di Lorenzo Mortara
Rsu Fiom Rete28Aprile
Pubblichiamo la quinta e ultima parte degli Appunti su Sabattini. Qua per comodità del lettore, segnaliamo a mo' di indice le cinque parti con il relativo link di quelle già pubblicate:
5) Conclusioni
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APPUNTI SU SABATTINI: ULTIMA PARTE
CONCLUSIONI
Il
ritratto di Sabattini che appare in questi quattro discorsi, è
quello di un sindacalista come dice lui stesso «pochissimo
affezionato alle attuali discussioni, come si usa dire, della
“sinistra”». Molto spesso, ribadisce, non le capisce nemmeno,
per la semplice ragione che è un uomo di classe, della classe
operaia, e non può giustamente capire i discorsi di gente di
“sinistra” che si occupa dei problemi dell’altra classe, quella
dei padroni.
Com’è lontano dai discorsi
retorici sul nuovo modello di sviluppo, cioè dal socialismo
che non osa pronunciare il suo nome, che è il principale tra i
discorsi retorici fatti dai sindacalisti superficiali o peggio
opportunisti, che in fondo non vogliono abbandonare il capitalismo,
per la semplice ragione che non hanno mai letto Marx e non lo
leggeranno mai perché sono troppo presuntuosi e piccolo borghesi per
farlo.
Sabattini è figlio della
stagione dei Consigli, quella stagione che gli è rimasta dentro,
nell’anima, e che l’ha fatto arrivare alla guida della Fiom
esattamente come era allora, un sindacalista radicale,
antiburocratico, uno dei pochi dirigenti in mezzo a tanti
carrieristi. Uno insomma della minoranza, quella minoranza combattiva
e di lotta a cui dobbiamo pressoché tutte le nostre conquiste e che
se l’è viste sfilare una ad una dalla maggioranza silenziosa e
inetta, ma sempre al posto di comando, che se l’è appuntate sul
petto, solo per continuare a fare carriera, nonostante abbia fatto di
tutto per boicottarle. Una maggioranza che come ebbe a scrivere Foa,
all’indomani della famosa intervista di Lama sulla
svolta dell’EUR, in un articolo di critica dimenticato,
rifiuta da sempre l’esperienza storica del sindacato, cioè
l’esperienza di lotta, per sostituirla con gli accordi al tavolino
e le pratiche indegne, perché fatte rinunciando a combattere, della
capitolazione preventiva. Una maggioranza che, proprio perché la
rifiuta, se non verrà scalzata, ci butterà fuori dalla Storia.
Sabattini è dei nostri, di
quella minoranza che la Storia ha provato a invertirla. Non c’è
riuscito ma il suo impegno e la sua dedizione sono ancora validi per
tutti quelli che vogliono portare avanti le sue stesse battaglie.
Spiace quindi che a ricordare i dieci anni dalla sua scomparsa, siano
stati chiamati pressoché in blocco uomini che di quella minoranza
non hanno mai fatto parte, o ne hanno fatto parte solo per poco
tempo, giusto quello che gli serviva per avere qualcosa da offrire in
cambio dell’ingresso a pieno titola nel Gotha della maggioranza. Il
25 Gennaio, a Roma, al seminario in suo onore (spostato all’ultimo
momento, nda), dopo gli interventi di rito, avranno il piacere
di ricordarlo, tra gli altri, Tiziano Treu mai ringraziato a dovere
dalla borghesia per aver aperto la strada verso la Legge Biagi, con
la sua interlocutoria legge omonima; Fausto Bertinotti, già campione
del tradimento alla Fiat nel 1980, e quindi prescelto olimpionico per
le mille battaglie a Porta a Porta da Bruno Vespa; Antonio Pizzinato
salito al Governo Prodi per dare una mano al Treu per scongiurare
ogni più piccola possibilità che non riuscisse a varare la sua
legge a favore della precarietà; Sergio Cofferati che non capitolò
sull’articolo 18 ai tempi della Cgil per capitolare su tutto il
resto, articolo 18 compreso, ai tempi del suo ingresso nel PD e
dell’appoggio al Governo Monti, come ultimo sceriffo arruolato
dalla borghesia fuorilegge.
Non un militante della
Rete28Aprile è stato invitato a ricordarlo. Non sappiamo se
Sabattini, uomo di minoranza, avrebbe scelto di appartenere alla
nostra, ma è difficile credere che avrebbe scelto di stare con
simili campioni della moderazione. Lui era per il conflitto, per il
conflitto radicale anche se non del tutto marxista. Ed è qui forse
che ha perso la sua battaglia o le occasioni migliori per poterla
vincere. Quando ha accettato la migliore idea liberale sul conflitto
che regola la democrazia. Per noi marxisti, non è la democrazia che
il conflitto liberale vuole regolare. Nella democrazia borghese più
illuminata, il conflitto viene accettato per regolare la vittoria
della borghesia, per evitare che la nostra sconfitta sia troppo
sregolata. Ma regolata più o meno bene, per noi proletari nella loro
democrazia, sconfitta è e sconfitta deve restare. Il conflitto viene
eliminato non quando non c’è più democrazia, ma quando la
vittoria borghese viene messa in discussione. Ed è proprio questo
che noi dobbiamo fare, passare dalla regolazione della nostra
sconfitta, alla regolazione della loro, vincendo una volta per tutte
il conflitto col Capitale, sostituendo cioè la democrazia borghese
con la democrazia consiliare.
Stazione dei Celti
Gennaio 2013
Stazione dei Celti
Gennaio 2013
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