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domenica 14 ottobre 2018

PANE, CITTADINANZA E SICUREZZA di Norberto Fragiacomo




PANE, CITTADINANZA E SICUREZZA
di
Norberto Fragiacomo



Più ancora del borioso e divisivo Governo Renzi quello attuale sta catalizzando su di sé sentimenti opposti, che vanno da un’implacabile avversione a genuini entusiasmi (tralascio l’opposizione sempre più sbracata del PD: fino a ieri viva voce dei mercati, i suoi esponenti si sgolano oggidì nei panni di ultras dello spread).
I sostenitori, va riconosciuto, sono in larga maggioranza: le loro schiere, tuttavia, sono per lo più formate da “gente comune” che fa di necessità virtù, e per difetto di alternative affida le proprie preci alla trimurti Conte-Di Maio-Salvini. Meno numerosi sono coloro – in buona parte di provenienza marxista – che motivano il proprio appoggio con argomenti più articolati, assegnando in sostanza a questo anomalo esecutivo un ruolo che potremmo definire di “guastatore” nei confronti del fortilizio europeo e liberista. Eccesso di fiducia e ottimismo? Mi piacerebbe avessero ragione, ma a essere onesto coltivo parecchi dubbi sugli intenti “rivoluzionari” dei c.d. gialloverdi e soprattutto sulla loro determinazione, sulla capacità di tenuta di fronte agli assalti esterni: benché indebolita dalle stramberie di Trump, la finanza euroatlantica sa di non potersi permettere una tattica attendista (e difatti ha già scatenato il personale politico di servizio, da Juncker ai figuranti piddini).
Del pari non condivido l’atteggiamento di quanti (la quasi totalità della sinistra-sinistra) contestano il governo qualsiasi cosa faccia, scorgendo dietro ogni sua azione un perfido inganno. Si tratta di una condanna aprioristica, che non abbisogna di prove perché fondata sul “fatto notorio” che le forze politiche al potere sarebbero fasciste, razziste ecc.1 Questa posizione appare dialetticamente robusta solo perché puntellata dai media e dai loro ispiratori, che comprensibilmente la giudicano funzionale alle proprie esigenze.
Personalmente non mi dichiaro né a favore né contrario, considerato anzitutto il poco tempo trascorso dall'insediamento: all'indomani del voto espressi scetticismo sulla bontà dei programmi elettorali di Lega e 5Stelle, ma qualche mese dopo sostenni il loro diritto a governare contro chi voleva a tutti i costi la nascita di un esecutivo “tecnico”, cioè votato dai mercati. Ho approvato (con le debite riserve) il Decreto Dignità, riconoscendovi un passo di lato rispetto alla precedente marcia liberista, nonché l’accordo sull'Ilva e la posizione assunta sulle concessioni autostradali, ma alle promesse dovranno seguire i fatti, e le azioni dei nostri neofiti tradiscono sovente un certo impaccio.

