ARCHIVIO TEMATICO (in allestimento. Pronto l'indice dei redattori)

martedì 28 gennaio 2014

E. LOUKAS (DIMAR): NON SI PUO’ GOVERNARE UN PAESE IN CRISI SENZA UNA GRANDE ALLEANZA POLITICA E SOCIALE (intervista di Norberto Fragiacomo)




E. LOUKAS (DIMAR): NON SI PUO’ GOVERNARE UN PAESE IN CRISI SENZA UNA GRANDE ALLEANZA POLITICA E SOCIALE
Il membro greco-triestino del Comitato centrale di Sinistra Democratica auspica, per la Grecia, un governo di cambiamento con SYRIZA, che dovrà però abbandonare le proprie “posizioni populiste”
di
Norberto Fragiacomo


Incontro l’ingegner Efstathios “Stathis” Loukas al Caffè S. Marco, storico luogo di ritrovo di artisti e letterati triestini (Claudio Magris ha combattuto un’appassionata battaglia per scongiurarne la chiusura). Tutto, in questo locale, richiama la Trieste cosmopolita di cent’anni fa: le decorazioni art noveau, la compostezza degli avventori, la presenza, tra loro, di un rabbino e di un regista greco che, accompagnato dallo sceneggiatore, illustra la sua ultima opera, presentata proprio in questi giorni al Trieste Film Festival. Qui dentro, insomma, si respira un’aria vivace, multiculturale; fuori la strada intona la monotona canzone d’un presente gramo. E proprio di attualità – e più precisamente di quanto sta avvenendo in Grecia – parliamo Stathis ed io, davanti ad un caffè nero e ad un tè.
Gli chiedo di presentarsi ai lettori, ma lui mi precede, consegnandomi un foglio word che contiene, oltre ai dati fondamentali, una sua analisi della situazione politica ellenica: vengo così a sapere che dal ’72 al ’74 è stato segretario della Federazione italiana del Partito Comunista Greco dell’interno (nato da una scissione del KKE e molto vicino al PCI italiano); nel frattempo dirigeva la rivista “Quaderni della Resistenza Greca”. Di particolare rilievo è il conferimento della medaglia al valor civile per la Resistenza contro la dittatura dei colonnelli. Di altri fatti ero già al corrente: dopo la laurea all’Università di Bologna, Loukas, già sposato con un’italiana, si è stabilito a Trieste; dal 2011 fa parte del Comitato centrale di DIMAR/Sinistra Democratica, una formazione politica che, dopo aver contribuito a dar vita al gabinetto Samaras (2012), ne è uscita la scorsa estate per incomponibili divergenze (sabotaggio della Nuova Legge Antirazzista da parte di Samaras e suo colpo di mano con la chiusura della RadioTV). Precisa, a voce, che “un compromesso non può reggersi con radici unidirezionali”, ed aggiunge di essere “esponente di una corrente di pensiero che all’ultimo congresso del partito, a metà dicembre, ha ottenuto il 25% dei voti in seno al Comitato centrale – 26 su 111 – per uno spostamento più a sinistra, nella prospettiva di un’alleanza con SYRIZA per un governo di cambiamento.”

UNA QUESTIONE DI "SOSTANZA" di Giandiego Marigo



UNA QUESTIONE DI "SOSTANZA"
di  Giandiego Marigo




C'è una questione di sostanza di cui, sembra, nessuno voglia parlare. 
Al di là ed al di sopra delle valutazioni e dei punti di vista, squisitamente elettoralistici e strumentali. Ed è lo stato, reale, di questo paese e del mondo. Il suo asservimento culturale al modello imposto dal sistema ... dal mercato, a condizioni, che vengono, secondo me a torto, definite “oggettive”.
Faccio un esempio di quanto e di come  ci siamo persi.

