TAXI DRIVER
di Riccardo Achilli
La notte è calda e umida. Ma dall’asfalto appena bagnato dalla
pioggia, come a voler dissolvere l’abbraccio appiccicoso dell’afa,sale un odore
fresco. E’ come una liberazione, come se l’aria fosse stata interamente
ripulita, come se si ricominciasse di nuovo, mondati da tutto, dai peccati,
dagli errori, dal peso del passato.
La macchina scivola sull’asfalto lucido
come un battello su un mare completamente pacificato. Il motore ronfa in
sottofondo, mentre le luci della sera corrono sul parabrezza come lucciole.
E’
per queste sere, dove tutto sembra in equilibrio magico, è per sere così che
vale la pena di vivere. Vale la pena di uscire, anche se per lavorare. Strade
che si accumulano a strade, incroci, le luci dei semafori che occhieggiano,
clienti che salgono e scendono, due ragazzi che tornano dalla discoteca e
limonano nel sedile posteriore, un bengalese ubriaco, il padre di famiglia che
si è concesso una notte in sala giochi, gli occhi spenti del sogno sfuggito di
mano. La ragazza che esce dal suo turno al night club, i capelli arruffati che
raccontano una storia molto più triste del suo sorriso pieno di fard.
La fauna
della notte. Gente che forse di giorno non si fa nemmeno vedere. Che esiste
solo nelle ombre sfuggenti e nelle pallide luci della notte. Per confondersi
nella sua oscurità, senza la quale non potrebbero vivere.
Il tassametro scatta,
distraendomi dai miei pensieri. La sigaretta vola fuori dal finestrino,
disegnando una parabola quasi perfetta. Quasi, niente nelle notti per le quali
vale la pena respirare può essere perfetto.
All’improvviso, la notte emette un
profondo sospiro di vento. Il calore umido sembra scendere verso il mondo come
un mantello, schiacciandolo sotto il suo peso, come una condanna, come se non
ci fosse via d’uscita, come se tutta la fragile armonia della notte si fosse
distrutta, sbriciolandosi sotto l’incombenza di ciò che è necessario. Come se
non ci fosse redenzione, come se niente potesse essere ricominciato, come se
non esistesse la seconda possibilità. E di nuovo tutto si mescola in un turbinio di sigarette, fermate,
ripartenze, parole, strade su strade, fino a perdere il senso di una direzione,
fatica scandita dal tassametro che gira. Restituendo l’immagine di un caos
senza uscita possibile.
Accendo la radio per spezzare l’incantesimo. La voce
squillante di un Dj mi colpisce come uno schiaffo. Riemergo dal torpore nel
quale stavo cadendo. Ho bisogno di un caffè. Le luci di un bar baluginano come
un faro, dentro la nebbia di calore ed umidità che impasta il cielo, i palazzi
e la terra in una unica mediocrità, in un unico grigio. Come un naufrago, mi ci
dirigo. Senza altra speranza che una momentanea tregua.
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