esercizi scorsi la soglia sia stata quasi
sempre raggiunta, talvolta superata: le stime iniziali erano
ossequiosamente basse, i successivi via libera piatiti in cambio di
concessioni – e comunque il surplus ha imbandito le tavole
di banchieri, grandi imprenditori, finanzieri ecc. I mercanti possono
accettare sotterfugi e furberie, non l’insubordinazione –
poiché una rivendicazione di sovranità è ai loro occhi blasfema
negazione della tesi globalista e pan-finanziaria che ha inferto alla
nostra Costituzione la ferita purulenta del nuovo articolo 81 (L.
Cost. 1/2012).
Non
è casuale che i bigotti del pensiero unico vadano ripetendo in giro,
in queste giornate d’ottobre, che la manovra abbozzata nel Def
sarebbe “incostituzionale” perché contraria alle regole del
pareggio di bilancio su cui, secondo l’articolo 1 della loro
Costituzione materiale, la Repubblica (ex) democratica si fonda2.
Ma è
davvero così innovativa ‘sta benedetta manovra? Direi di sì,
anche se la presenza di un elemento di novità non equivale di per sé
a certificato di garanzia… di sicuro il ritorno a un sistema
pensionistico a misura d’uomo e il c.d. reddito di cittadinanza di
marca 5stelle segnano ulteriori passi di lato dopo quelli citati in
apertura3.
Del reddito si sa ancora poco, se non che dovrebbe partire dai 780
euro mensili netti e che sarebbe erogato sotto forma di carta
prepagata. La card – ci dicono – sarà utilizzabile per
l’acquisto di generi di prima necessità e comunque non voluttuari:
sempre che non si voglia imporre ai fruitori una dieta salutista
(questa sì sarebbe una mancanza di rispetto!) ha tutta l’aria di
una misura di buon senso, più che da “Stato etico”. Il risultato
prevedibile? Una larga fascia di popolazione, oggi impossibilitata a
farlo, ricomincerebbe a consumare, con benefici effetti sulla domanda
di beni e servizi (che, come Keynes insegna, è la benzina del
reddito nazionale, cioè del PIL). Si può non essere entusiasti
dello strumento (io non lo sono: da socialista preferisco i
diritti4),
ma esso potrebbe favorire la crescita anziché preconizzate derive
oblomoviane, visto e considerato che per non perdere il beneficio
toccherà seguire corsi di formazione, prestare attività a favore
della comunità ecc. Una mano offerta ad amministrazioni locali in
disarmo perché strangolate da un decennio di lacci legislativi
sarebbe benvenuta e preziosa anzitutto per i cittadini, ma c’è
un’altra ricaduta positiva che preme sottolineare: disporre del(lo
stretto) necessario per vivere significa non essere più costretti ad
accettare qualsiasi lavoro, anche degradante e schiavistico.
Il reddito pentastellato potrebbe infrangere le catene di riders,
operatori di call center, raccoglitori di pomodoro ecc.,
costringendo la parte datoriale ad offrire condizioni decenti. Ai
negrieri la cosa non andrà ovviamente a genio… peggio per loro: se
il risultato dell’introduzione fosse un rapido affrancamento dalla
servitù la parola “cittadinanza” non sarebbe stata spesa a
sproposito.
Chiaramente
non è tutto similoro quel che luccica.
L’attuale
esecutivo sembra aver ereditato dai predecessori la convinzione che
il modo migliore di affrontare le criticità sia aggravare le
sanzioni esistenti e introdurne di nuove: quest’approccio ha reso
ormai l’Italia un Paese in cui dei reati più gravi si occupa
Beccaria, di quelli minori e delle infrazioni d’altra natura
Dracone.
Il
Decreto Sicurezza e Immigrazione, firmato ieri dal Presidente della
Repubblica, è farina del sacco leghista, ma è stato apertamente
condiviso da Giuseppe Conte: esprime dunque anche il punto di vista
dei 5stelle sulle due tematiche. Che sia un provvedimento da “destra
d’ordine” è innegabile, che s’ispiri a logiche liberticide
(come taluni pretendono) mi pare francamente esagerato.
All'interno
del Titolo I, dedicato all'immigrazione, la norma che ha forse
suscitato maggior scalpore
è quella - contenuta nell'articolo 14, comma 1, lett. d)5
- relativa alla revoca della cittadinanza (ecco un tema che ritorna,
stavolta in differente contesto). Essa prevede che lo
straniero/apolide che abbia acquisito la cittadinanza italiana in
conseguenza della nascita sul territorio nazionale (naturalmente al
raggiungimento della maggiore età), per matrimonio ovvero
concessione presidenziale sia privato del beneficio ove riconosciuto
colpevole, con sentenza passata in giudicato, di uno fra i delitti
espressamente indicati, tutti ascrivibili alla categoria “terrorismo”
(d. commessi per finalità di terrorismo o di
eversione dell'ordinamento costituzionale per i quali la legge
stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel minimo a cinque
anni o nel massimo a dieci anni, delitti di associazione
terroristica, banda armata, assistenza
ai membri di associazioni sovversivi o terroristiche, addestramento
ad attività con finalità di terrorismo anche internazionale).
Una
prima annotazione: già a legislazione vigente la
cittadinanza si può perdere.
I casi sono quelli di prestazione del servizio militare o di
assunzione di un impiego presso uno Stato in guerra con il nostro et
similia.
La
perdita è dunque conseguenza di quello che potremmo definire lato
sensu
un “tradimento”, cioè di una condotta infedele nei confronti
della Nazione: aggiungere alle fattispecie già previste gli atti di
terrorismo non è evidentemente irragionevole, visto che la loro
commissione configura un’esplicita dichiarazione di guerra allo
Stato.
