di Fausto Rinaldi
Attualmente, quella a cui stiamo assistendo è una
profonda trasmutazione degli equilibri tra la dimensione politico-sociale dello
Stato – ancora rigidamente vincolata a caratteri territoriali, normativi e
culturali tipici di una nazione - e quella
economico-finanziaria dei capitali liberati grazie ai precetti neoliberisti –
non legati a vincoli di alcun genere e liberi di raggiungere le aree di
maggiore redditività.
L’abbandono del controllo dei movimenti di capitale è
la chiave per interpretare l’ attuale situazione di subordinazione della
politica degli Stati rispetto agli interessi economici di lobbies finanziarie
sovranazionali.
L’unico problema affrontato a livello politico è come
fare accettare alla collettività questo processo di spoliazione democratica,
presentandolo sotto prospettive che possano far sorbire l’ amaro calice delle
politiche di "austerity", giustificando queste pratiche in ragione
della loro indiscutibile necessità e della loro indifferibilità.
Normalmente, tutto ciò viene corredato dalla propagazione, attraverso i circuiti di controllo ideologico (televisioni, giornali, siti internet, la galassia dei media "embedded", cioè organici al sistema di potere), di teorie, ipotesi, dottrine e teoremi volti a confermare inesorabilmente le tesi all' origine della spoliazione dei beni comuni a favore di interessi di minoranze organizzate.
Per come si sono venuti a configurare gli equilibri
tra gli Stati nazionali a controllo democratico e le dinamiche proprie dell’
economia globale, non sembrano più esserci margini di un possibile equilibrio:
il modello di Stato democratico (nell’ accezione consueta del termine) non può
ormai più stare al passo con le esigenze di sistemi economici sovranazionali
intenzionati ad impossessarsi, senza tema di opposizioni, del controllo
politico ed economico delle nazioni.
Tutto ciò, per mezzo di una Unione Europea gestita
essenzialmente da un trust di istituti bancari privati –che dettano,
attraverso istituzioni solo apparentemente democratiche, le “agende” economiche dell’Unione - sta già avvenendo, con il beneplacito di entità
politiche nazionali che, per interesse o incapacità, si sono assoggettate a
logiche ratificatorie che, di fatto, ne hanno svuotato il già precario concetto
di rappresentatività democratica.
Assistiamo, quindi all’impari confronto tra poteri globali (eminentemente poteri economici che, come noto, permettono
l’accumulazione di un potere politico acquisito mediante corruzione e lobbismo) e
categorie politiche nazionali non determinate e non interessate ad opporsi
a queste forze dominanti.
La crescita smisurata del potere economico dei
capitali internazionali si è sposata alla liberazione etica dei principi di
redditività economica: quale obiezione si può opporre ad uno sprezzante
Marchionne che minaccia di chiudere stabilimenti in Italia per dislocarli
laddove possa usufruire di un costo della manodopera più basso, alla ricerca di
fattori produttivi più convenienti?
La logica imperante è ormai questa e, come norma, alla
crescita dei profitti farà seguito una degradazione sociale che i più
riterranno normale conseguenza di equilibri economici da recuperare.
Quindi, le grandi multinazionali, i grandi poteri
finanziari globali, hanno sviluppato poteri illimitati, incontrollati, privi
di regole e in grado di imporre direttive e logiche alla politica degli Stati
nazionali.
Il ruolo svolto dall’ ideologia neoliberista, nell’
affermare gli interessi di pochi a scapito delle necessita delle masse e degli
equilibri ecologici del pianeta, è stato fondamentale. Il neoliberismo poggia
le proprie fondamenta su due dogmi, ormai acquisiti e metabolizzati dai
capitalismi occidentali: la piena libertà economica alla base delle libertà
individuali e le leggi del mercato assurte al ruolo di leggi naturali.
Queste due raffigurazioni ideologiche si saldano
mutuamente a sostenere l’ ineludibile necessità, posta di fronte alle società
umane, di servire gli equilibri dettati dalla scienza economica corrispondente.
Ecco che alle società viene negata la possibilità di influenzare i processi
naturali di un’ economia che deve essere lasciata libera di manifestarsi in
tutte le sue forme, e della cui consistenza si possono avere le stesse conferme
empiriche riservate ai fenomeni fisici.
Quindi niente Stato (la collettività) e tutto
“mercato” (l’impresa privata), in una realtà che trasforma la rappresentanza
politica in una “tecnocrazia” incaricata di avallare, ratificare e applicare
puntualmente le bronzee ascendenze divine delle leggi economiche neoliberiste,
in una società civile chiamata, con la mediazione non del tutto disinteressata
del sistema dei partiti, a rispondere unicamente alle logiche dei mercati.
Pertanto, una crisi politica porta con sé una crisi
della rappresentatività democratica ed un sostanziale scollamento tra la classe
partitica (chiusa nella difesa accorata dei propri privilegi) e le necessità
delle popolazioni.
La subalternità ideologica del sistema politico,
rispetto alle istanze di dominio di élites economiche sovranazionali, è
talmente evidente da sconfinare nel pleonasmo.
Lo Stato moderno - nato insieme al capitalismo
industriale e incaricato di celebrarne e salvaguardarne l’ esistenza - non è
riuscito a restare al passo delle esigenze dell’ accumulazione del capitale e
della ricchezza, proprie del capitalismo immateriale e finanziarizzato;
pertanto, adesso dovrà farsi da parte e dare luogo ad una metamorfosi che
condurrà a nuove forme di organizzazione sociale capaci di andare incontro alle
esigenze dei grandi capitali finanziarizzati globali che, via via, vanno
facendosi sempre più pronunciate ed insofferenti a mediazioni di sorta.
Il potere delle oligarchie economiche è così forte da
non rispettare nemmeno il buon senso e la logica della storia recente: oltre ad
essere state la causa della crisi attuale, continuano a proporsi come la
soluzione ai problemi che ne derivano, nel totale dispregio
dell’intelligenza
dei popoli.
Il drago neoliberista chiede alle popolazioni la
riscossione di sempre più pesanti tributi, che rischiano di sprofondare la vita
delle comunità nella barbarie dell' economicismo più spietato; purtroppo, all'
orizzonte, non si intravede un San Giorgio in grado di opporsi al mostro e
liberare il futuro delle masse da quello che, ad oggi, sembra essere un destino
ineluttabile.
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