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giovedì 22 marzo 2012

La palude e lo tsunami


La rabbia è tanta in questo momento, ma mai come ora è necessario ragionare con freddezza, e senza nemmeno stare tanto a ricamare sopra le ragioni di una sconfitta epocale.
Il mondo del lavoro è tuttora globalmente diviso da quello padronale, perdere di vista questa elementare nozione di coscienza di classe, vuol dire votarsi al suicidio (e senza una qualche forma di condivisione della proprietà dei mezzi di produzione, tale divisione non solo permarrà ma si accentuerà, come già oggi sta accadendo ovunque nel mondo della globalizzazione a senso unico neoliberista) .
Gli interessi delle classi dirigenti del mondo padronale sono oggi vincenti per un semplice motivo che consiste nel fatto che, mentre esse sono organizzate e coordinate in maniera globale, il mondo del lavoro permane tuttora diviso e polverizzato in miriadi di movimenti che, su scala globale, risultano ancora del tutto inefficaci, non hanno cioè una organizzazione validamente combattiva e strutturata in ambito transnazionale. Non hanno ancora una V Internazionale.
Questo ovviamente facilita il compito a chi vuole applicare l'antica norma del “divide et impera” e tale scopo è reso ancor più semplice dalla metamorfosi di quel mondo sindacale che dovrebbe invece tutelare i diritti dei lavoratori ormai, non solo su scala nazionale, ma ancor di più a livello globale, e che oggi, a poco a poco, si sta integrando nella scala gerarchica di un nuovo medioevo feudale. Quello con il quale delle rigide gerarchie di comando e di controllo che non hanno nulla da invidiare al mondo in cui il potere era stratificato da norme ritenute eterne e fondate su un ordinamento creduto divino, attualmente, mutatis mutandis, gestiscono esseri umani, risorse economiche, patrimoni finanziari e i beni naturali, persino quelli indispensabili alla vita come l'acqua, per puri fini di profitto.
E' anche quello odierno un rigido e gerarchico ordinamento ritenuto divino, basato cioè sul credo nell'accumulazione di capitale: l'ultimo dio-mammona sopravvissuto su questo pianeta, dopo l'esodo e l' eclissi dei precedenti.
I sindacati italiani fanno ormai parte di questa ferrea gerarchia neofeudale, integrati come sono nelle strutture di mantenimento ed incremento dei poteri vigenti.
La loro assimilazione è stata progressiva ma inesorabile ed è avanzata con velocità esponenziale negli ultimi 15-20 anni.
Fino a qualche tempo fa a resistere in Italia era la CGIL, ma negli ultimi tempi anche dentro il più grande sindacato italiano si sono fatti sempre più evidenti segnali di cedimento e di corruzione interna: piccoli poteri, cordate, lotte intestine, artifici che non poco hanno indebolito la tenuta e la credibilità di un sindacato che a lungo a saputo resistere allo sbiadimento cromatico verso il giallo.
Possiamo dire che il suo “rosso” brilli ancora?
Non tanto..sicuramente non più di una volta e palesemente con improvvise intermittenze.
La battaglia sull'art. 18 la CGIL l'ha persa, e questa sconfitta però ha una forte valenza simbolica più che pratica, dato che il numero di lavoratori che utilizza tale norma si è affievolito progressivamente negli ultimi tempi. Un principio che però in futuro corre il rischio, con l'innalzamento dell'età pensionistica, di diventare nuovamente attualissimo, dato il pericolo sempre maggiore di rottamazione-oggettiva per lavoratori ultracinquantenni.
La foto della Camusso con la Marcegaglia e i due scherani del sindacalismo che ormai canta “bandiera gialla” in tutte le occasioni in cui si tratta di “cinesizzare” i lavoratori italiani, era già un triste preludio al contingente, ma la resa e l'isolamento di una FIOM già di per sé infiacchita da un gruppo dirigente alquanto strabico e indaffarato a fare da bordone ad una SEL infervorata nel volersi accreditare a tutti costi come alleato privilegiato del PD, e per altro scalciando in malo modo verso quella sinistra di ex compagni sprezzantemente definiti “troppo radicali”, ebbene questi infiacchimenti hanno resto estremamente fragile se non del tutto inconsistente l'argine che si poteva innalzare verso la spocchia professorale con cui si è ritenuto di volere esigere una chiusura immediata di tale vertenza.
Il mancato sciopero generale in occasione di quello della FIOM e una mancata manifestazione oceanica di resistenza preventiva, hanno immediatamente fatto scattare le misure che sono state prese, propiziando l'isolamento della CGIL nel suo complesso e la fretta con cui il gotha governativo ha sancito il suo diktat: “il caso è chiuso”.
Non pochi sono i sospetti che dentro la CGIL ci sia ormai un tarlo “collateralista”, o forse sarebbe meglio definirla “termite”, il cui scopo è lo spianamento di questo sindacato e l'ingiallimento della sua bandiera. Anche in passato è accaduto, in nome di governi definiti “amici” e forsetempo fa ci sono effettivamente stati governi “amici” della CGIL.
