COMPAGNO
SEGRETARIO, ATTENTO: DAL TUBETTO DI BRUXELLES ESCE SOLO VELENO!
Presentato
a Trieste, giovedì scorso, il saggio di Paolo Ferrero dal titolo “La
truffa del debito pubblico”.
di
Norberto
Fragiacomo
Faccio una premessa, tanto doverosa quanto sincera: nutro per Paolo Ferrero simpatia e stima.
Rammento
la prima volta che l’ho visto dal vivo: fu alla Casa del Popolo
Palmiro Togliatti - a Borgo S. Sergio, periferia di Trieste. A
introdurre il segretario fu il senatore Stojan Spetic, stazza da orso
bianco e voce tonante (e, scoprii in seguito, doti di coraggio,
autorevolezza e prudenza: una mattina, in piazza Unità, si frappose
tra poliziotti e studenti, evitando a questi ultimi – mandati allo
sbaraglio – legnate e conseguenze peggiori): all’ombra del
gigante sloveno Ferrero, col suo inseparabile sigaro in mano, mi
parve minuscolo, quasi rattrappito. Di cose da dire ne aveva, però,
e l’acutizzarsi della crisi gli ha offerto riserve di nuovi
argomenti, sempre espressi con educazione e pacatezza. Mai sopra le
righe, mai arrogante come una Moretti qualsiasi: il segretario
valdese studia le questioni, le approfondisce, poi le spiega con
parole semplici a chi, anziché contentarsi della propaganda
giornalistica, cerca di afferrare qualche brandello di verità.
Ripeto, riconosco all’ex ministro serietà e onestà intellettuale:
le critiche a Monti “più a destra di Berlusconi” (2012) e la
sofferta presa di posizione sull’Ucraina (nazi)“democratica”
sono solo due fra i tanti esempi che potrei citare. Poi ci sono i
libri, saggi asciutti e documentati che aiutano a capire: l’ultimo,
intitolato “La truffa del debito pubblico” è stato presentato a
Trieste giovedì scorso, nella sede di Rifondazione Comunista.
Non
si risparmia mai, Ferrero: visibilmente stanco dopo vari incontri
pomeridiani ha iniziato, alle nove passate, a snocciolare dati e
suggerire correlazioni, rispondendo nel finale a tutte le domande
provenienti dal pubblico, non numerosissimo (Trieste va a letto
presto, non ama i dibattiti serali) ma partecipe. Leggerò il libro
con attenzione, mi sono ripromesso, ma… sì, insomma, non posso
negare di essere uscito dalla sala un poco contrariato, deluso.
Non
certo dall’esposizione: col suo linguaggio chiaro, senza fronzoli,
il segretario è andato al nocciolo del problema del debito italiano,
individuato nella “separazione” tra Ministero del tesoro e Banca
d’Italia che ebbe luogo nel 1981. Fino ad allora, dice, il debito
pubblico rimase ampiamente sotto controllo: i titoli invenduti erano
appannaggio di Bankitalia, che era tenuta ad acquistarli; il fatto
che il loro rendimento fosse inferiore al tasso d’inflazione era
garanzia di un futuro finanziariamente tranquillo. Perché allora
Andreatta e Ciampi fecero questa mossa “improvvida”? Perché –
pare – la crescita costante della spesa pubblica teneva viva
l’inflazione, nemico giurato dei percettori di rendite: il
confronto con i mercati avrebbe “responsabilizzato” lo Stato,
imponendo alla politica un uso parsimonioso delle risorse. Il Governo
Craxi, in verità, continuò a spendere e spandere, ma – venuto
meno il ruolo calmierante della Banca d’Italia – niente poté
fermare la crescita dei rendimenti pretesi dagli investitori privati.
Pochi anni e il debito raddoppiò percentualmente, malgrado il
progressivo contrarsi della spesa pubblica: il secondo Governo Prodi
riuscì a riportarlo intorno al 100% del PIL - ma fu effimera
vittoria, perché il “risanatore” Monti l’ha ricondotto ad
antichi fasti, e ancor più in alto. Una montagna? Piuttosto un
asteroide che – giurano i terroristi mediatici – rischia di
caderci in testa da un momento all’altro.
Perché
“truffa”, allora? Perché Ferrero cita, cifre alla mano, un’altra
data fatidica, un secondo spartiacque: il 1992. Ventitré anni fa
Giuliano Amato, a capo dell’esecutivo, fece approvare la madre
(finora) di tutte le manovre: una stangata da 90 mila miliardi di
lire. Da allora il bilancio dello Stato è in perenne avanzo
primario, vale a dire che ogni anno le entrate superano le spese al
netto degli
interessi sul debito. Mentre i fondi per il sostegno al welfare
calano e i tributi aumentano, una quota di risorse intorno agli
ottanta miliardi di euro annui viene prelevata dalle tasche dei
cittadini (lavoratori dipendenti e pensionati in primis)
per pagare dei rentiers
che prosperano senza rischiare nulla. I poveri si sacrificano per i
ricchi, e per soprannumero vengono colpevolizzati: qui sta la truffa.
Ferrero,
in realtà, ha detto parecchie altre cose convincenti, lasciando
intendere che questo meccanismo perverso non è una bizzarria del
destino, un frutto della casualità, bensì il risultato di scelte
consapevoli ed “ideologiche”. Concordo? Senz’altro! Cosa c’è
che non va, allora? Le conclusioni, che non appaiono in linea con le
premesse. La truffa, in quanto tale, presuppone il dolo del suo
autore, cioè la volontà di condotta ed evento. In certi passaggi,
tuttavia, Ferrero allude ad una non meglio precisata inettitudine,
“cecità” dei governanti, dopo che lui stesso ci ha chiarito:
1) che il debito pubblico è un falso problema, creato ad arte;
2) che se così non fosse, non si comprenderebbe perché un Paese come il Giappone, che ha un rapporto debito-PIL superiore al 200%, non sia sotto tiro;
3) che l’Europa è ancor oggi, malgrado tutto, la parte più prospera del pianeta, visto che il suo PIL complessivo è almeno il doppio di quello USA.
