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sabato 25 giugno 2011

SACRIFICI SENZA FINE (MA SOLO PER I LAVORATORI) di A. Madoglio




di ALBERTO MADOGLIO

dal sito Sottolebandieredelmarxismo



Tempi duri per i lavoratori, sia italiani che europei. Le rassicurazioni di chi cerca di convincerli che il peggio è passato, che il sistema economico mondiale ha tenuto ed è ormai instradato verso una solida ripresa, non hanno molto successo.
Infatti, le notizie che in questi giorni stanno arrivando dalle cancellerie del continente inducono pensare che il peggio, lungi dall’essere ormai alle spalle, sia in realtà davanti a noi.
La legge del mercato sta facendo il suo corso e presenta il conto. I debiti che all’inizio della crisi hanno colpito banche e industrie, non sono spariti. Sono stati semplicemente trasferiti, in buona parte, dai bilanci delle aziende a quelli degli Stati nazionali. La speranza della borghesia, nemmeno tanto nascosta, era che con questa opera di “socializzazione delle perdite”, si sarebbe permesso all’economia globale di riprendere slancio. Una crescita sostenuta avrebbe consentito di smaltire lo stock del debito accumulato, e di risolvere tutto al meglio. Le cose non sono andate affatto secondo queste, troppo facili e ottimistiche, previsioni.
Nonostante la crisi del 2007 abbia distrutto una percentuale enorme di “capitale” (intendiamo qui non solo azioni e investimenti, ma anche fabbriche e, ciò che più conta, capitale umano, cioè lavoratori), l’economia mondiale continua a stagnare.
Certo, qualche Paese va meglio, o forse, più esattamente, va meno peggio di altri, ma il quadro a livello globale è sostanzialmente negativo. Le tanto citate locomotive della ripresa, Cina e Germania, più che trainare gli altri Paesi, scaricano su questi ultimi i costi e le storture della loro struttura economica: in altre parole, invece di essere colpite anche loro dalla crisi, riescono (al momento) a farla sopportare ad altri.
Se si pensa che una situazione peggiore di quella che stiamo vivendo ormai da diversi anni è stata evitata col ricorso a misure di politica economica straordinaria (bassi tassi di interessi, finanziamenti alle imprese in crisi, creazione senza freni di carta moneta), si può immaginare quale sia la situazione in cui ci troviamo. In aggiunta, se le misure sopracitate, da straordinarie euna tantum diventano misure “normali”, il pericolo che la medicina possa uccidere, anziché guarire il malato, diventa sempre più reale. I segnali si possono già vedere. La politica del “denaro facile” ha fatto sì che tornasse prepotentemente alla ribalta la speculazione finanziaria sul mercato dei beni alimentari. I prezzi hanno raggiunto, e in alcuni casi superato, il record storico toccato nel 2008. Centinaia di milioni di persone sono, nuovamente, letteralmente condannate alla fame. Ciò causa ribellioni, rivoluzioni, sommovimenti di massa, che rendono complicati i piani dei padroni per risolvere i loro problemi.
I Paesi con le economie e le finanze più deboli, sono i primi a entrare in difficoltà e a dover imporre politiche di “lacrime e sangue” a quei settori della società che già sono stati duramente colpiti da quattro anni di recessione globale.

Due anelli deboli nella catena dell'euro: Roma e Atene

Citiamo due casi su tutti, l’Italia e la Grecia.
E’ bastato che nei giorni scorsi una società di rating abbassasse l’outlook (previsione) del nostro Paese da stabile a negativa, perché il governo fosse obbligato ad annunciare una manovra di bilancio di 40 miliardi per il 2014, con l’obiettivo di arrivare per quell’anno al pareggio di bilancio. Nelle stesse ore la Corte dei Conti ha affermato che, per rispettare i nuovi e più stringenti vincoli europei relativi al debito pubblico, si dovranno fare già dai prossimi anni una serie di manovre economiche di 40/45 miliardi di euro l’anno.
I giudici contabili, così come molti commentatori borghesi, hanno ricordato le finanziarie di Amato, Ciampi e Prodi per permettere l’entrata dell’Italia nell’euro. Si sbagliano. Se l’entità delle cifre fosse esatta, e noi ne dubitiamo (spiegheremo poi il perché), ciò che ci aspetta in futuro farà apparire ciò che successe negli anni Novanta, come una sobria e moderata politica di sacrificio.

La Finanziaria del governo: chi sacrifica cosa

In poche ore, dalla bocciatura emessa da Standard and Poor’s all’annuncio fatto dal Ministero delle Finanze, si sono sbriciolate le bugie che il governo ha raccontato negli ultimi mesi. Secondo Berlusconi, la crisi per noi non era stata particolarmente dura, il Paese aveva retto meglio di altri all’urto della recessione e i lavoratori continuavano a vivere felici e contenti. Non è mai stato così: abbiamo avuto dal 2007 centinaia di migliaia di licenziamenti, una caduta del potere di acquisto dei salari, un impoverimento generale di chi già prima non viveva nel lusso, il tutto ha infatti prodotto una serie di esplosioni sociali (il movimento degli studenti lo scorso inverno, scioperi e manifestazioni un po’ ovunque ecc.), soffocate solo grazie al ruolo delle burocrazie sindacali e politiche del movimento operaio.

