GIOVANNINO VA A... "LA MERICA"
di Sara Palmieri
Giovannino
salì sul bastimento appeso alla gonna della sorella.
Non
aveva mai visto un porto, né una barca così grande e neppure tante
persone insieme.
Uomini,
donne e bambini, intere famiglie coi sacchi in spalla e i vestiti
dimessi o laceri, che cercavano di salire sul barcone e guadagnare un
posto per accucciarsi a terra o, perfino, per rimanere in piedi,
rassegnati alla lunga traversata, ma determinati a sostenerla perché,
se c’è la salute e le gambe buone e il posto in cui si è nati è
avaro, bisogna pur trovare il coraggio di vivere, di cambiare la
propria condizione.
Cogli
occhi sgranati, Giovannino si guardava intorno incontrando gli
sguardi di altri bambini come lui, stretti ai pantaloni o alle gonne
di qualcuno.
Da
quando i genitori erano morti, non aveva che sua sorella e, insieme,
l’unica cosa che possedevano era il futuro, che - a pensarci bene -
non è poco, così Maria aveva deciso di metterlo a frutto, partendo
per terre lontane, ma più generose di quelle in cui erano nati.
Una
volta in viaggio il mare non aveva più l’orizzonte breve del loro
paesello, si era espanso ed era divenuto immenso; si alternarono
notti e giorni in cui era in tempesta e faceva paura con quelle onde
alte che sovrastavano perfino il bastimento; poi c’erano i giorni
di calma e le sue acque azzurre, ora sfiorate, ora attraversate dai
raggi del sole, riportavano serenità e fiducia fra passeggeri ormai
provati, ma ansiosi di quell’approdo, per quanto sconosciuto.
Giovannino
non sapeva contare e non saprà dire neppure in seguito quanti giorni
durò quel viaggio; saprà solo dire che fu lungo, quasi infinito,
che aveva avuto il tempo di farsi qualche amico e di trascorrere
qualche ora di gioco sotto l’occhio premuroso di Maria; che il pane
che si erano portati era finito presto e che solo grazie ad alcuni
compagni di viaggio erano riusciti a sostentarsi.
Avevano
sentito di altri bastimenti partiti per La
Merica,
quella del nord, ma Maria aveva scelto quella del sud perché il
clima è più simile a quello dell’Italia e la gente pure e le
terre sono così grandi, ma così grandi, che possono accogliere
tutti e a tutti dare un lavoro e una casa, una vita finalmente degna
di questo nome.
Del
Brasile, Maria, aveva sentito parlare da altri compaesani che già
c’erano andati, che là avevano fatto fortuna e avevano potuto
mandare denari a casa e perfino delle fotografie in cui posavano con
pagliette candide, begli abiti e capelli impomatati.
Il
viaggio fu più lungo dell’immaginabile, un’odissea senza pause e
senza distrazioni.
Sembrava
non finisse mai e Giovannino cominciò a pensare che forse gli
toccava di vivere per sempre su quel bastimento, anzi peggio.
Lo
scoramento si impossessò del suo cuore e inutili diventarono le
rassicurazioni della sorella. Neppure i giochi con gli altri bambini,
in verità divenuti rari e ripetitivi, riuscivano più a distrarlo ed
aveva preso ad immaginare onde cattive che lo risucchiavano in fondo
al mare, tra pesci giganti, con fauci spalancate e denti aguzzi.
Si
ricordò di quella storia che Maria gli aveva letto una sera,
faticosamente, alla luce di una lampada fioca, scandendo bene ogni
vocabolo.
Non
sapeva dire come il libro fosse arrivato a casa sua, ma il racconto
era affascinante, almeno così gli era sembrato mentre lo ascoltava
tra le mura comunque confortanti della sua stanza, prima di
addormentarsi, disteso in un letto, nel suo letto.
Parlava
di un vascello e di mostri marini dai tentacoli lunghi e avviluppati
che cercavano di mandarlo a fondo.
L’aveva
scritto un tale che si chiamava… Giulio…sì,
Giulio Verne e forse
– pensò durante il viaggio Giovannino – questo
Giulio non se lo era proprio inventato!
Forse
si era trovato su un barcone simile al suo e il mostro l’aveva
visto per davvero.
Insomma
quella storia, nell’attuale circostanza, gli sembrò terribilmente
realistica.
Si
disperava tra le braccia di Maria e la notte era preda di incubi che
lo costringevano a svegliarsi tra i singhiozzi.
“Sei
un uomo
– lo esortava Maria – e
gli uomini non piangono!”
Ma
Giovannino si sentiva solo un bambino e non gli sembrava più una
bella trovata quella della sorella di andare a La
Merica
e poi a fare cosa che non si sapeva nemmeno che faccia avesse questa
La
Merica
e cos’era quella parola “futuro”
che
Maria usava di continuo e che gli era venuta a noia, che sembrava
bella e potente, ma anche cattiva e piena di trappole.
“Il
futuro è oggi
– rifletteva Giovannino - al
massimo è domani e saremo ancora su questa barca!”
Quando
furono al limite delle forze fisiche e dello sconforto morale – lo
era anche Maria benché facesse la coraggiosa - una mattina,
all’improvviso, con un gran rumore e un gran fumo dallo stantuffo
del bastimento, e poi con un bagliore, comparve La
Merica.
“Evviva,
guardate, siamo a
Porto
de Santos
– urlò qualcuno.
“Il
porto dei Santi
– tradusse di getto Maria, sollevando il fratello e dandosi arie da
competente.
“Se
ci sono di mezzo dei Santi
– pensò di rimando Giovannino – allora
si può stare tranquilli!”
Quei
passeggeri, stanchi, provati, affranti, furono distratti dalle rare
faccende della mattinata e si voltarono, d’un tratto, a guardare,
tutti, nella stessa direzione, per scorgere – mano alla fronte e
cuore grosso - quella riva densa di promesse, ma anche di incognite,
cercando di immaginare ciò che finalmente si palesava.
Ma,
dal mare, si capiva solo che era una terra grande: due immensi bracci
di cemento si facevano sempre più vicini e a Giovannino parvero le
braccia di una mamma.
Di
colpo si sentì forte, proprio come un uomo vero.
Con
le sue gambe magre scese dal bastimento, determinato a prendere il
futuro per la collottola.
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