La montatura mediatica nei confronti di un'area del paese è oggettiva, innegabile è come per le scie chimiche in cielo una cosa che basterebbe “guardare” e salterebbe immediatamente agli occhi.
Però come per il fenomeno citato essa viene negata, distorcendo persino l'evidenza, con una certa qual violenza e decisione, addirittura da chi ha fatto, a parole, dell'oggettività e dell'indipendenza il proprio cavallo di battaglia. Il che, per rimanere in tema equino lo trasforma in un bellissimo e efficiente Cavallo di Troia...in una trappola.
Sempre di più la tattica del “consenso estorto” dell'inganno da marketing, della pubblicità che non racconta esattamente la verità, ma nemmeno è del tutto una menzogna, viene adottato nella “normale comunicazione” distorcendola in modo pericolosamente ipnotico e persuasivo.
La comunicazione diviene manipolazione senza che chi la fa e chi la subisce, faccia nemmeno finta di di essersene accorto, ma se il secondo subisce , appunto, il primo per contro “pensa, progetta, pianifica” un intervento che è basato sulla distorsione sistematica, finalizzata e strumentale di ogni possibile informazione a fini persuasivi...e questo è terribile. Per chi riesca ancora a pensarlo.

domenica 26 gennaio 2014

LA SITUAZIONE E LA SOLUZIONE di Giandiego Marigo




LA SITUAZIONE E LA SOLUZIONE 
di Giandiego Marigo


 Per come sta evolvendo la situazione in questo paese ed in quell'AreA che un tempo definimmo “Sinistra Radicale” potremmo, tranquillamente ma tragicamente, arrivare all'assurdo di avere più di una lista in appoggio a Tsipras. Vi sono numerose iniziative in campo a questo proposito, ma ancora non si vede un tessuto che le interconnetta ed ancor meno ci appare evidente una volontà reale a farlo. Oggi anche SeL nel suo congresso prende questa strada … ne siamo felici è un'ottima cosa, ma esiste ancora, intatto, un rischio oggettivo, che deriva da una sorta di “incomunicabilità piena di livori e vecchi conti da sistemare” eredità indesiderata ed ingombrante dalle troppo numerose ed inutili divisioni di questi anni (Se lo lascino dire leader più o meno carismatici, segretari più o meno di maggioranza, intellettuali più o meno conseguenti e ben remunerati).
Questa incapacità di essere “sinistra” è il male che Tsipras e L'idea di Syriza, potrebbero curare, questa è la ragione principale per cui “SINISTRA UNITA – AreA di Progresso e Civiltà” esiste. Questo non deve avvenire, l'unificazione momentanea delle componenti dell'arcipelago deve, innanzi tutto, confluire in una sola lista e successivamente diventare un percorso di vera unità, una relazione stabile, un cammino condiviso verso un'Area di Progresso e Civiltà, che sappia parlare del “cambiamento" ad un mondo e ad un paese, in particolare, che ne ha tremendamente bisogno. Gli unici che possono riuscire a fare questo sono gli abitanti di questo arcipelago e la volontà che essi possono esprimere. Una Volontà che ponga la necessità/valore dell'unità al primo posto, che trovi le condizioni che la favoriscono, che sappia anteporre quel che ci accomuna quel che ci divide. E diciamolo! Tutti, noi, tutti voi siamo/siete portatori sani di questa volontà … esprimiamola, in ogni istanza, in ogni occasione, in ogni luogo …

UNA SOLA LISTA DELLA SINISTRA Unita PER TSIPRAS PRESIDENTE.

È solo un piccolo passo, un primissimo piccolo passo, ma ogni cammino inizia così e siamo tutti noi a poterlo fare iniziare.

È tanto difficile?




sabato 25 gennaio 2014

L'ALTRA LIBIA: QUELLO CHE I MEDIA NON HANNO MAI DETTO di Olga Tamburini.




L'ALTRA LIBIA: QUELLO CHE I MEDIA NON HANNO MAI DETTO

di Olga Tamburini.



La Banca centrale della Libia apparteneva alla Libia, a differenza della maggior parte di quelle del mondo occidentale. Era posseduta al 100% dallo Stato, senza la presenza di quote detenute da banche speculative o da azionisti privati. La Libia, esattamente come Iraq, Siria, Libano, Libia, Somalia, Sudan e Iran, non era membro della Banca dei Regolamenti Internazionali con sede in Svizzera, la banca centrale di tutte le banche centrali che aveva raccolto l’adesione di 56 Paesi. 

Negli ultimi anni prima della destituzione, Muammar Muhammad al-Gaddafi aveva minacciato l’espulsione delle compagnie petrolifere occidentali per favorire la totale nazionalizzazione del settore. Nella Libia del sanguinario dittatore ed oppressore delle masse, la casa era considerata un diritto umano imprescindibile e le giovani coppie venivano sovvenzionate con 60.000 dinari (pari a 50.000 dollari statunitensi) per l’acquisto del primo immobile. 

