Lotte (e Autolesionismo) di classe
di
Norberto Fragiacomo
Sto pian piano leggendo, nei ritagli di
tempo concessimi dal lavoro, un’opera di Domenico Losurdo dedicata alla lotta
di classe[1].
Senza perdersi in convenevoli l’illustre
cattedratico polemizza sin dalle primissime pagine con i pensatori (quasi tutti
transfughi del marxismo convertiti all’idea liberale) che, per compiacere chi
li foraggiava, già negli ultimi decenni del Novecento diedero per
definitivamente morta la lotta di classe. L’autore ha buon gioco nel dimostrare
il contrario, partendo da una frase del Manifesto del ’48 che del libro (e del
ragionamento losurdiano) costituisce quasi l’architrave: “La storia di ogni
società sinora esistita è la storia delle lotte di classe”.
Ciò che viene negato non è il fatto,
evidentissimo, che la suddetta lotta alterna fasi acute ad altre di relativa
stasi, né che il livello di consapevolezza diffuso fra i “combattenti” oscilla
a seconda delle epoche storiche (l’ascesa è in genere lenta e contrastata, i
crolli vertiginosi): si intende piuttosto contrastare la sicumera di quanti,
per ragioni ideologico-propagandistiche, pretendono che assieme alla Storia il
capitalismo trionfante abbia schiantato anche la lotta e le motivazioni
oggettive e soggettive che ne stanno alla base. Quello dello scontro – aperto o
latente - fra le classi è un fenomeno destinato a riprodursi fino a quando
queste ultime esisteranno: onestamente la tesi di Losurdo mi sembra inconfutabile.