La produzione industriale è ancora inferiore del 17% al livello che aveva nell’agosto 2008, data in cui convenzionalmente si fa iniziare la Grande Recessione. Adesso però ogni illusione è finita. I dettagli della manovra non sono noti, lo saranno forse a luglio, ma possiamo già dire chi pagherà: lavoratori, studenti, disoccupati. Sappiamo anche dove si andrà a colpire: pensioni (il direttore dell’Inps ha detto che il bilancio dell’ente è in regola ma bisogna lavorare di più), scuola pubblica (è stata presentata una proposta di legge per far pagare gli insegnanti di sostegno alle famiglie degli alunni che ne beneficiano, e questo è solo l’aperitivo, il resto saranno altre decine di migliaia di licenziamenti di insegnanti e personale amministrativo), tasse (si vuole aumentare l’iva, una tassa regressiva, cioè che colpisce maggiormente i redditi più bassi, sui beni di consumo), distruzione del residuo welfare pubblico ecc.
L’entità della manovra, e di quelle previste dalla Corte dei Conti, è basata su una crescita del Pil, che pur essendo moderata, rischia di essere, in sede di consuntivo, più bassa di quella stimata (come oramai accade da oltre un decennio), quindi alla fine i tagli al bilancio saranno maggiori di quelli annunciati.
E come l’esperienza di altri Paesi dimostra, manovre “lacrime e sangue” in un quadro di recessione economica hanno come risultato quello di peggiorare lo stato dell’economia, avvitandola in una spirale alla fine della quale c’è solo la soluzione Argentina, cioè il fallimento dello Stato.

La Grecia oltre l'orlo del baratro

Su questo ultimo punto, il Paese che fa scuola è la Grecia.
Dallo scorso anno, senza soluzione di continuità si sono avuti: manovre di bilancio che hanno imposto tagli draconiani, un costante peggioramento dei conti pubblici, una continua esplosione di conflittualità fra le masse lavoratrici elleniche che in questo modo si sono opposte a politiche sociali volte a far pagare esclusivamente a loro il costo della crisi.
Ora la resa dei conti sembra essere arrivata. Pur se l’esecutivo guidato dai socialisti del Pasok ha accettato i diktat di Fmi e Bce, varando un piano di privatizzazioni pari a 50 miliardi di euro (per avere un termine di paragone per l’Italia la cifra sarebbe di 300 miliardi), i mercati paiono ormai scommettere sulla bancarotta di Atene.
Le emissioni di titoli pubblici in alcuni casi hanno raggiunto il 22%, il che vuol dire, con un economia che vedrà il Pil calare per il quarto anno consecutivo, che più il Paese chiede soldi per uscire dalla crisi e più i suoi debiti aumentano esponenzialmente, con un meccanismo che non è azzardato definire usuraio.
Le istituzioni internazionali mettono in dubbio la concessione di ulteriori aiuti e, ciliegina sulla torta, la commissaria europea, dello stesso partito del premier Papandreu, ha per la prima volta affermato che il ritorno alla dracma come moneta nazionale è un’opzione sul tavolo. E’ difficile fare previsioni su un’ipotesi che al momento sembra improbabile, ma se ciò avvenisse le ripercussioni per l’intera costruzione europea di Maastrich sarebbero inimmaginabili: per le finanze pubbliche sarebbe come un effetto Leman Brothers, ma moltiplicato per cento.
Italia e Grecia, come abbiamo detto, sono solo due casi simbolo di un continente in crisi: Spagna, Portogallo, Irlanda, Est Europa, domani forse la Gran Bretagna, sono in una situazione simile.

Una medaglia che non ha solo il rovescio

Tuttavia, non ci stancheremo mai di ripeterlo, questo è solo un lato della medaglia.
Sull’altro appaiono le lotte che in questi mesi hanno sconvolto il mondo. Dalle rivoluzioni nel mondo arabo, alle mobilitazioni in Spagna e Grecia, alle embrionali esplosioni sociali che continuano a verificarsi in Italia, ultime, in ordine di tempo, quelle degli operai della Fincantieri di Genova e Castellammare.
Se il capitale si sta preparando a sferrare un duro colpo, forse decisivo, ai lavoratori, questi non devono farsi trovare impreparati. I giovani di Tunisia, Egitto, Siria, Libia e Yemen sono lì a dimostrarci che nulla è impossibile: che anche il regime più solido si sgretola di fronte alla potenza della mobilitazione delle masse proletarie.
E’ per questo obiettivo che dobbiamo impegnarci: per far sì che dopo i Paesi del Maghreb venga, finalmente, il turno degli operai, giovani, donne, immigrati che vivono in Italia. Solo i lavoratori e i giovani, e non Pisapia, De Magistris, Bersani, Vendola, Ferrero, che potranno mettere la parola “fine” a un sistema basato sullo sfruttamento più brutale, che condanna all’impoverimento la stragrande maggioranza della popolazione mentre qualche centinaio di grandi famiglie borghesi si arricchisce sempre di più.

Alberto Madoglio

8 giugno 2011

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