Secondo dati riportati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, tutt’altro che vicina a infatuazioni gheddafiane, l’apporto calorico procapite giornaliero era pari a 3144 chilocalorie e i tassi di mortalità infantile erano calati da 70 a 19 nascite su 100.000 nel 2009, mentre l’aspettativa di vita era passata da 61 a 74 anni nello stesso periodo. 

IL FALLIMENTO SOCIALE DEL CAPITALISMO di Fausto Rinaldi



IL FALLIMENTO SOCIALE DEL CAPITALISMO 
di Fausto Rinaldi




La crisi del 2007 ha sancito – anche per i più disattenti -  un clamoroso fallimento del mercato; meno evidente, ma ugualmente bruciante (almeno per la pletora di economisti neoliberisti “organici”, corifei del consolidato ordine borghese), quello della proprietà e produzione privata. 

Come ampiamente dimostrato in occasione di passate crisi sistemiche, il capitale, fiero osteggiatore dell’ intervento statale a tutela delle fasce più deboli della popolazione, torna a concepire un intervento dello Stato per soccorrere il sistema creditizio e industriale attraverso forme di finanziamento che possano “aggiustare” i danni prodotti dagli eccessi degli “spiriti animali” incarnati dagli imprenditori rampanti e, nel caso in questione, finiti con le chiappe a bagno. Quindi, ecco che si invocano interventi per ripianare i buchi di bilancio dell’ allegro sistema bancario, lanciatosi a capofitto nel vortice della finanza strutturata e riempitosi di titoli del tutto inesigibili; oppure, richiedere provvedimenti legislativi a sostegno della produzione, incentivi, sgravi, etc..: il più classico degli esempi di privatizzazione dei profitti e socializzazione delle perdite.

mercoledì 22 gennaio 2014

RISCHI IMMEDIATI E RISCHI PIU' LONTANI DI UNA CRISI IRRISOLTA di Riccardo Achilli


RISCHI IMMEDIATI E RISCHI PIU' LONTANI DI UNA CRISI IRRISOLTA 

di Riccardo Achilli


Più volte è stato evocato il rischio dell'esplosione di una nuova bolla finanziaria sui mercati, nel prossimo futuro di questa infinita crisi. E' del tutto evidente che le politiche economiche e monetarie messe in atto in questi anni sono state tutte quante mirate a ripristinare il captialismo finanziarizzato che ci ha messi nei guai. Di fatto, l'intero corpo delle politiche monetarie e sul mercato creditizio è stato mirato a ripulire i portafogli bancari dagli asset più tossici, a restituire liquidità che stava drammaticamente venendo meno (la massa di M3 nell'area-euro cresce del 3,9% fra 2011 e terzo trimestre 2013, M2, nel mercato monetario statunitense, cresce addirittura del 13,7% fra gennaio 2012 e dicembre 2013, grazie alle misure di espansione moentaria messe in piedi dalla Fed), a ripristinare credibilità delle banche sui mercati, anche tramite regolamenti molto più prudenziali del passato (Basilea 3) e nell'insieme a coprire il sistema bancario da un tracollo sistemico, anche tollerando una stretta creditizia senza precedenti (basti pensare che, nell'area-euro, il totale del credito è sceso del 2% fra 2009 e terzo trimestre del 2013).
Le stesse politiche di austerity dei bilanci pubblici nazionali e le famigerate "riforme strutturali" dei mercati nazionali del lavoro, dei sistemi formativi, del livello di intervento pubblico in economia, servono, da un lato, a ripristinare il valore delle quotazioni dei titoli del debito pubblico in pancia alle banche, riducendo il rollover risk e dolorose svalutazioni patrimoniali, e dall'altro, a ripristinare condizioni di ripresa, sia pur momentanea, del tasso di profitto generale, al fine di far ripartire la domanda di investimenti e di credito, oggi ancora languente, evitando che il valore azionario e finanziario superi di troppi multipli il valore reale sottostante di imprese e produzioni, facendo quindi ripartire la grande giostra dell'investimento finanziario. 

lunedì 20 gennaio 2014

UNA NUOVA PROSPETTIVA ANTICAPITALISTA di Francesco Salistrari


UNA NUOVA PROSPETTIVA ANTICAPITALISTA
di Francesco Salistrari


Questa sinistra italiana… che rabbia.

