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martedì 15 marzo 2016

GIOVANNINO VA A... "LA MERICA" di Sara Palmieri






 GIOVANNINO VA A... "LA MERICA"

di Sara Palmieri



Giovannino salì sul bastimento appeso alla gonna della sorella.
Non aveva mai visto un porto, né una barca così grande e neppure tante persone insieme.
Uomini, donne e bambini, intere famiglie coi sacchi in spalla e i vestiti dimessi o laceri, che cercavano di salire sul barcone e guadagnare un posto per accucciarsi a terra o, perfino, per rimanere in piedi, rassegnati alla lunga traversata, ma determinati a sostenerla perché, se c’è la salute e le gambe buone e il posto in cui si è nati è avaro, bisogna pur trovare il coraggio di vivere, di cambiare la propria condizione.
Cogli occhi sgranati, Giovannino si guardava intorno incontrando gli sguardi di altri bambini come lui, stretti ai pantaloni o alle gonne di qualcuno.
Da quando i genitori erano morti, non aveva che sua sorella e, insieme, l’unica cosa che possedevano era il futuro, che - a pensarci bene - non è poco, così Maria aveva deciso di metterlo a frutto, partendo per terre lontane, ma più generose di quelle in cui erano nati.
Una volta in viaggio il mare non aveva più l’orizzonte breve del loro paesello, si era espanso ed era divenuto immenso; si alternarono notti e giorni in cui era in tempesta e faceva paura con quelle onde alte che sovrastavano perfino il bastimento; poi c’erano i giorni di calma e le sue acque azzurre, ora sfiorate, ora attraversate dai raggi del sole, riportavano serenità e fiducia fra passeggeri ormai provati, ma ansiosi di quell’approdo, per quanto sconosciuto.
Giovannino non sapeva contare e non saprà dire neppure in seguito quanti giorni durò quel viaggio; saprà solo dire che fu lungo, quasi infinito, che aveva avuto il tempo di farsi qualche amico e di trascorrere qualche ora di gioco sotto l’occhio premuroso di Maria; che il pane che si erano portati era finito presto e che solo grazie ad alcuni compagni di viaggio erano riusciti a sostentarsi.
Avevano sentito di altri bastimenti partiti per La Merica, quella del nord, ma Maria aveva scelto quella del sud perché il clima è più simile a quello dell’Italia e la gente pure e le terre sono così grandi, ma così grandi, che possono accogliere tutti e a tutti dare un lavoro e una casa, una vita finalmente degna di questo nome.
Del Brasile, Maria, aveva sentito parlare da altri compaesani che già c’erano andati, che là avevano fatto fortuna e avevano potuto mandare denari a casa e perfino delle fotografie in cui posavano con pagliette candide, begli abiti e capelli impomatati.
Il viaggio fu più lungo dell’immaginabile, un’odissea senza pause e senza distrazioni.
Sembrava non finisse mai e Giovannino cominciò a pensare che forse gli toccava di vivere per sempre su quel bastimento, anzi peggio.
Lo scoramento si impossessò del suo cuore e inutili diventarono le rassicurazioni della sorella. Neppure i giochi con gli altri bambini, in verità divenuti rari e ripetitivi, riuscivano più a distrarlo ed aveva preso ad immaginare onde cattive che lo risucchiavano in fondo al mare, tra pesci giganti, con fauci spalancate e denti aguzzi.
Si ricordò di quella storia che Maria gli aveva letto una sera, faticosamente, alla luce di una lampada fioca, scandendo bene ogni vocabolo.
Non sapeva dire come il libro fosse arrivato a casa sua, ma il racconto era affascinante, almeno così gli era sembrato mentre lo ascoltava tra le mura comunque confortanti della sua stanza, prima di addormentarsi, disteso in un letto, nel suo letto.
Parlava di un vascello e di mostri marini dai tentacoli lunghi e avviluppati che cercavano di mandarlo a fondo.
L’aveva scritto un tale che si chiamava… Giulio…sì, Giulio Verne e forse – pensò durante il viaggio Giovannino – questo Giulio non se lo era proprio inventato!
Forse si era trovato su un barcone simile al suo e il mostro l’aveva visto per davvero.
Insomma quella storia, nell’attuale circostanza, gli sembrò terribilmente realistica.
Si disperava tra le braccia di Maria e la notte era preda di incubi che lo costringevano a svegliarsi tra i singhiozzi.
Sei un uomo – lo esortava Maria – e gli uomini non piangono!”
Ma Giovannino si sentiva solo un bambino e non gli sembrava più una bella trovata quella della sorella di andare a La Merica e poi a fare cosa che non si sapeva nemmeno che faccia avesse questa La Merica e cos’era quella parola “futuro” che Maria usava di continuo e che gli era venuta a noia, che sembrava bella e potente, ma anche cattiva e piena di trappole.
Il futuro è oggi – rifletteva Giovannino - al massimo è domani e saremo ancora su questa barca!”
Quando furono al limite delle forze fisiche e dello sconforto morale – lo era anche Maria benché facesse la coraggiosa - una mattina, all’improvviso, con un gran rumore e un gran fumo dallo stantuffo del bastimento, e poi con un bagliore, comparve La Merica.
Evviva, guardate, siamo a Porto de Santos – urlò qualcuno.
Il porto dei Santi – tradusse di getto Maria, sollevando il fratello e dandosi arie da competente.
Se ci sono di mezzo dei Santi – pensò di rimando Giovannino – allora si può stare tranquilli!”
Quei passeggeri, stanchi, provati, affranti, furono distratti dalle rare faccende della mattinata e si voltarono, d’un tratto, a guardare, tutti, nella stessa direzione, per scorgere – mano alla fronte e cuore grosso - quella riva densa di promesse, ma anche di incognite, cercando di immaginare ciò che finalmente si palesava.
Ma, dal mare, si capiva solo che era una terra grande: due immensi bracci di cemento si facevano sempre più vicini e a Giovannino parvero le braccia di una mamma.
Di colpo si sentì forte, proprio come un uomo vero.
Con le sue gambe magre scese dal bastimento, determinato a prendere il futuro per la collottola. 

 

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