Ciò
che differenzia l’ipotesi di nuovo conio dalle precedenti è il
fatto che a poter essere spogliati della cittadinanza non sono tutti
gli italiani, ma soltanto quelli di origine straniera: in questa
disparità di trattamento consisterebbe l’ipotizzata
incostituzionalità della disposizione.
La
scelta legislativa non è frutto del caso o di astratte valutazioni:
il chiaro intento è quello di dare una risposta adeguata a certi
comportamenti delinquenziali che, riportati dai media, hanno
suscitato notevole sgomento nell'opinione pubblica.
Ora,
si potrebbe argomentare che se il cittadino “di sangue italiano”
viene privato del suo status
per essersi arruolato in un esercito straniero analoga sorte andrebbe
riservata a tutti coloro che, indipendentemente dalla nazionalità
degli antenati, imbracciano le armi senza vestire una divisa: a
violazione simile sanzione affine! Si è voluto invece dare un
esempio, e non sempre gli esempi sono compatibili con le regole
giuridiche… Una possibile linea difensiva da adottare in una futura
controversia sarebbe la seguente: chi, non essendo nato italiano,
chiede di diventarlo si assume (senza che nessuno glielo imponga) un
impegno e una responsabilità maggiori di quelli richiesti
all’autoctono – pertanto la violazione del patto di cittadinanza
è più grave, e giustifica un trattamento particolarmente severo. Ad
ogni buon conto direi che l’articolo 14 introduce una forzatura non
necessaria.
Più
insidiose sono, a parere dello scrivente, alcune disposizioni
rinvenibili nel Titolo II, miranti a reprimere condotte delittuose.
L’idea di dotare le polizie locali dei grossi centri urbani di armi
a impulso elettrico (art. 19) suscita senz'altro curiosità, ma gli
articoli 30, 31 e – soprattutto – 23 destano sincera
preoccupazione. Le prime due norme inaspriscono – raddoppiandole –
le pene per chi promuove od organizza l’occupazione arbitraria
(ovvero l’attua in armi) di terreni od edifici altrui ed estendono
a detta fattispecie l’impiego delle intercettazioni. Ora è palese
che la formula dell’articolo 633 c.p. (“invade
arbitrariamente terreni o edifici altrui”)
ricomprende condotte diversissime, che vanno dal rifugiarsi per
disperazione in una casa sfitta al sottrarla per biasimevoli fini al
povero proprietario, e dunque risulta difficile valutare
l’opportunità dell’innovazione, fermo restando che malizia
suggerisce di interpretarla (anche) come un segnale mandato a certe
frange di sinistra.
Suscita
invece allarme autentico - perché foriero di pesanti conseguenze -
l’articolo 23 del decreto. Fino a ieri il blocco delle strade era
punito con una sanzione pecuniaria neppure penale, bensì
amministrativa: da oggi viene equiparato a quello (infinitamente più
pericoloso per l’incolumità dei viaggiatori!) delle vie ferrate, e
chi lo commette incorre in una sanzione fino a sei anni di galera.
Altra novità: una condanna definitiva per il delitto in questione
impedisce l’ingresso in Italia dello straniero. Attenzione: il
blocco stradale è ormai assurto a consueto strumento di pressione
esercitato dai lavoratori a fronte di crisi occupazionali,
delocalizzazioni ecc… si tratta in fondo di una modalità di
protesta clamorosa ma pacifica, che non arreca grossi danni a chi la
subisce.
Ecco:
questa norma sembra pensata per comprimere drasticamente la “forza
contrattuale” dei lavoratori, che si esprime da sempre attraverso
la lotta – nel caso di specie una lotta non cruenta, ma che viene
perseguita come se lo fosse.
Siamo
allora alle avvisaglie di un fascismo prossimo venturo, come
pretendono certuni? Non direi: questa deplorevole scelta normativa è
pienamente in linea con quelle fatte negli ultimi anni, nel nostro e
in altri Paesi “democratici” come USA, Spagna ecc., da governi
considerati rispettabili. La cosa peraltro non mi rasserena: non sta
scritto da nessuna parte che l’autoritarismo debba presentarsi in
orbace. Se non sbaglio, questo Pasolini l’aveva capito…
all’incirca mezzo secolo fa.
Nemo
propheta in patria.
1
Amano ripetere costoro che questo sarebbe “il governo più a
destra della storia della Repubblica”: già obliata la macelleria
sociale di Monti? Pardon,
dimenticavo: il cattedratico e i suoi professavano l’antifascismo
di rito!
2
Ecco un esempio da manuale di propaganda neoliberista, a dire il
vero anche piuttosto sfacciata:
http://ilpiccolo.gelocal.it/italia-mondo/2018/10/03/news/il-no-all-indebitamento-e-scolpito-nella-costituzione-1.17313092?ref=hfpitsbo-1
3
La flat tax
chiaramente no: è robaccia liberista, anche se pensata per favorire
i ceti medio-alti che del leghismo costituiscono la spina dorsale.
D’altronde, lo dicevamo, quella al governo è una strana coppia di
fatto…
4
D’altra parte il paragone fra il reddito e l’elemosina di Renzi
in nome della comune appartenenza alla categoria “assistenzialismo”
mi sembra onestamente surreale.
5
Nel
suo complesso l’articolo consta di n. 3 commi e apporta alcune
modifiche alla vigente Legge n. 91/1992 “Nuove norme sulla
cittadinanza”.
La vignetta è del Maestro Mauro Biani
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