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i Quaderni di Bandiera Rossa "La Storia è finita" di Norberto Fragiacomo
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mercoledì 12 febbraio 2014

THE ITALIAN JOB”: SCOOP, OVVIETA’ O AUTORETE? di Norberto Fragiacomo





THE ITALIAN JOB”: SCOOP, OVVIETA’ O AUTORETE?
di
Norberto Fragiacomo







Era il segreto di Pulcinella, ma in pochi si aspettavano che Pulcinella lo svelasse in un giorno piovoso di febbraio, e che la rivelazione fosse riportata, con straordinaria evidenza, dal giornale più allineato d’Italia (il Corsera) e dal tabloid della finanza multinazionale (cioè anglosassone), il Financial Times.
La notizia in sé è striminzita: un giornalista anglofono, Alan Friedman, acquisisce le prove che ben prima del novembre 2011 Napolitano aveva individuato in Mario Monti il sostituto di Berlusconi, e che già in estate il bocconiano aveva dato il suo consenso all’operazione, di cui erano stati messi al corrente Carlo De Benedetti e Romano Prodi; su questo presunto scoop Friedman costruisce un libro che, vista la pubblicità in diretta, venderà bene (sarà pure letto? Chissà, in Italia i volumi finemente rilegati arredano…).
Scoperta dell’acqua calda, anzi bollente: se fino a ieri della liaison Napolimonti mancavano le prove, di indizi ne avevamo a iosa. Nell’estate-autunno ’11 Supermario vagabondava da un talk show all’altro come il porco di S. Antonio; lo stesso Corriere che oggi lo lapida parlava di lui – suo editorialista – come dell’inevitabile futuro premier, e il sottoscritto, che non ha accesso alle stanze del potere né a quelle del sottopotere giornalistico, preconizzava in primavera che, di lì a qualche mese, ci sarebbe toccata una iattura di nome Mario (Monti o Draghi) a Palazzo Chigi. Insomma, il copione era stato scritto assai prima che – secondo i testimoni immortalati da Friedman – il Presidentissimo e il suo delfino fissassero l’appuntamento galeotto.
La sorpresa, semmai, è un’altra: il risalto dato dal Corrierone alla mezza notizia e l’attacco a testa bassa del Financial Times (il titolo del pezzo, “The italian job”, evoca imprese ladresche) indicano un cambio di tattica- o perlomeno di uomini – da parte delle elite nazionali e d’oltreoceano. Napolitano e il suo attuale pupillo, Letta II, vengono scaricati, licenziati senza preavviso.
Dove sta la giusta causa? Non direi che siano stati esecutori poco zelanti: Giorgio Napolitano della troika (più che, come sarebbe suo compito, della Costituzione) si è erto a garante. Per rassicurare le istituzioni finanziarie si è fatto persino rieleggere, e questo è un fatto.
Adesso è da rottamare: come mai? Forse perché i “mercati” hanno adocchiato un nuovo purosangue, promettente e impetuoso: Matteo Renzi. Letta II è (come ha affermato causticamente Friedman, in tv e davanti al direttore del FT) giovane solo per l’anagrafe, un democristiano da Prima Repubblica. Tradotto dall’angloitaliano: è temporeggiatore e inaffidabile al pari di Berlusconi, malgrado la maggior buona volontà. Napolitano, che pure ha reso apprezzati servigi, veleggia verso i novanta: è ora di trovargli un successore all’altezza, anche perché il suo incaponirsi su Letta inizia a dar fastidio (dubito, invece, che qualcuno sia stato turbato dalle parole in libertà a Bruxelles: erano solo un esercizio retorico, harena sine calce). Nessuno è insostituibile, ammoniva Napoleone, additando le lapidi di un cimitero.
Il comico della vicenda è che le “accuse” che fanno tanto discutere – e titolare “Alto tradimento” alle sfiatate gazzette berlusconiane – sono inconsistenti: il Presidente della Repubblica avrebbe sondato Monti a Governo Berlusconi ancora (precariamente) in sella.
D’accordo, e allora? La candidatura del Professore era sponsorizzata da Europa, Germania, Fmi e media; alla mano sinistra del Capitale (da noi, il PD) non dispiaceva affatto. Lo spread giocava a sparatutto coi nostri titoli di Stato, Brunetta e Tremonti erano impegnati a farsi la guerra: che un arbitro prendesse provvedimenti, e che giocatori e dirigenti autorevoli venissero coinvolti nella decisione non sembra in sé scandaloso. La nomina di Monti a senatore a vita è un’interpretazione di comodo dell’articolo 59, ma la nostra povera Costituzione ha sofferto ben altri oltraggi!
Il libro di Friedman, che non mi attira granché (Ruskin ci insegna che, considerata la brevità della vita, è meglio dedicare il proprio tempo alle opere che meritano di essere lette), non suggerisce niente di più grave a carico di King George. Non insinua, per esempio, che egli fosse al corrente di manovre occulte, di precise strategie – altrettanto eventuali – dietro l’attacco speculativo di inizio estate 2011 e la vendita in massa di buoni del tesoro italiani da parte delle banche tedesche, né che l’opzione Monti sia stata imposta o esplicitamente “raccomandata” da qualche autorità esterna. Fosse andata così, alto tradimento e attentato alla Costituzione si materializzerebbero come in una puntata di Star Trek – ma simili prove, se anche in ipotesi esistessero, non vedrebbero mai la luce, né troveremo mai evidenze di un’inammissibile ingerenza presidenziale contra l’articolo 11 della Carta in occasione del proditorio attacco alla Libia, o di un’auto(ri)candidatura a spese di Romano Prodi (che oggi, forse, si gusta la sospirata vendetta) e degli italiani. Nel nostro Paese, è noto, si scoprono solo i segreti innocui, quelli che possono venire utilizzati per rimuovere senza drammi pedine scadute.
Giammai il sistema metterebbe a repentaglio le sue stabilità e sopravvivenza: la “libertà d’informazione” è mera clausola di stile.
Adesso Berlusconi cercherà di adoperare la “rivelazione” per ottenere qualche vantaggio, ma il suo guinzaglio non è più lungo come un tempo, e lo sa. La sconfessione dell’operato di Napolitano, però – paragonato alle gesta di un pugno di mariuoli hollywoodiani – e il contemporaneo sputtanamento di Monti, malignamente fatto a pezzi su La7 da un ex collega del Corriere, potrebbero far aprire un occhio a schiere di italiani sonnacchiosi.
Screditare i potenti (o gli ex potenti) è sempre una mossa azzardata: per quanto ubriaca di propaganda, la massa potrebbe – rettamente – identificarli con il potere bipartisan sovranazionale, con quello stesso sistema che, con differenti capacità e impegno, Napolitano, Monti e Letta hanno servito.


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