Una sinistra davvero sinistra, nel senso di inquietante. Una sinistra che nel corso degli ultimi trent’anni ha completamente mancato due appuntamenti storici cruciali: la caduta del muro di Berlino (1989) e l’ingresso nell’euro (1999). Due appuntamenti cruciali, periodizzanti, in cui alla sinistra non è mancato solo il coraggio e l’ardire politico che ci si aspetterebbe da chi, a parole, vuole “cambiare il mondo”. Ma è mancato qualcosa di ancora più importante, qualcosa che ad una sinistra degna di questo nome non dovrebbe mancare mai: la capacità di analisi.

Un’incapacità davvero imbarazzante considerato ciò che stava succedendo realmente, visti gli sviluppi successivi. Anzi, alle inquietanti prospettive che si stavano già dal 1989 delineando dinnanzi a questo paese (e al mondo occidentale), alla sinistra non è mancata solo la capacità di predirle, intuirle, pensarle, ma è mancata anche la capacità di elaborare il “lutto” della caduta del mondo sovietico. Un mondo che per decenni era stato presentato come il contraltare migliore al capitalismo, come la prospettiva auspicata, il “sol dell’avvenire” anche per il mondo occidentale, nascondendo, negando e non comprendendo il profondo abisso nel quale quell’esperienza avrebbe gettato tutta la sinistra antagonista mondiale e di conseguenza l’intero pianeta, spianando la strada alla “globalizzazione della finanza” che ha condannato il mondo al neoliberismo teologico dominante. Che ha portato alla vittoria definitiva di questo capitalismo assoluto nel quale viviamo.

mercoledì 15 gennaio 2014

Come fare sinistra in un Paese conservatore: alcuni appunti di viaggio, di Riccardo Achilli









di Riccardo Achilli


Le tesi di Chiarini

In un recentissimo libro ("Alle origini di una strana Repubblica", edizioni Marsilio, 2013), lo storico Roberto Chiarini si interroga sui motivi dello iato esistente, nel nostro Paese, fra una cultura politica di sinistra, che si manifesta nel mito dell’antifascismo e nelle caratteristiche di una Costituzione sostanzialmente progressista, ed una società che esprime valori fondamentalmente conservatori e di destra. 

La tesi centrale del libro è che tale contraddizione nasce dallo stesso processo di formazione dell’Italia repubblicana, dentro una sorta di doppia delegittimazione reciproca fra destra e sinistra, la prima etichettata di fascista, la seconda di comunista, che di fatto le ha annullate, impedendo loro di esercitare la funzione di protagoniste del gioco politico, lasciando spazio ad una deriva centrista, rappresentata dalla Dc e dai suoi alleati, che in qualche modo rappresentava l’unica sintesi possibile di tale contraddizione, dando rappresentanza ad una maggioranza silenziosa di italiani per niente disposta a dare spazio alle conseguenze che una cultura politica progressista avrebbe avuto, provocando uno scollamento fra una cultura politica di sinistra ed imperniata sul mito dell’antifascismo e sui richiami ideali della Resistenza, della libertà, della giustizia e del diritto al lavoro, ed un Paese reale che cova sentimenti reazionari. Da ultimo, con l’avvento della Seconda Repubblica, l’emergere di una destra lungamente tenuta fuori dal contesto politico ed istituzionale “ufficiale”, spesso tinteggiatasi di eversione negli anni di piombo, non ha consentito di elaborare un progetto politico autonomo, democratico, europeo e moderno, incentivando, nella sinistra, la prosecuzione del gioco alla delegittimazione, che ha, a sua volta, impoverito le basi culturali e politiche della sinistra stessa, congelando il Paese in una sterile contrapposizione fra una destra populista, corporativa, ancora innervata da tensioni socialfasciste o comunque, in altri modi, “eversive” (riferendosi l’autore al messaggio separatista leghista) ed una sinistra senza progetto, bloccata nel gioco della delegittimazione, che quindi cercava in tentazioni neocentriste il consenso che non poteva conquistare con il peso delle idee. Il tutto mentre, sempre per tenere a mente le distinzioni operate dall’autore, il Paese “legale”, connotato da una pregiudiziale antifascista non fa collante con il Paese reale, che invece è caratterizzato da una pregiudiziale anticomunista. La paralisi istituzionale e politica che deriva da una incapacità di destra e sinistra di diventare protagoniste di un confronto politico basato su proposte mirate alle esigenze di modernizzazione del Paese , e non sulla demonizzazione reciproca, fornisce la stura per riaprire la storica tendenza degli italiani verso l’antipolitica, il rifiuto della partecipazione e del confronto pubblico, la diffidenza verso il ruolo dello Stato, l’individualismo anarcoide. E si traduce quindi nella marea montante di disprezzo verso le istituzioni dello Stato e le istituzioni intermedie della rappresentanza, fondamentali in una democrazia, ovvero partiti e sindacati.

