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giovedì 30 giugno 2011

L’IMPERIALISMO ASCARO D’ITALIA E LE ILLUSIONI DEMOCRATICHE


di Michele Basso

dal sito Sottolebandieredelmarxismo



C’è una grande eccitazione per le sberle elettorali toccate a Berlusconi e al Trota senior senatore Umberto (il padre di una trota non può essere un’aquila). Ma la sconfitta più grave del governo va ricercata altrove. C’è un modo sicuro per non capire la politica di un paese, ed è considerare isolatamente la politica interna da quella estera. Il governo si è indebolito anche e soprattutto perché l’imperialismo italiano ha perso una guerra. Non tutti se ne sono resi conto. L’Italia ha perso la condizione di assoluto privilegio nelle forniture di petrolio e i notevoli vantaggi per le sue aziende, che aveva grazie alla collaborazione con Gheddafi. Non è la causa principale della perdurante stasi dell’economia italiana, ma certamente ha inciso.

Approfittando delle ribellioni che scuotono l’Africa, i due imperialismi che storicamente più hanno sfruttato quel continente, e in parte continuano a sfruttarlo, il francese e l’inglese, si sono presentati in veste di liberatori, e il loro intervento si propone di controllare le rivolte, riportandole nell’alveo filoccidentale, di fare le scarpe al concorrente imperialismo italiano, nonché i soliti vantaggi elettorali e d’immagine. Il premio Nobel per la pace ha dato il suo benestare all’intervento armato (aiutandolo con micidiali missili, l’appoggio delle portaerei, e simili inezie). Mentre l’unilateralista Bush lasciava che l’Italia coltivasse il suo orticello libico, il “multilateralista” Obama ha preteso l’immediato allineamento. Il governo italiano, colpito in interessi vitali, non ha tentato difese, neppure sul piano puramente diplomatico, ma si è arreso subito, abbandonando al suo destino l’amico Gheddafi, cha a buon diritto ha gridato al tradimento. Sappiamo che lo scopo di una guerra non è distruggere l’avversario, ma imporgli la propria volontà, e il governo ha accettato persino di bombardare l’ex alleato, dopo l’arlecchinata di Bossi, che pretendeva di cronometrare il conflitto, fissando a priori la fine delle ostilità, come se si trattasse di una partita di calcio. Una resa così totale ha precedenti, non solo in Italia: nella guerra dei sette anni Federico II di Prussia catturò l’esercito sassone e lo costrinse a combattere per lui. Il governo italiano, però, non si è arreso a un grande condottiero, ma a Sarkozy, il Berlusconi francese, e gli ha dato pure il via libera per l’acquisto di industrie italiane. Se non può più essere amico e complice del vecchio padrone Gheddafi, Berlusconi cercherà di rimanere in Libia almeno come maggiordomo dei nuovi padroni.

Ma se la guerra di Libia durerà a lungo, con grande dispendio di mezzi e di denaro, il capitale francese dovrà vendere il bottino di aziende italiane alla Germania o alla Cina, quando i guerrafondai dalle mani bucate avranno difficoltà finanziarie.

Nella triste vicenda libica hanno avuto gran rilievo La Russa e Frattini, corsi subito a inginocchiarsi di fronte al capo degli aggressori Obama, implorando ordini. Ciò non ha impedito a La Russa di pavoneggiarsi in divisa militare nelle visite alle truppe, e di abbaiare agli antimilitaristi gridando “vigliacchi!”. Non c’è dubbio, la difesa degli interessi dell’imperialismo italiano è in buone mani, non c’è da stupirsi se anche nell’alta borghesia c’è chi vuole cambiare cavallo.

Pietro Ancona ha scritto che l’Italia è impegnata all'estero in missioni colonialiste come ascara degli Stati Uniti, il che ci suggerisce la denominazione di “imperialismo ascaro” per il nemico che si trova nel nostro paese. L’importante è che il proletariato non caschi in trappola, non solidarizzi in nessuna maniera con l’imperialismo italiano, quale che sia l’abito che indossa, leghista, berlusconiano, democratico, dipietrista, vendoliano, e che cerchi invece l’alleanza dei lavoratori francesi, inglesi, americani, e di quelli africani, che l’Europa lascia naufragare, quando non minaccia di riempirli di pallottole.

Questi problemi sono stati temporaneamente nascosti dalle omelie giornalistiche su Pisapia e consoci. Dopo averne letto una o due, non conviene perdere tempo con le altre. Le illusioni che diffondono sono incredibili e pericolose. Prendiamo ad esempio un articolo di Ugo Mattei (scelto perché non prolisso). Parla addirittura di nuova fase costituente per il nostro paese. Dopo una considerazione corretta: “stato e mercato, lungi dall’essere antitetici, sono il prodotto storico della stessa logica individualistica, gerarchica e competitiva...”, rovina tutto proponendo di imbrigliare entrambi con “processi politici autenticamente democratici e partecipativi”.(1) Non ha insegnato niente il precedente di “Mani pulite”? Doveva esserci il rinnovamento totale, e invece abbiamo avuto Berlusconi, Fini, Bossi e Casini.

In realtà, questi rinnovamenti in seno alla società borghese non sono più possibili, perché non abbiamo la democrazia sognata da Rousseau e tragicamente sperimentata da Robespierre, ma la democrazia imperialista, strettamente legata a stato, mercato, finanza, strutture monopolistiche. Quando prevalevano le piccole imprese, nessuna di esse aveva la forza per coartare la politica di una nazione. Oggi le multinazionali comprano deputati e senatori, determinano la politica di un paese, e, quando non riescono a forzare un governo o a tenere a freno la popolazione, chiamano il buttafuori di turno, come nel caso libico o della Costa d’Avorio o nel Bahrein. C’è già chi pensa di risolvere il problema della protesta sociale in Grecia con un golpe.

La seconda guerra mondiale ha visto la sconfitta dei paesi fascisti, ma, per un fenomeno conosciuto fin dall’antichità, i vinti hanno influenzato i vincitori. Con la differenza che, mentre la Grecia ha avuto una funzione di incivilimento nei confronti della rozza Roma, i fascismi vinti nel secondo macello imperialistico hanno insegnato metodi repressivi e di condizionamento della vita sociale che hanno reso puramente illusori i meccanismi democratici e liberali, ormai svuotati di ogni contenuto. Da comunisti, non sogniamo nessuna costituente, parola d’ordine adatta a una rivoluzione borghese, ma anacronistica in paesi capitalistici. La lotta deve portare al potere proletario, che si può realizzare solo in una repubblica dello stesso tipo della Comune, della repubblica dei consigli o dei soviet, che non ha niente a che fare con le istituzioni borghesi, col parlamentarismo, la divisione dei poteri, lo stato di diritto, e tutti gli strumenti che garantiscono il potere della borghesia, e al contempo illudono i proletari che, se voteranno in modo giusto, avranno voce in capitolo.

Michele Basso

5 giugno 2011

Nota

1. Ugo Mattei, “La svolta referendaria. Una fase costituente per il nostro paese”. Manifesto, 2/6/2911

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