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martedì 5 febbraio 2013

APPUNTI SU SABATTINI - 5) Conclusioni


di Lorenzo Mortara
Rsu Fiom Rete28Aprile



Pubblichiamo la quinta e ultima parte degli Appunti su Sabattini. Qua per comodità del lettore, segnaliamo a mo' di indice le cinque parti con il relativo link di quelle già pubblicate: 





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APPUNTI SU SABATTINI: ULTIMA PARTE





CONCLUSIONI

Il ritratto di Sabattini che appare in questi quattro discorsi, è quello di un sindacalista come dice lui stesso «pochissimo affezionato alle attuali discussioni, come si usa dire, della “sinistra”». Molto spesso, ribadisce, non le capisce nemmeno, per la semplice ragione che è un uomo di classe, della classe operaia, e non può giustamente capire i discorsi di gente di “sinistra” che si occupa dei problemi dell’altra classe, quella dei padroni.
Com’è lontano dai discorsi retorici sul nuovo modello di sviluppo, cioè dal socialismo che non osa pronunciare il suo nome, che è il principale tra i discorsi retorici fatti dai sindacalisti superficiali o peggio opportunisti, che in fondo non vogliono abbandonare il capitalismo, per la semplice ragione che non hanno mai letto Marx e non lo leggeranno mai perché sono troppo presuntuosi e piccolo borghesi per farlo.
Sabattini è figlio della stagione dei Consigli, quella stagione che gli è rimasta dentro, nell’anima, e che l’ha fatto arrivare alla guida della Fiom esattamente come era allora, un sindacalista radicale, antiburocratico, uno dei pochi dirigenti in mezzo a tanti carrieristi. Uno insomma della minoranza, quella minoranza combattiva e di lotta a cui dobbiamo pressoché tutte le nostre conquiste e che se l’è viste sfilare una ad una dalla maggioranza silenziosa e inetta, ma sempre al posto di comando, che se l’è appuntate sul petto, solo per continuare a fare carriera, nonostante abbia fatto di tutto per boicottarle. Una maggioranza che come ebbe a scrivere Foa, all’indomani della famosa intervista di Lama sulla svolta dell’EUR, in un articolo di critica dimenticato, rifiuta da sempre l’esperienza storica del sindacato, cioè l’esperienza di lotta, per sostituirla con gli accordi al tavolino e le pratiche indegne, perché fatte rinunciando a combattere, della capitolazione preventiva. Una maggioranza che, proprio perché la rifiuta, se non verrà scalzata, ci butterà fuori dalla Storia.
Sabattini è dei nostri, di quella minoranza che la Storia ha provato a invertirla. Non c’è riuscito ma il suo impegno e la sua dedizione sono ancora validi per tutti quelli che vogliono portare avanti le sue stesse battaglie. Spiace quindi che a ricordare i dieci anni dalla sua scomparsa, siano stati chiamati pressoché in blocco uomini che di quella minoranza non hanno mai fatto parte, o ne hanno fatto parte solo per poco tempo, giusto quello che gli serviva per avere qualcosa da offrire in cambio dell’ingresso a pieno titola nel Gotha della maggioranza. Il 25 Gennaio, a Roma, al seminario in suo onore (spostato all’ultimo momento, nda), dopo gli interventi di rito, avranno il piacere di ricordarlo, tra gli altri, Tiziano Treu mai ringraziato a dovere dalla borghesia per aver aperto la strada verso la Legge Biagi, con la sua interlocutoria legge omonima; Fausto Bertinotti, già campione del tradimento alla Fiat nel 1980, e quindi prescelto olimpionico per le mille battaglie a Porta a Porta da Bruno Vespa; Antonio Pizzinato salito al Governo Prodi per dare una mano al Treu per scongiurare ogni più piccola possibilità che non riuscisse a varare la sua legge a favore della precarietà; Sergio Cofferati che non capitolò sull’articolo 18 ai tempi della Cgil per capitolare su tutto il resto, articolo 18 compreso, ai tempi del suo ingresso nel PD e dell’appoggio al Governo Monti, come ultimo sceriffo arruolato dalla borghesia fuorilegge.
Non un militante della Rete28Aprile è stato invitato a ricordarlo. Non sappiamo se Sabattini, uomo di minoranza, avrebbe scelto di appartenere alla nostra, ma è difficile credere che avrebbe scelto di stare con simili campioni della moderazione. Lui era per il conflitto, per il conflitto radicale anche se non del tutto marxista. Ed è qui forse che ha perso la sua battaglia o le occasioni migliori per poterla vincere. Quando ha accettato la migliore idea liberale sul conflitto che regola la democrazia. Per noi marxisti, non è la democrazia che il conflitto liberale vuole regolare. Nella democrazia borghese più illuminata, il conflitto viene accettato per regolare la vittoria della borghesia, per evitare che la nostra sconfitta sia troppo sregolata. Ma regolata più o meno bene, per noi proletari nella loro democrazia, sconfitta è e sconfitta deve restare. Il conflitto viene eliminato non quando non c’è più democrazia, ma quando la vittoria borghese viene messa in discussione. Ed è proprio questo che noi dobbiamo fare, passare dalla regolazione della nostra sconfitta, alla regolazione della loro, vincendo una volta per tutte il conflitto col Capitale, sostituendo cioè la democrazia borghese con la democrazia consiliare.


Stazione dei Celti
Gennaio 2013


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