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lunedì 3 febbraio 2014

SAN GIORGIO E IL DRAGO di Fausto Rinaldi




SAN GIORGIO E IL DRAGO 
di Fausto Rinaldi


Attualmente, quella a cui stiamo assistendo è una profonda trasmutazione degli equilibri tra la dimensione politico-sociale dello Stato – ancora rigidamente vincolata a caratteri territoriali, normativi e culturali tipici di una nazione -  e quella economico-finanziaria dei capitali liberati grazie ai precetti neoliberisti – non legati a vincoli di alcun genere e liberi di raggiungere le aree di maggiore redditività.
L’abbandono del controllo dei movimenti di capitale è la chiave per interpretare l’ attuale situazione di subordinazione della politica degli Stati rispetto agli interessi economici di lobbies finanziarie sovranazionali.
L’unico problema affrontato a livello politico è come fare accettare alla collettività questo processo di spoliazione democratica, presentandolo sotto prospettive che possano far sorbire l’ amaro calice delle politiche di "austerity", giustificando queste pratiche in ragione della loro indiscutibile necessità e della loro indifferibilità.

Normalmente, tutto ciò viene corredato dalla propagazione, attraverso i circuiti di controllo ideologico (televisioni, giornali, siti internet, la galassia dei media "embedded", cioè organici al sistema di potere), di teorie, ipotesi, dottrine e teoremi volti a confermare inesorabilmente le tesi all' origine della spoliazione dei beni comuni a favore di interessi di minoranze organizzate.
Per come si sono venuti a configurare gli equilibri tra gli Stati nazionali a controllo democratico e le dinamiche proprie dell’ economia globale, non sembrano più esserci margini di un possibile equilibrio: il modello di Stato democratico (nell’ accezione consueta del termine) non può ormai più stare al passo con le esigenze di sistemi economici sovranazionali intenzionati ad impossessarsi, senza tema di opposizioni, del controllo politico ed economico delle nazioni.
Tutto ciò, per mezzo di una Unione Europea gestita essenzialmente  da un trust di istituti bancari privati –che dettano, attraverso istituzioni solo apparentemente democratiche, le “agende” economiche dell’Unione -  sta già avvenendo, con il beneplacito di entità politiche nazionali che, per interesse o incapacità, si sono assoggettate a logiche ratificatorie che, di fatto, ne hanno svuotato il già precario concetto di rappresentatività democratica.

Assistiamo, quindi all’impari confronto tra poteri globali (eminentemente poteri economici che, come noto, permettono 
l’accumulazione di un potere politico acquisito mediante corruzione e lobbismo) e categorie politiche nazionali non determinate e non interessate ad  opporsi a queste forze dominanti.
La crescita smisurata del potere economico dei capitali internazionali si è sposata alla liberazione etica dei principi di redditività economica: quale obiezione si può opporre ad uno sprezzante Marchionne che minaccia di chiudere stabilimenti in Italia per dislocarli laddove possa usufruire di un costo della manodopera più basso, alla ricerca di fattori produttivi più convenienti? 
La logica imperante è ormai questa e, come norma, alla crescita dei profitti farà seguito una degradazione sociale che i più riterranno normale conseguenza di equilibri economici da recuperare.
Quindi, le grandi multinazionali, i grandi poteri finanziari globali, hanno sviluppato poteri illimitati, incontrollati, privi di regole e in grado di imporre direttive e logiche alla politica degli Stati nazionali.
Il ruolo svolto dall’ ideologia neoliberista, nell’ affermare gli interessi di pochi a scapito delle necessita delle masse e degli equilibri ecologici del pianeta, è stato fondamentale. Il neoliberismo poggia le proprie fondamenta su due dogmi, ormai acquisiti e metabolizzati dai capitalismi occidentali: la piena libertà economica alla base delle libertà individuali e le leggi del mercato assurte al ruolo di leggi naturali.
Queste due raffigurazioni ideologiche si saldano mutuamente a sostenere l’ ineludibile necessità, posta di fronte alle società umane, di servire gli equilibri dettati dalla scienza economica corrispondente. Ecco che alle società viene negata la possibilità di influenzare i processi naturali di un’ economia che deve essere lasciata libera di manifestarsi in tutte le sue forme, e della cui consistenza si possono avere le stesse conferme empiriche riservate ai fenomeni fisici.
Quindi niente Stato (la collettività) e tutto “mercato” (l’impresa privata), in una realtà che trasforma la rappresentanza politica in una “tecnocrazia” incaricata di avallare, ratificare e applicare puntualmente le bronzee ascendenze divine delle leggi economiche neoliberiste, in una società civile chiamata, con la mediazione non del tutto disinteressata del sistema dei partiti, a rispondere unicamente alle logiche dei mercati.
Pertanto, una crisi politica porta con sé una crisi della rappresentatività democratica ed un sostanziale scollamento tra la classe partitica (chiusa nella difesa accorata dei propri privilegi) e le necessità delle popolazioni.
La subalternità ideologica del sistema politico, rispetto alle istanze di dominio di élites economiche sovranazionali, è talmente evidente da sconfinare nel pleonasmo.
Lo Stato moderno - nato insieme al capitalismo industriale e incaricato di celebrarne e salvaguardarne l’ esistenza - non è riuscito a restare al passo delle esigenze dell’ accumulazione del capitale e della ricchezza, proprie del capitalismo immateriale e finanziarizzato; pertanto, adesso dovrà farsi da parte e dare luogo ad una metamorfosi che condurrà a nuove forme di organizzazione sociale capaci di andare incontro alle esigenze dei grandi capitali finanziarizzati globali che, via via, vanno facendosi sempre più pronunciate ed insofferenti a mediazioni di sorta.
Il potere delle oligarchie economiche è così forte da non rispettare nemmeno il buon senso e la logica della storia recente: oltre ad essere state la causa della crisi attuale, continuano a proporsi come la soluzione ai problemi che ne derivano, nel totale dispregio 
dell’intelligenza dei popoli.

Il drago neoliberista chiede alle popolazioni la riscossione di sempre più pesanti tributi, che rischiano di sprofondare la vita delle comunità nella barbarie dell' economicismo più spietato; purtroppo, all' orizzonte, non si intravede un San Giorgio in grado di opporsi al mostro e liberare il futuro delle masse da quello che, ad oggi, sembra essere un destino ineluttabile.


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