Una costruzione sbilenca dello Stato e della borghesia nazionale, che ha dato corpo ad un brodo di coltura reazionario ed individualista

La tesi di Chiarini è suggestiva, e contiene elementi di profondo interesse, soprattutto in merito all’incapacità della Seconda Repubblica, liberatasi dei vincoli della guerra fredda, di superare il gioco reciproco alla delegittimazione, e quindi incapace di riformulare una cultura politica, andatasi via via estinguendo. Tuttavia, l’elemento centrale di tale tesi è solo in parte condivisibile, a mio avviso. Non penso che vi sia stata una delegittimazione reciproca “ab origine”, cioè sin dalla nascita della Repubblica, fra sinistra e destra. La versione italiana del comunismo, cioè il togliattismo, ha operato sin dall’inizio per gestire in forma consociativa con la destra democratica, rappresentata dalla Democrazia Cristiana, la costruzione di una Repubblica democratica liberale e filo-occidentale , dentro la quale il PCI avrebbe avuto la garanzia del suo spazio di potere e di influenza culturale. “L'obiettivo che noi proponiamo al popolo italiano da realizzare finita la guerra, sarà quello di creare in Italia un regime democratico e progressivo”, avrà a dire il Migliore a Napoli, nel 1944. All’indomani della cacciata di comunisti e socialisti dal Governo, che preannunciò il passaggio ad una opposizione strutturale, egli dichiarerà: “grazie alla nostra politica siamo riusciti ad ottenere che la lotta per la democratizzazione del nostro Paese si svolga in quel quadro dell’unità nazionale che fu conquistato nel secolo scorso”, accettando quindi implicitamente la collocazione del suo partito dentro il quadro democratico e liberale che egli stesso ha contribuito a costruire. Parimenti, la delegittimazione del fascismo passa solo tramite vie formali, culturali e sovrastrutturali, nella misura in cui gran parte della classe dirigente del periodo fascista transita, tranquillamente, dentro i quadri politico/amministrativi della neonata Repubblica, la stessa Democrazia Cristiana integra, dentro le sue correnti di destra, esponenti politici del vecchio regime, interi spezzoni di ordinamento giuridico fascista vengono riprodotti nella nuova Italia democratica (si pensi al codice penale) e c’è il divieto assoluto, da parte di De Gasperi, ad istituire una Norimberga italiana, che dia un giudizio storico definitivo sul fascismo, come la Norimberga tedesca lo ha dato sul nazismo. 

Probabilmente la verità è che l’anomalia italiana, in termini di scollamento fra cultura politica e Paese reale, ha radici ancor più lontane, da un lato nello stesso processo di formazione dello Stato unitario, e dall’altro nei processi di consolidamento della borghesia nazionale.

martedì 14 gennaio 2014

IL CONVEGNO DEL MPL A CHIANCIANO TERME: IMPRESSIONI SU UN PROMETTENTE SUCCESSO di Norberto Fragiacomo