Ma oggi no, la CGIL non ha più governi “amici”, che se ne renda conto oppure no, non ha più sponde politiche di alcun genere ed il mondo politico dominante, anche senza legittimazione elettorale e democratica, ha il preciso scopo di smantellarla vanificandone del tutto il ruolo e dimostrando ai lavoratori che è meglio contare sulla compassione (più efficacemente sul prostituirsi) sempre più scarsa del “padrone” piuttosto che sulla lotta per mantenere, incrementare e condividere i diritti fondamentali, primi tra tutti quello al lavoro e alla formazione.
Quando un sindacato non è più il principale antagonista di uno Stato corrotto, inefficace, ingiusto e antidemocratico, quando tende ad identificarsi con esso per il mantenimento delle posizioni di privilegio e di potere, allora torna alla mente quella frase significativa del CHE che va tuttora letta in un'ottica concretamente rivoluzionaria: “Di una cosa sono sicuro, ed è che il sindacato è un freno che va distrutto, ma non con il sistema di esaurirlo:bisogna distruggerlo come si dovrebbe distruggere lo Stato in un momento.
Credo che questa “fatica”, perdurando tale stato di cose, ci sarà risparmiata, tanta è la capacità che oggi il sindacato mostra con tutta evidenza di saper distruggere se stesso.
Difficile però capire cosa possa subentrare al suo posto, dato che l'arcipelago di movimenti che oggi, pur rappresentando validamente la società civile come se non meglio del sindacato e pur ottenendo significativi risultati a cui esso stesso non poche volte rinuncia in partenza, come le battaglie referendarie, la lotta per la difesa del territorio, o il dialogo e non il ricatto sulle grandi opere, il contrasto sul terreno all'invadenza del crimine organizzato, la tutela dei consumatori, un consumo più equo e solidale, la vicinanza ai ceti più deboli e marginalizzati anche con forme varie di volontariato ecc., ebbene, tale universo in movimento, stenta molto a trovare una efficace capacità di coordinarsi a livello nazionale e transnazionale, pur mantenendo una straordinaria vitalità.
Esso è però ormai palesemente più del sindacato una forma organizzativa e di lotta assai efficace per mobilitare e contrastare certe politiche rovinosamente liberticide e tese allo sfruttamento brutale.
Per un vero salto di qualità occorre però che vi sia un orizzonte politico che ne sia lo specchio trasparente. Una forza plurale ma fortemente unitaria negli intenti e nel raccordo con la società civile, alla sinistra di un PD ormai allo sbando e di fatto completamente spaccato.
Un PD che ha rinunciato a vincere delle elezioni che aveva praticamente in tasca, proprio per scongiurare il rischio di una scissione e che, invece, oggi è già profondamente diviso per il sostegno dato ad un governo tecnocratico che mai, come era accaduto prima nella storia della nostra Repubblica, ha ridotto drasticamente i diritti ed innalzato vertiginosamente gli oneri solo per le solite categorie di cittadini, con il piglio e l'arroganza di un regime, forse anche peggiore di quello fascista. Perché il regime fascista un progetto di Stato sociale, anche se dittatoriale, sessita e poi razzista, lo aveva, mentre lo scopo del regime attuale è solo quello di demolire ogni traccia di Stato sociale, e pur restando sostanzialmente indifferente ad ogni forma di opposizione e di dissenso.
Il progetto di questo regime è quello di far sprofondare un intero Paese in una palude recessiva, per svendere il suo patrimonio vitale di beni e di ingegni al migliore offerente.
Lo scopo di questo regime è la morte della Patria.
Lo sciopero che oggi viene proclamato dalla CGIL è dunque il suo “canto del cigno", o almeno lo è quello di un segretario come la Camusso, una sorta di “Al lupo! Al lupo!” quando tutte le pecore sono state già massacrate.
Difficile assai che riesca, molto più facile che apra invece una ulteriore crepa nella credibilità della CGIL fino a farla diventare una voragine. La voragine della maggior retrocessione nei diritti pensionistici e del mondo del lavoro in tutta la nostra storia repubblicana.
A noi non resta che lottare e resistere, ripartendo dalle iniziative che ci fanno stare in mezzo alla gente più che nei convegni associativi o in quelli di partito, nei mercati, nelle piazze, nelle scuole, nelle fabbriche, nei luoghi più sperduti della sofferenza umana, e della lotta senza quartiere e senza resa, non solo nel nostro ma anche in altri paesi già falcidiati dalle rovinose politiche neoliberiste, per essere onda crescente di un movimento che un giorno contiamo possa diventare vero tsunami.
C.F

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