Michele Azzerri non appartiene a quella generazione di studiosi e militanti che, di fronte all’implosione dei paesi a socialismo reale e alla fine del “secolo breve” novecentesco, semplicemente si sono voltati dall’altra parte, invitando all’oblio e alla dimenticanza.
Non ha comprato un quaderno nuovo per scrivere una nuova storia, bella e pulita, non ha voluto buttare via i quaderni vecchi e neppure strappare dai manuali di storia i capitoli di un secolo.
Ha scelto una via più impegnativa, più onerosa e onesta, quella che ci costringe a fare i conti col passato, perché esso incombe su di noi, con le sue luci e le sue ombre e dal quale non si può prescindere per costruire il futuro. Se non vogliamo che la storia pesi come incubo, diceva Benedetto Croce, dobbiamo considerarla e farne storiografia. Inoltre, la sua ricerca non ha come scopo solo quello di riconoscere l’importanza del pensiero di Trotsky per collocarlo, come giustamente deve essere, tra i classici del marxismo novecentesco. Non ha voluto collocarlo in un pantheon e poi chiudere la porta e gettare via la chiave. Ritiene che tale pensiero sia utile non solo per decifrare i drammi del Novecento ma, nel suo metodo e nei suoi postulati, sia ancora elemento importante per l’analisi dell’oggi e del modo di costruire un’alternativa al presente capitalismo globalizzato. In qualche modo, ci dice, pur con le sue debolezze e divisioni, il marxismo rivoluzionario dei trotskisti è sopravvissuto e ha resistito agli sconvolgimenti della storia recente che ha travolto lo stalinismo e la socialdemocrazia.
Il lavoro di Azzerri è lungo e articolato e si sofferma soprattutto sulla ricostruzione degli impianti analitici, teorici e politici di Trotsky, dei trotskisti dentro e fuori la Quarta Internazionale ufficiale, nonché di Gramsci e Bordiga, i cui impianti concettuali sono messi a confronto con quello del rivoluzionario russo. A quest’ultimo è dedicata la metà del libro che inizia con una disamina delle caratteristiche dalla sua formazione culturale e politica e il suo approccio filosofico al marxismo. Seguono la messa in luce dei principali apporti che Trotsky fornì allo sviluppo del marxismo come metodo di analisi: la legge dello sviluppo ineguale e combinato, la rivoluziona permanente, il rapporto tra morale e agire politico, i “pericoli professionali del potere”, ovvero la degenerazione burocratica dello Stato operaio sovietico, l’internazionalismo, la questione del partito e di come il problema fu impostato dal bolscevismo.
Segue una seconda e corposa parte nella quale affronta, nell’economia di una ricerca complessiva, quello che definisce il “trotskismo dopo Trotsky”, cioè i suoi sviluppi teorici, politici e organizzativi nel contesto storico degli ultimi cinquant’anni del XX Secolo.
All’interno di questa ricostruzione si propongono esempi di biografie politiche di dirigenti della Quarta Internazionale quali Michel Pablo, Ernest Mandel, Daniel Bensaid. Ma molte altre figure, come l’autore stesso ammette, andrebbero esaminate (Livio Maitan, Pierre Frank, Pierre Lambert, Ted Grant, James Cannon, ecc.).
A queste significative biografie politiche affianca l’esposizione di “altri trotskismi”, cioè di autori che introdussero critiche e rielaborazioni volte a superare l’impianto analitico di Trotsky, soprattutto in merito al tema della natura sociale dello Stato Sovietico (Tony Cliff, Bruno Rizzi, Cornelius Castoriadis).
Un testo quindi che sulla traccia di una coerente ricerca, non chiude le porte ad essa, anzi stimola a pensare, ampliare e approfondire le conoscenze; il tutto sempre supportato dall’idea guida che sapere cos’è accaduto, com’è accaduto e quali interpretazioni e risposte hanno dato i marxisti ai problemi del loro tempo non rappresenti solo il piacere solitario dello storico, ma sia la base indispensabile per capire almeno un po’ dell’incombente presente, per lottare contro di esso. Non a caso il libro si conclude con un capitolo significativamente intitolato: “La crisi economico-sociale di oggi: come uscirne?”
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