UN BILANCIO DELLE ELEZIONI AMMINISTRATIVE
di Roberto Sarti
Le
elezioni amministrative del 5 giugno hanno uno sconfitto su tutti, e il
suo nome è Matteo Renzi. Il Partito democratico perde, nelle cinque
città maggiori recatesi al voto (Roma, Milano, Napoli, Torino, Bologna),
oltre 650mila voti rispetto alle europee del 2014, le prime
consultazioni nazionali che vedevano protagonista l’attuale premier. Nei
sette capoluoghi di regione dove si rinnovava il sindaco, un elettore
su quattro non ha scelto il Pd rispetto alle comunali del 2011.
I
democratici rischiano di perdere Milano, dove, tra i due candidati
manager, quello del centrodestra, Parisi, è risultato più convincente di
Sala per quel 54% (-13% rispetto al 2011) che è andato a votare. La Capitale morale è
la cartina al tornasole del fallimento della “stagione arancione” dei
sindaci, cioè quella volta a condizionare da sinistra il Pd. Sostenendo
Mr. Expo, Pisapia e soci hanno coronato la storia di cinque anni di
giunta, fatta di sottomissione ai poteri forti. Che infatti premiano
Sala, che fa incetta di voti nel centro di Milano, come del resto il Pd
fa anche nei quartieri bene di Torino, come Crocetta. O come a Roma,
dove Roberto Giachetti, l’uomo di Renzi, vince praticamente solo in
centro e ai Parioli. Nel resto della città, Giachetti perde comunque
200mila voti rispetto a Marino.
Il
tentativo di costruire il Partito della nazione, l’asso pigliatutto
dello spettro politico, subisce dunque una battuta d’arresto.
Se il Partito democratico piange, la destra non può ridere. L’insperato successo di Milano, dove al ballottaggio Parisi ha concrete possibilità di vittoria, non servirà a ricompattare la destra ma acuirà ulteriormente gli scontri e le divisioni. A parte Milano infatti, Forza Italia crolla quasi dappertutto. A Roma scende al 4,2%, a Torino è al 4,6, a Bologna al 6,2. Solo a Napoli si avvicina alla doppia cifra, col 9%. La Lega, con un 8% complessivo a livello nazionale, non riesce a superare Fi (10%) e, soprattutto, non riesce a sfondare oltre la pianura padana: a Roma la lista “Noi con Salvini” ottiene il 2,7%. Giorgia Meloni non arriva al ballottaggio ma a Roma ottiene il 12%, triplica i voti di Fratelli d’Italia (da 60 a 180mila) e cercherà di battere cassa a livello nazionale. Per inciso, l’estrema destra di Casapound ottiene risultati irrisori: 1,14 a Roma e 0,54% a Torino, per fare due esempi.
Nessuno di
questi partiti riesce a imporsi chiaramente sugli altri e la grande
borghesia non necessita oggi dei loro servigi: la crisi della destra
durerà ancora a lungo.
Chi consolida invece il ruolo di alternativa a Renzi e al Pd è il Movimento 5 stelle. A Roma Virginia Raggi triplica i voti (450mila) rispetto al candidato sindaco pentastellato alle precedenti comunali. Malgrado un programma che non dice nulla sulle privatizzazioni e sulle questioni chiave della città raccoglie un voto di protesta popolare in particolare in periferia. A Torino il M5S è la lista più votata con oltre il 30% e la vittoria di Fassino al ballottaggio non è affatto scontata. Anche qui nelle periferie, come Borgo Vittoria, Vallette o Barriera di Milano, Chiara Appendino, la candidata grillina, batte Fassino.
Persino
nelle città dove il Movimento 5 stelle aveva candidati improbabili, come
il brianzolo Brambilla a Napoli, le sue percentuali non scendono mai al
disotto del 9-10%.
Il voto al
M5S non rappresenta un alternativa reale alle politiche della classe
dominante del Pd. Segnala un disagio e una volontà di cambiamento di
ceti popolari, ma a causa delle politiche interclassiste dei vertici,
rappresenta un ostacolo allo sviluppo di un movimento di massa in questo
paese.