Di sicuro questo governo tricipite si distacca dai precedenti sotto il profilo dei comportamenti pubblici - comportamenti intesi in senso stretto. Per enfatizzare la “novità Monti” i media si gettarono come tarme sul suo loden, con il giovane (per antonomasia) Matteo Renzi il gioco fu ancor più facile, ma entrambi i premier si limitarono ad adattare il “politichese” alle proprie esigenze, interfacciandosi col popolo solo per ammonirlo/educarlo (il primo) e per blandirlo grossolanamente (il secondo). Concluso il bagnetto di folla, le distanze con le masse permanevano inalterate. I nuovi arrivati, invece, appaiono diretti e spontanei – talora persino naif. I sorrisi e la gestualità di Conte non hanno nulla di artefatto, e lo stesso Matteo Salvini – benché sia un comunicatore abilissimo – sembra trovarsi a suo agio in ogni occasione. La sorpresa però è Di Maio: prima delle elezioni veniva descritto come un post-democristiano, un moderato grigio e calcolatore – oggi scopriamo in lui un capopopolo tagliente, pugnace e incisivo. A impressionare non sono gli strafalcioni (ingigantiti dall'ostile propaganda mediatica: in realtà parla piuttosto bene), ma schiettezza e assenza di “diplomazia”: adopera quasi sempre a proposito termini forti – si pensi all'uscita sull'infame Jobs act – e quando c’è da contrattaccare UE, istituzioni e Moscovici vari non si tira affatto indietro. Più che un vicepremier pare un militante arrabbiato - e questo agli italiani non dispiace, dopo anni di euroinchini e concioni sulla responsabilità in salsa globalista. Populismo? Senz'altro, ma l’azzeramento delle citate distanze unito alla passione – che presumo sincera – scalda i cuori come non accadeva da tempo. Non è tutto: quest’anomala maggioranza cresce nei consensi anche perché pare intenzionata ad attenersi ai programmi elettorali. Le campagne passate ci avevano abituato a un massimalismo parolaio (tanto a destra quanto a “sinistra”) che poi, a urne chiuse, cedeva il passo a sano realismo neoliberale: per anni i desiderata delle lobby sono stati esauditi al volo, senza bisogno di diffide – anche i toni dei politicanti, in precedenza accesi, si ammorbidivano di colpo al primo ingresso in parlamento. Adesso sembra accadere l’esatto contrario: ai placidi ammiccamenti (all'Unione, alla finanza ecc.) di gennaio-febbraio hanno fatto seguito un piglio deciso, una retorica incendiaria.

Non si tratta solamente di chiacchiere: la scelta – al limite della temerarietà – di alzare il deficit al 2,4% del PIL ha anzitutto una valenza simbolica: è quasi un guanto di sfida alla Commissione UE. Poco importa che negli esercizi scorsi la soglia sia stata quasi sempre raggiunta, talvolta superata: le stime iniziali erano ossequiosamente basse, i successivi via libera piatiti in cambio di concessioni – e comunque il surplus ha imbandito le tavole di banchieri, grandi imprenditori, finanzieri ecc. I mercanti possono accettare sotterfugi e furberie, non l’insubordinazione – poiché una rivendicazione di sovranità è ai loro occhi blasfema negazione della tesi globalista e pan-finanziaria che ha inferto alla nostra Costituzione la ferita purulenta del nuovo articolo 81 (L. Cost. 1/2012).
Non è casuale che i bigotti del pensiero unico vadano ripetendo in giro, in queste giornate d’ottobre, che la manovra abbozzata nel Def sarebbe “incostituzionale” perché contraria alle regole del pareggio di bilancio su cui, secondo l’articolo 1 della loro Costituzione materiale, la Repubblica (ex) democratica si fonda2.

Ma è davvero così innovativa ‘sta benedetta manovra? Direi di sì, anche se la presenza di un elemento di novità non equivale di per sé a certificato di garanzia… di sicuro il ritorno a un sistema pensionistico a misura d’uomo e il c.d. reddito di cittadinanza di marca 5stelle segnano ulteriori passi di lato dopo quelli citati in apertura3. Del reddito si sa ancora poco, se non che dovrebbe partire dai 780 euro mensili netti e che sarebbe erogato sotto forma di carta prepagata. La card – ci dicono – sarà utilizzabile per l’acquisto di generi di prima necessità e comunque non voluttuari: sempre che non si voglia imporre ai fruitori una dieta salutista (questa sì sarebbe una mancanza di rispetto!) ha tutta l’aria di una misura di buon senso, più che da “Stato etico”. Il risultato prevedibile? Una larga fascia di popolazione, oggi impossibilitata a farlo, ricomincerebbe a consumare, con benefici effetti sulla domanda di beni e servizi (che, come Keynes insegna, è la benzina del reddito nazionale, cioè del PIL). Si può non essere entusiasti dello strumento (io non lo sono: da socialista preferisco i diritti4), ma esso potrebbe favorire la crescita anziché preconizzate derive oblomoviane, visto e considerato che per non perdere il beneficio toccherà seguire corsi di formazione, prestare attività a favore della comunità ecc. Una mano offerta ad amministrazioni locali in disarmo perché strangolate da un decennio di lacci legislativi sarebbe benvenuta e preziosa anzitutto per i cittadini, ma c’è un’altra ricaduta positiva che preme sottolineare: disporre del(lo stretto) necessario per vivere significa non essere più costretti ad accettare qualsiasi lavoro, anche degradante e schiavistico. Il reddito pentastellato potrebbe infrangere le catene di riders, operatori di call center, raccoglitori di pomodoro ecc., costringendo la parte datoriale ad offrire condizioni decenti. Ai negrieri la cosa non andrà ovviamente a genio… peggio per loro: se il risultato dell’introduzione fosse un rapido affrancamento dalla servitù la parola “cittadinanza” non sarebbe stata spesa a sproposito.

