LA GERMANIA: UNA LOCOMOTIVA CHE NON TIRA PIU'
di Riccardo Achilli
Sono in pieno svolgimento le
trattative per la formazione del Governo di coalizione Cdu/Csu/Spd in Germania.
Il nucleo della trattativa è incentrato su questioni programmatiche interne,
che la Spd ritiene fondamentali per convincere i propri militanti, che saranno
consultati sul tema della partecipazione al governo del Paese.
Nel do ut des che si sta
profilando, la Spd sembra propensa a lasciare i temi della politica europea
all’esclusivo controllo della Merkel, e quindi di fatto ad una perfetta
continuità con l’austerità in atto dal 2010 ad oggi, che nella visione tedesca
corrisponde ad un interesse nazionale proprio.
I tre punti economici della
trattativa considerati imprescindibili dai socialdemocratici tedeschi
riguardano:
a) L’introduzione
di un salario minimo legale pari a 8,5 euro all’ora. Oggi non esiste uno “SMIC”
legalizzato i in Germania, ma di fatto la paga oraria di un mini-job al minimo è
di circa 4,8 euro all’ora, che rappresenta il salario minimo “implicito”;
b) l'aumento delle pensioni minime e la loro parificazione fra Est e Ovest
l’ Nell’insieme, il pacchetto
proposto dalla Spd comporta una richiesta di circa 50,5 miliardi fra
investimenti in scuole pubbliche, e spesa per voci sociali direttamente
collegate alla domanda per consumi.
Mentre gli ultimi due punti di
trattativa considerati imprescindibili sono ancora troppo generici per poterne
misurare l’impatto, sul primo si è già stimato che coinvolgerebbe il 17% degli
occupati attuali, che riceverebbero, in media, un incremento del 35% del loro
salario. Gli argomenti della Cdu, che vorrebbe confinare tale aumento a
specifici accordi contrattuali di settore ed aziendali, minacciando che potrebbe
compromettere la competitività delle imprese tedesche, non sta in piedi. Se è
vero che alcuni Paesi come Bulgaria e Romania hanno un salario minimo pari a 1
euro all’ora, o 2-2,5 euro all’ora, come nel caso della Polonia, della
Repubblica Ceca e dell’Ungheria, un eventuale incentivo alla delocalizzazione
di imprese tedesche incentivate dal basso costo del lavoro ci sarebbe comunque,
anche con l’attuale situazione di salario minimo “implicito” pari a 4,8 euro
all’ora.
Peraltro, l’esperienza francese
dello SMIC dimostra che, laddove le imprese siano effettivamente vincolate ad
una competizione sui costi, compensano i periodici “coups de pouce”, ovvero gli
incrementi del reddito minimo verso l’alto, con una riduzione della scala degli
aumenti salariali ai livelli contrattuali più alti, operando meno promozioni e
negoziando con i sindacati scatti salariali, sui livelli superiori al minimo,
meno congrui. Peraltro, devo dire purtroppo, sembrerebbe che la Spd voglia
escludere dal salario minimo gli oltre 7 milioni di lavoratori tedeschi che
lavorano con mini-job, sui quali si scarica di fatto la flessibilità verso il
basso del salario.
Se integralmente accettate dalla
Cdu, le richieste della Spd comporterebbero un incremento di 1,9 punti di PIL
nel 2014 (per la precisione 1,866 punti, stimando una propensione marginale al
consumo di 0,057) e di circa 2 punti della domanda interna di quel Paese. Ora,
come è ovvio, la bilancia commerciale italiana è fortemente correlata
all’andamento della domanda interna e del PIL tedesco, essendo la Germania il
nostro principale partner commerciale, sia all’esportazione che
all’importazione. In particolare, il saldo commerciale dell’Italia con la
Germania (che computa quindi la differenza fra esportazioni ed importazioni
verso/dalla Germania)ha, rispetto alla domanda interna tedesca, un indice di
correlazione pari a 0,848, nel periodo fra 1992 e 2012 (ricordiamo che un
indice di correlazione è significativo, indicando dipendenza statistica fra due
variabili, se supera 0,5, ed è tanto più forte quanto più si avvicina al valore
massimo, pari ad 1) [1]. L’indice è positivo, quindi evidenzia una
correlazione diretta: tanto più aumenta la domanda interna tedesca, tanto più
migliora il saldo di bilancia commerciale italiana, il che significa che
l’impatto dell’aumento della domanda interna (e quindi del PIL) in Germania è
più forte rispetto alle esportazioni italiane verso la Germania, che rispetto
alle importazioni italiane dalla Germania.