La prova
del governo di Roma o di un’altra grande città come Torino, costituirà
uno spartiacque per Di Maio e soci. Se si vuole restare dentro le
logiche del capitale e del pareggio di bilancio, non ci sono alternative
alle politiche di tagli portate già avanti dalla giunta Pizzarotti a
Parma, ad esempio. La differenza è che il clamore di una politica di
austerità perseguita nella Capitale avrà conseguenze dirette per il
futuro del movimento.
Il voto
amministrativo produce dunque elementi di ulteriore instabilità al
quadro politico. Un editoriale del Sole 24 ore del 7 giugno segnala a
riguardo le preoccupazioni crescenti della borghesia italiana, quando
spiega che: “Questo voto può essere la spia di un malessere sociale ed economico più profondo di quello immaginato.”
Un malessere e un insoddisfazione che sfocia nel voto al M5S e
nell’astensione e che le formazioni a sinistra del Pd non riescono
assolutamente a intercettare.
Sempre nelle cinque principali città interessate dalle elezioni, le liste a sinistra del Pd perdono un terzo dei voti (da 200mila a 130mila circa) rispetto alle precedenti comunali, che siano o meno alleate al Pd. A Roma Fassina con il 4,47% perde la metà dei voti rispetto a quelli che avevano preso Sandro Medici più Sel nelle scorse elezioni. Evidentemente la continuità con Marino (sostenuto da Sel fino alla fine) e il suo programma ambiguo sulle questioni di classe non lo hanno reso credibile. Anche a Bologna, dove Coalizione civica trainata da Sel ottiene il 7% e 12mila voti, assistiamo a un arretramento. Cinque anni fa la lista della prodiana Frascaroli a sostegno di Merola e i candidati di Sel al suo interno prendeva infatti 22mila voti e il Prc 2.700.
Il candidato sindaco Martelloni “non da per scontato”
un sostegno al Pd al secondo turno, affidandosi alla logica del “meno
peggio”, parole riecheggiate in un’intervista televisiva a Basilio Rizzo
a Milano che spiegava come “al secondo turno si sceglie il meno distante”. Tali affermazioni relegano ancora una volta queste formazioni a essere viste come ruote di scorta del partito di Renzi.
Non sarà
con queste liste arlecchino e con alchimie dell’ultimo minuto che si
potranno risollevare le sorti della sinistra politica in questo paese.
Un’eccezione in questo quadro desolante è sicuramente l’affermazione di De Magistris a Napoli, che è oggi l’unico leader politico a sinistra del Pd con un appoggio popolare di massa. Il successo di De Magistris deriva dall’essersi caratterizzato come alternativo e anzi avversario di Renzi, particolarmente negli ultimi mesi, e nell’essersi opposto alle politiche di privatizzazioni nonché alle speculazioni e al saccheggio della città su cui invece hanno ceduto tutti gli altri sindaci “arancioni”.
Tuttavia,
la sua indisponibilità a costruire un movimento organizzato, con un
programma chiaro e alternativo al sistema, depotenzia fortemente le sue chances di diventare di un punto di riferimento nazionale.
La classe dominante ha ragione ad essere preoccupata di queste elezioni «come spia di un malessere sociale ed economico profondo». Quel malessere fatto di soprusi e alienazione nei luoghi di lavoro e di studio, di tagli ai salari e attacchi alle pensioni, di smantellamento ai servizi sociali di cui nessuno parla. Come quella rabbia a cui nessuno fornisce un espressione compiuta. O quegli scioperi e di quelle lotte delle ultime settimane in Italia che non sembrano interessare nessuna forza politica o, infine, quella straordinaria lotta di massa in Francia contro governo e padroni che sembra lontanissima per i dirigenti della sinistra «ufficiale»
Noi, come
gli esponenti più lungimiranti della classe dominante, sappiamo che
anche in Italia esistono tutte le condizioni oggettive per l’esplosione
di un conflitto simile a quello francese. Ed è su questa prospettiva che
vogliamo investire, coscienti che solo sulla base della lotta di classe
potrà rinascere un partito dei lavoratori di massa.
8 Giugno 2016
dal sito http://www.rivoluzione.red/
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