IL CONVEGNO DEL MPL A CHIANCIANO TERME: IMPRESSIONI SU UN PROMETTENTE SUCCESSO

Record di partecipanti (circa 400) all’assise tenutasi in terra toscana: l’atmosfera finalmente distesa e il lancio di una proposta di collaborazione, discutibile nei contenuti, ma concreta, inducono a un cauto ottimismo

di
Norberto Fragiacomo



La mattina di sabato 11 Chianciano Terme è un’albergopoli fantasma: manco un’anima in giro; entriamo in un bar per un caffè, ma dietro il bancone non c’è nessuno.
Avanti verso l’Hotel Villa Ricci, allora, e qui la prospettiva cambia: decine e decine di persone che vociano, s’informano, si mettono in fila. Compagne e compagni in febbrile attesa dell’evento. Gli organizzatori lavorano duro: appaiono ovunque, rispondono con gentilezza alle domande più varie, mostrano un’invidiabile efficienza. Sono sorpresi, però, quasi sconcertati dalla massiccia affluenza. Percepisco la loro soddisfazione, mista a un po’ di ansia: la sala dell’albergo è insufficiente ad accoglierci tutti, tocca spostarci altrove – e questo provoca uno slittamento dei tempi. Il primo giorno dei lavori sarà concentrato nel pomeriggio-sera: si annuncia un’autentica maratona, che metterà a dura prova le nostre forze (e soprattutto la nostra attenzione).
OLTRE L’EURO – La sinistra. La crisi. L’alternativa”: sfoglio la pregevole brochure, che contiene brevi biografie (e dicta) dei relatori ed una proposta di documento finale redatta dai promotori (Movimento Popolare di Liberazione e Bottega Partigiana). Ne discuteremo, e non soltanto nell’immediato.

lunedì 13 gennaio 2014

LO SCIENZIATO KEYNES E GLI STREGONI NEOLIBERISTI di Norberto Fragiacomo


LO SCIENZIATO KEYNES E GLI STREGONI NEOLIBERISTI
di
Norberto Fragiacomo


Va di moda, oggi, esaltare - o demonizzare - Keynes dipingendolo come una via di mezzo tra un filantropo e un criptosocialista o, al contrario, come un visionario spendaccione, ma la caricatura mal si sposa con la verità storica: John Maynard K., nato mentre Marx moriva, fu per tutta la vita un ricco gentiluomo inglese, dai gusti raffinati, che le rivoluzioni preferiva evitarle e dell’autore de Il Capitale non aveva particolare stima.
Prima di essere un liberale borghese, tuttavia, Keynes era uno scienziato, che studiava il mondo dell’economia per quello che era, non per quello che gli sarebbe piaciuto fosse: per motivi nient’affatto ideologici, bensì prettamente scientifici, egli si oppose alla pace punitiva di Versailles, e furono sempre lo studio dei fatti, il pragmatismo a guidarlo quando, dopo il rovinoso incendio del ’29, si accinse a riscrivere le leggi della macroeconomia. Fino ad allora si credeva (e negli ultimi decenni si è ripreso a credere) ad un certo Say, a detta del quale l’offerta complessiva di prodotti determina la domanda: in pratica il pubblico compra ciò che trova al mercato, ed eventuali squilibri sono immediatamente compensati dalla variazione dei prezzi, flessibili (e dunque adattabili) per definizione. Una mano invisibile, intravista da Adam Smith dopo qualche pinta al pub, rimette sempre le cose a posto.

domenica 12 gennaio 2014

AMAZON, “WORK HARD” PRIMA DI TUTTO. INTERVISTA AD UN LAVORATORE DI AMAZON ITALIA di Anna Lami




AMAZON, “WORK HARD” PRIMA DI TUTTO. INTERVISTA AD UN LAVORATORE DI AMAZON ITALIA
di Anna Lami


MXP5 è il nome del secondo magazzino Amazon nei pressi di Castel San Giovanni, in provincia di Piacenza. Oltre 60 mila metri quadri, aperto l’estate scorsa ed ancora in fase di completamento, è destinato ad ospitare oltre 1000 lavoratori entro i prossimi due anni. Il primo, MXP1, aveva aperto nel 2011, sempre nella stessa zona, inaugurando l’attività di Amazon in Italia.
Il libro inchiesta di Jean Baptiste Malet, “En Amazonie. Un infiltrato nel migliore dei mondi” ha portato allo scoperto la realtà lavorativa di decine di migliaia di dipendenti Amazon in tutto il mondo. “Work have, have fun, make history” è il motto che il multimiliardario fondatore di Amazon Jeff Bezos ha ideato per la sua azienda. Anche se a sentire le storie di chi ci lavora, sembra che l’essenziale sia soprattutto il “work hard”. Sulle problematiche inerenti la condizione dei lavoratori di Castel San Giovanni, abbiamo parlato con uno di loro.