Chiaramente non è tutto similoro quel che luccica.
L’attuale esecutivo sembra aver ereditato dai predecessori la convinzione che il modo migliore di affrontare le criticità sia aggravare le sanzioni esistenti e introdurne di nuove: quest’approccio ha reso ormai l’Italia un Paese in cui dei reati più gravi si occupa Beccaria, di quelli minori e delle infrazioni d’altra natura Dracone.
Il Decreto Sicurezza e Immigrazione, firmato ieri dal Presidente della Repubblica, è farina del sacco leghista, ma è stato apertamente condiviso da Giuseppe Conte: esprime dunque anche il punto di vista dei 5stelle sulle due tematiche. Che sia un provvedimento da “destra d’ordine” è innegabile, che s’ispiri a logiche liberticide (come taluni pretendono) mi pare francamente esagerato.
All'interno del Titolo I, dedicato all'immigrazione, la norma che ha forse suscitato maggior scalpore è quella - contenuta nell'articolo 14, comma 1, lett. d)5 - relativa alla revoca della cittadinanza (ecco un tema che ritorna, stavolta in differente contesto). Essa prevede che lo straniero/apolide che abbia acquisito la cittadinanza italiana in conseguenza della nascita sul territorio nazionale (naturalmente al raggiungimento della maggiore età), per matrimonio ovvero concessione presidenziale sia privato del beneficio ove riconosciuto colpevole, con sentenza passata in giudicato, di uno fra i delitti espressamente indicati, tutti ascrivibili alla categoria “terrorismo” (d. commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordinamento costituzionale per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni o nel massimo a dieci anni, delitti di associazione terroristica, banda armata, assistenza ai membri di associazioni sovversivi o terroristiche, addestramento ad attività con finalità di terrorismo anche internazionale).