Nello specifico, la relazione
econometrica che, nel periodo 1992-2012, lega il saldo di bilancia commerciale
italiano complessivo (variabile denominata BILCOM) e interscambio commerciale
specifico con la Germania all’export (variabile EXPORT) ed all’import
(variabile IMPORT) è di questo genere (fra parentesi il valore dei test di
Student):
BILCOM = 37,448 EXPORT – 25,935
IMPORT
(5,2) (-4,9)
Da considerare come l’Rsquared
sia pari a 0,53, per cui di fatto l’interscambio con la sola Germania spiega
più della metà della variabilità del saldo commerciale complessivo italiano nei
vent’anni in esame. Le esportazioni verso la Germania tendono ad avere un
effetto positivo sulla bilancia commerciale totale, mentre le importazioni
dalla Germania, ovviamente, la peggiorano, ed hanno quindi segno negativo. Dopodiché,
sul medesimo periodo, la relazione econometrica fra andamento della domanda
interna tedesca (DOMINTGER) e saldo
commerciale italo/tedesco è la seguente:
EXPORT = 0,94 DOMINTER
(3,1)
IMPORT = 1,1165 DOMINTER
(2,8)
In sintesi, l’incremento di
domanda interna in Germania pari a due punti, come proposto dal programma dei
socialdemocratici, dovrebbe generare un miglioramento complessivo pari a circa 10
punti del saldo di bilancia commerciale complessivo italiano (2 x0,94 x 37,448
– 2 x 1,1165 x 25,935)per circa1,1 miliardi.
L’effetto incrementale sul PIL italiano dovrebbe essere pari solamente a
circa 0,2 punti aggiuntivi.
Si tratta indubbiamente di un
effetto-locomotiva, tipico dei Paesi economicamente egemoni, ma un effetto di
piccola entità, in termini di impatto sulla nostra economia domestica, limitato
a due decimali di PIL. Il relativamente modesto impatto
dipende dalla nostra declinante competitività commerciale con la Germania, considerando
che l’export verso la Germania è cresciuto al tasso medio annuo del 4,6%dal
1992 al 2002, scendendo all’1,1% fra 2003 e 2012. Da questo punto di vista,
quindi, la fine della oscillazione della lira (che dopo la crisi del 1992
poteva, nell’ambito dello SME, svalutare fino al 15%, quindi usare ancora una
quota rilevante di svalutazione competitiva per penetrare nel mercato tedesco)
con l’avvento dell’euro è stata un evento che ha ridotto notevolmente la
correlazione fra andamento della domanda interna tedesca e saldi commerciali
delle economie più fragili, come la nostra. La fine delle svalutazioni
competitive ha infatti “isolato”, in un certo senso protetto, il mercato
interno tedesco dai suoi concorrenti euromediterranei a valuta debole.
Il versante negativo della
bilancia è che tale isolamento impedisce, oggi, alla Germania, di esercitare un
effetto di traino significativo sui suoi partner euromediterranei nel momento
in cui vara un pacchetto di stimolo alla domanda aggregata interna. Supponendo
la permanenza nell’euro,il rimedio di politica economica, per l’Italia, è
piuttosto semplice. O riproduce gli effetti della svalutazione del tasso di
cambio con una pesante deflazione interna dei costi, ovvero con la
prosecuzione, per certi versi l’aggravamento, della macelleria sociale, oppure
esercita un’azione di politica estera e commerciale a sostegno di una radicale
riconversione delle destinazioni delle sue esportazioni, riducendo la quota
destinata all’area “forte” del centro-nord Europa, ed orientandola verso le
economie BRICS. Ancora una volta, la nostra classe politica è in forte ritardo.
Mentre la Merkel vola a Pechino per stipulare trattati commerciali
omnicomprensivi e di grande impatto con i cinesi, anche forzando l’Europa a
rilasciare le barriere all’importazioni dei prodotti cinesi ricompresi negli
accordi, e la Cina costituisce il quinto mercato di sbocco dell’export tedesco
(con Russia, Turchia e Brasile fra i primi venti), l’Italia ha la Russia come
sesto mercato di sbocco, e la Cina soltanto al nono posto. La Turchia è ben
posizionata, ma il resto dei BRICS è assente dai primi quindici posti. La
Germania, che non esercita più un effetto-locomotiva significativo sulla nostra
economia, è ancora il più importante mercato di sbocco del nostro export.
Serve una politica commerciale
aggressiva, un sistema di accompagnamento e promozione dell’export
lungimirante, accompagnato da una politica estera autorevole. Però noi
preferiamo continuare a concentrare tutta la nostra attenzione sui fatti
giudiziari di un senatore inquisito e su una politica estera succube, priva di
autonomia.
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