Esponenti locali di Cgil e Cisl hanno recentemente lamentato che la dirigenza italiana di Amazon ha ignorato le loro richieste di incontro. Hanno, inoltre, denunciato il caso di un lavoratore a tempo determinato a cui non è stato rinnovato il contratto  dopo essersi iscritto al sindacato. Cosa ne pensi?
“Secondo me è molto difficile per i sindacati penetrare in Amazon, a parte l’atteggiamento della dirigenza. 
Ci sono diversi dati importanti. I lavoratori sono per la maggior parte molto giovani, tra i venti ed i trent’anni, e hanno una sfiducia diffusa nei sindacalisti. Non credono affatto che i sindacati possano cambiare in meglio la loro vita. Hanno proprio acquisito una mentalità, portata anche dalla tipologia contrattuale ultraprecaria, che non favorisce la sindacalizzazione. Molti sono alla prima o seconda esperienza lavorativa, per la stragrande maggioranza hanno contratti di pochi giorni, i più fortunati al massimo di un mese, che fanno in modo che il lavoratore sia sempre preoccupato dal rimanere a casa.  
Pensavo che i giovani precari fossero più “incazzati” dell’operaio tradizionale, invece, almeno in Amazon, ho visto che accettano quasi tutti di buon grado di lavorare a queste condizioni, nemmeno si lamentano, le trovano normali. I giovani hanno grande capacità di adattamento, si sentono realisti e comprensivi verso gli obiettivi dell’azienda. E’ il loro modo di reagire alla crisi, in assenza di prospettive diverse. Sono, insomma, molto vulnerabili a quella che io chiamo l’”ideologia Amazon”.  
Per quanto riguarda il personale a tempo indeterminato, mi dà invece l’impressione di essere molto selezionato, infatti dopo lunghi periodi di osservazione possono conoscere bene che persona sei, anche perché il metodo usato da Amazon è abbastanza invasivo anche nei confronti della vita privata.  Non si può dire, ecco, che Amazon faccia questa grande fatica per reprimere l’attività sindacale.

martedì 7 gennaio 2014

UNA LISTA DI CITTADINANZA PER LE POLITICHE EUROPEE di Guido Viale


Se ne parla ormai da tempo. Sono intervenuti tra gli altri Barbara Spinelli, Paolo Flores, Roberto Musacchio e Alfonso Gianni. Riprovare a proporre per le elezioni europee una lista che "di cittadinanza" cerchi di riunire in un fronte comune, e su un programma condiviso, i mille organismi base che operano nel paese e un numero crescente di personalità - giornalisti, scrittori docenti, artisti e uomini di spettacolo - impegnati a contrastare senza se e senza ma la politica delle larghe intese e di una governance europea completamente asservite alle esigenze della grande finanza? A molti di noi il solo pensiero di ripetere un'esperienza fallimentare come "cambiare si può", per vedersi poi scippare il progetto dall'Ingroia di turno - magari affiancato dagli altri revenant della cosiddetta "sinistra radicale", accomunati nella imposizione di un altro aborto politico, morale ed elettorale come fu Rivoluzione civile - fa accapponare la pelle.
Ma è altrettanto deprimente consentire che siano le ambizioni - vere o supposte, ribadite o negate - di quei "signori della politica" a bloccare a tempo indeterminato qualsiasi tentativo di restituire una sponda istituzionale a un popolo disperso, disilluso e sbandato, e tuttavia impegnato in mille iniziative di base e in lotte sempre più dure la cui posta in gioco è ormai spesso la sopravvivenza stessa dei suoi protagonisti.
Non c'è bisogno di essere dei patiti della rappresentanza parlamentare per capire quale effetto rivitalizzante potrebbe avere oggi, per un movimento e per una cittadinanza attiva che in anni di lotte non hanno ancora ottenuto l'ombra di un riconoscimento, una campagna unitaria contro l'austerity e a sostegno di un'altra Europa: un'Europa fondata non sulla finanza e sui diktat della BCE, ma sulla conversione ecologica di produzioni e consumi, sul reddito minimo garantito per tutti, su uno stretto controllo delle attività finanziarie, sulla restituzione delle loro prerogative, e delle relative risorse, a municipi e governi locali e, attraverso di essi, alla democrazia partecipata, alla rinascita e alla salvaguardia dei territori, alla gestione condivisa dei beni comuni e dei servizi pubblici locali.