Una prima annotazione: già a legislazione vigente la cittadinanza si può perdere. I casi sono quelli di prestazione del servizio militare o di assunzione di un impiego presso uno Stato in guerra con il nostro et similia.
La perdita è dunque conseguenza di quello che potremmo definire lato sensu un “tradimento”, cioè di una condotta infedele nei confronti della Nazione: aggiungere alle fattispecie già previste gli atti di terrorismo non è evidentemente irragionevole, visto che la loro commissione configura un’esplicita dichiarazione di guerra allo Stato.
Ciò che differenzia l’ipotesi di nuovo conio dalle precedenti è il fatto che a poter essere spogliati della cittadinanza non sono tutti gli italiani, ma soltanto quelli di origine straniera: in questa disparità di trattamento consisterebbe l’ipotizzata incostituzionalità della disposizione.
La scelta legislativa non è frutto del caso o di astratte valutazioni: il chiaro intento è quello di dare una risposta adeguata a certi comportamenti delinquenziali che, riportati dai media, hanno suscitato notevole sgomento nell'opinione pubblica.
Ora, si potrebbe argomentare che se il cittadino “di sangue italiano” viene privato del suo status per essersi arruolato in un esercito straniero analoga sorte andrebbe riservata a tutti coloro che, indipendentemente dalla nazionalità degli antenati, imbracciano le armi senza vestire una divisa: a violazione simile sanzione affine! Si è voluto invece dare un esempio, e non sempre gli esempi sono compatibili con le regole giuridiche… Una possibile linea difensiva da adottare in una futura controversia sarebbe la seguente: chi, non essendo nato italiano, chiede di diventarlo si assume (senza che nessuno glielo imponga) un impegno e una responsabilità maggiori di quelli richiesti all’autoctono – pertanto la violazione del patto di cittadinanza è più grave, e giustifica un trattamento particolarmente severo. Ad ogni buon conto direi che l’articolo 14 introduce una forzatura non necessaria.
Più insidiose sono, a parere dello scrivente, alcune disposizioni rinvenibili nel Titolo II, miranti a reprimere condotte delittuose. L’idea di dotare le polizie locali dei grossi centri urbani di armi a impulso elettrico (art. 19) suscita senz'altro curiosità, ma gli articoli 30, 31 e – soprattutto – 23 destano sincera preoccupazione. Le prime due norme inaspriscono – raddoppiandole – le pene per chi promuove od organizza l’occupazione arbitraria (ovvero l’attua in armi) di terreni od edifici altrui ed estendono a detta fattispecie l’impiego delle intercettazioni. Ora è palese che la formula dell’articolo 633 c.p. (“invade arbitrariamente terreni o edifici altrui”) ricomprende condotte diversissime, che vanno dal rifugiarsi per disperazione in una casa sfitta al sottrarla per biasimevoli fini al povero proprietario, e dunque risulta difficile valutare l’opportunità dell’innovazione, fermo restando che malizia suggerisce di interpretarla (anche) come un segnale mandato a certe frange di sinistra.
Suscita invece allarme autentico - perché foriero di pesanti conseguenze - l’articolo 23 del decreto. Fino a ieri il blocco delle strade era punito con una sanzione pecuniaria neppure penale, bensì amministrativa: da oggi viene equiparato a quello (infinitamente più pericoloso per l’incolumità dei viaggiatori!) delle vie ferrate, e chi lo commette incorre in una sanzione fino a sei anni di galera. Altra novità: una condanna definitiva per il delitto in questione impedisce l’ingresso in Italia dello straniero. Attenzione: il blocco stradale è ormai assurto a consueto strumento di pressione esercitato dai lavoratori a fronte di crisi occupazionali, delocalizzazioni ecc… si tratta in fondo di una modalità di protesta clamorosa ma pacifica, che non arreca grossi danni a chi la subisce.
Ecco: questa norma sembra pensata per comprimere drasticamente la “forza contrattuale” dei lavoratori, che si esprime da sempre attraverso la lotta – nel caso di specie una lotta non cruenta, ma che viene perseguita come se lo fosse.

Siamo allora alle avvisaglie di un fascismo prossimo venturo, come pretendono certuni? Non direi: questa deplorevole scelta normativa è pienamente in linea con quelle fatte negli ultimi anni, nel nostro e in altri Paesi “democratici” come USA, Spagna ecc., da governi considerati rispettabili. La cosa peraltro non mi rasserena: non sta scritto da nessuna parte che l’autoritarismo debba presentarsi in orbace. Se non sbaglio, questo Pasolini l’aveva capito… all’incirca mezzo secolo fa.
Nemo propheta in patria.


1 Amano ripetere costoro che questo sarebbe “il governo più a destra della storia della Repubblica”: già obliata la macelleria sociale di Monti? Pardon, dimenticavo: il cattedratico e i suoi professavano l’antifascismo di rito!
2 Ecco un esempio da manuale di propaganda neoliberista, a dire il vero anche piuttosto sfacciata: http://ilpiccolo.gelocal.it/italia-mondo/2018/10/03/news/il-no-all-indebitamento-e-scolpito-nella-costituzione-1.17313092?ref=hfpitsbo-1
3 La flat tax chiaramente no: è robaccia liberista, anche se pensata per favorire i ceti medio-alti che del leghismo costituiscono la spina dorsale. D’altronde, lo dicevamo, quella al governo è una strana coppia di fatto…
4 D’altra parte il paragone fra il reddito e l’elemosina di Renzi in nome della comune appartenenza alla categoria “assistenzialismo” mi sembra onestamente surreale.
5 Nel suo complesso l’articolo consta di n. 3 commi e apporta alcune modifiche alla vigente Legge n. 91/1992 “Nuove norme sulla cittadinanza”.



La vignetta è del Maestro Mauro Biani







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