1) che il debito pubblico è un falso problema, creato ad arte;
2) che se così non fosse, non si comprenderebbe perché un Paese come il Giappone, che ha un rapporto debito-PIL superiore al 200%, non sia sotto tiro;
3) che l’Europa è ancor oggi, malgrado tutto, la parte più prospera del pianeta, visto che il suo PIL complessivo è almeno il doppio di quello USA.
Mi
sono permesso allora di chiedergli: non ti sembra, compagno
segretario, che questi elementi “gravi, precisi e concordanti”
suggeriscano l’idea di una strategia di lungo periodo tesa alla
privatizzazione
integrale della
ricca Europa? E che, se è vero come è vero che l’attuazione del
piano è stata affidata ad istituzioni UE e governi nazionali
“responsabili”, contare sulla resipiscenza di costoro sia indice
di ingenuità? Perché se esiste una truffa non può mancare il
truffatore, e le prove di una connivenza stabile tra beneficiari e
decisori politici sono pleonastiche: siamo in presenza di un fatto
notorio. In fondo, gli scopi più abbietti possono venir perseguiti
con intelligenza e abnegazione. Detto con altre parole: augurarsi che
l’Unione Europea e Renzi si ravvedano equivale a sperare che uno
stupratore seriale cambi improvvisamente vita e si metta a coltivare
fiori – eventualità sommamente improbabile, e sulla quale comunque
non si può fare ragionevole affidamento.
Niente
da fare: mi viene risposto che è troppo tardi per fare marcia
indietro, che l’unione è un dato di fatto e che “il dentifricio
è ormai uscito dal tubetto”; che il rinchiudersi nei confini
nazionali porta al risorgere di ostilità e conflitti, è un’opzione
di destra. Su quest’ultima considerazione concordo, ma non penso
affatto che l’unica alternativa alla Lega neoliberista (proposta di
flat tax) e reazionaria (Salvini: siamo sempre dalla parte dei
poliziotti!) sia Renzi, per il semplice fatto che Renzi è TINA, ma
TINA è anche la denuncia fine a se stessa di chi continua a lavarsi
i denti col veleno, perché il tubetto è a portata di mano e non si
sa dove trovarne un altro.
Se,
come opina Ferrero, la battaglia di Tsipras si svolgerà nel rispetto
delle regole imposte dall’eurocrazia il flop è assicurato: le
dichiarazioni di Dijsselbloem (l’ennesimo neoliberista nordico
travestito da “esponente della sinistra moderata”, che prima loda
ipocritamente gli sforzi fatti e poi ti schiaffa l’insufficienza),
aggiungendosi alle mosse di Draghi sul quantitative easing,
manifestano il chiaro intendimento di costringere la Grecia ad una
resa rapida e senza condizioni. Di fronte a tanta cupa determinazione
cosa resta da fare al leader ellenico? Invocare rispetto e giustizia
per il suo Paese allo stremo? Non scherziamo: quando mai le suppliche
di un commerciante sul lastrico hanno fatto breccia nei cuori
induriti degli usurai? O paghi o ti ammazziamo è la replica standard
– e il messaggio che le istituzioni sovranazionali stanno danno a
Tsipras è il medesimo, sia pure espresso con toni più forbiti.
La
Grecia non ha
sette-otto mesi; in marzo, forse, non avrà manco i soldi per pagare
gli stipendi pubblici. Ha bisogno di un aiuto esterno, e quell’aiuto
non verrà da Bruxelles, causa principale delle sue disgrazie.
L’unico Stato a poterlo fornire in questo momento è la Russia di
Putin, ansiosa di riaffacciarsi sul Mare Nostrum (un coinvolgimento
della Cina lo vedo improbabile: gli Han sono meno sotto pressione, e
la loro cautela è ben nota). Un azzardo? Direi un matrimonio di
convenienza, e l’alleanza spregiudicata (ma corretta) con ANEL ha
dimostrato che Tsipras non è restio a contrarne, quando gli sono
indispensabili.
Per
disarmare il taglieggiatore servono coraggio, maestria e mezzi
adeguati: serve qualcuno che, per il bene dell’intera famiglia,
getti via il dentifricio e se ne procuri uno nuovo, magari ricorrendo
alla concorrenza. Altrimenti le belle parole, le analisi e le
promesse di un mondo decente resteranno segni grafici su inutili
fogli di carta.
Ho letto una bella intervista ad un economista australiano, intimo amico di Varoufakis, il quale diceva una cosa a cui in pochi hanno pensato e che invece mette molte più frecce nell'arco di Tsipras di quante immaginiamo. Nessuno può togliere la Grecia dall'euro, non esistono leggi a riguardo per cui un eventuale default ellenico graverebbe su tutta l'Europa e la cosa non farebbe bene a nessuno, per cui non è così scontato che i neoliberisti europei non si pieghino alle richieste Greche. In ogni caso mi è piaciuto il tuo articolo. Anche io mi accingo a leggere il libro.
RispondiEliminaCaro Renato,
RispondiEliminagrazie per l'apprezzamento. Anch'io ho sentito parlare della questione, staremo a vedere, il Governo Tsipras ha molto opportunamente ritirato fuori il tema della responsabilità tedesca per i danni dell'occupazione nazista... la mia impressione è che non abbia le idee chiarissime, stia facendo un po' di giustificata melina mentre è alla ricerca di una via d'uscita (e questo indica che perlomeno ha voglia di battersi).