sabato 4 gennaio 2014

A PROPOSITO DELL'ULTIMO INTERVENTO DI FRAGIACOMO SU "BANDIERA ROSSA" di Alfredo Mazzuchelli

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A PROPOSITO DELL'ULTIMO INTERVENTO DI FRAGIACOMO SU "BANDIERA ROSSA"



di Alfredo Mazzuchelli




Cominciamo col buttar via l'acqua sporca ed in questo ci aiutano sia l'autoritarismo multicolore quanto l'alleato berlusconismo che a proposito di uso improprio di termini, han fatto veramente del loro peggio per distruggere l'immagine e l'idea di socialismo, meglio di comunismo. Alleanza rossobrunesca si direbbe oggi, ma alleanza strategica mirante non alla pretesa distruzione del capitalismo, quanto al consolidamento di un sistema al cloroformio dove il sonno della ragione continui a produrre paciosi ed allucinati imbecilli. Così io dovrei rinunciare a parole quali comunismo, libertà, autogestione e solidarietà per non disturbare i sonni dei padroni del vapore? Rappresentarmi con spoglie imploranti pietà e rielaborazioni linguistiche per farmi accettare da masse al momento assenti e prone ai voleri del consumismo? Non ci penso proprio. Se devo cadere voglio cadere in piedi! Bisogna preparare lo scontro tra sudditi e sovrani, essere ben chiari su quel che si vuole e senza capriole dell'ultima ora, chiaramente affermare che non vi può essere collaborazione istituzionale tra libere volpi e libere galline, iniziare a gestire autonomamente il nostro presente quale propedeutica per la costruzione del nostro futuro. Fine dei giochetti, quello che è finito deve essere il romanticismo socialista che vedeva nella inevitabile caduta del sistema di produzione capitalista l'avvento del sol dell'avvenire. Avremo quel che vorremo e non quel che non conquisteremo, sembra banale ma non lo è.

RIFLESSIONI A TEMA LIBERO di Norberto Fragiacomo



RIFLESSIONI A TEMA LIBERO
di
Norberto Fragiacomo
 
 
Digerite le letterine di Capodanno, e l’imperiosa richiesta di critiche “rispettose” (da autorizzare?), riprendiamo a fantasticare sulla sinistra del futuro – non anteriore, si spera.
Le tematiche da affrontare paiono davvero infinite, anche perché uno dei difetti della variopinta sinistra italiana è quello di moltiplicare gli enti senza necessità, usando parole diverse per identificare concetti affini, se non proprio analoghi. Un esempio è proprio il termine “sinistra”, che taluni accettano ancora, altri respingono con sdegno, come formula superata dai tempi e dall’evoluzione economico-politica. Certo, “sinistra” è una parola ambigua, logora ed abusata, ma il problema è che sostituirle termini come “socialismo” o “comunismo” produce nuove questioni: la scelta dell’una o dell’altro “ismo” scontenta i partigiani di quello scartato, dimentichi – tutti quanti – che i due nomi erano adoperati da Marx come sinonimi. “Anticapitalismo”, allora? Sembrerebbe la soluzione più corretta, anche perché oggi lo spartiacque è (o dovrebbe essere) tra chi difende il sistema esistente - che trae la sua linfa dallo sfruttamento della forza lavoro - e chi, giustamente, lo bolla come dannoso e non riformabile. Purtroppo, anche questa definizione in negativo appare sdrucciolevole, dal momento che di anticapitalisti ne troviamo un buon numero anche su quella che, una volta, era universalmente considerata la riva “destra” – gente, quest’ultima, che punta non all’affrancamento delle masse lavoratrici, bensì alla resurrezione in armi dello stato-nazione.

Come fare a non incartarci? Chiarendo – e anzitutto chiarendoci – che è nostra aspirazione edificare una società compiutamente socialista, che superi e soppianti il modo di produzione liberalcapitalista. “Sinistra anticapitalista” potrebbe andar bene, non fosse già il nome di un movimento politico; in ogni caso, se due o più persone, dialogando, scoprono di condividere una certa idea, i vezzi terminologici – di solito – perdono importanza. Non fosse così, potremmo concordare solo con noi stessi (ed esclusivamente con i “noi stessi” di oggi, mica con quelli di dieci o vent’anni fa!).