di Lorenzo Mortara
Rsu Fiom-Cgil Rete28Aprile
questo articolo appare in contemporanea al sito Radio Fabbrica
L’accordo
tanto atteso e temuto sulla rappresentanza sindacale, è stato infine
siglato da Cgil-Cisl-Uil e Confindustria, Venerdì 31 Maggio 2013.
Data storica ha sentenziato la stampa padronale. Storico accordo le
han fatto eco Governo e vertici confederali. Un trionfo per tutti
insomma, ma come l’esperienza insegna, quando tutti sorridono, a
piangere saranno solo i lavoratori. Infatti, storicamente, non
abbiamo mai fatto il benché minimo passo in avanti senza lotta e
mobilitazione. Perciò, senza alcun mandato dei lavoratori a
trattare, senza uno straccio di sciopero per conquistarlo, l’accordo
sulla rappresentanza è inequivocabilmente fuori dalla nostra Storia,
perché entra di diritto nelle pagine memorabili di quella dei
padroni.
Se la
firma di Angeletti, Bonanni e Camusso era ampiamente prevedibile, la
sorpresa è stata il giudizio positivo e la sostanziale approvazione
della Fiom di Landini che in questi anni, pur tra mille
contraddizioni, è stata la sola forza di un certo peso ad opporsi
all’attacco padronale. Eppure, a ben guardare e solo per menzionare
le ambiguità più vistose, la Fiom è passata dalla bocciatura
dell’accordo del 28 Giugno 2011 alla sua accettazione,
dall’abolizione del patto di solidarietà con Fim e Uilm alla sua
riproposizione, dalla presentazione della Piattaforma per il rinnovo
al suo accantonamento per un accordo ponte. È, dunque, in questa
linea altalenante, nei suoi continui zig-zag che si trova la logica
conseguenza del rientro nell’ordine di Landini.
Il
Protocollo d’intesa – questa la dizione ufficiale – è
basato sull’accordo del 28 Giugno 2011 che apriva al resto d’Italia
il modello Marchionne con le deroghe ai contratti e le sanzioni
contro gli scioperi. Ed è così in effetti che la Fiom rientra al
tavolo delle trattative, non cacciando da Mirafiori e Pomigliano il
contratto di Fim e Uilm, il quale resterà in vigore esattamente come
prima visto che Fiat è ormai fuori da Confindustria, ma facendo
entrare anche nel resto del Paese il modello Fabbrica Italia, alias
modello Cisl e Uil, dove se non sei d’accordo preventivamente con
le condizioni poste dal protocollo, non hai diritto a trattare. Dalla
battaglia perché fossero i lavoratori a poter scegliere liberamente
chi dovesse rappresentarli ai tavoli, la Fiom di Landini, con una
completa giravolta, è passata infine ad accettare che siano
sindacati confederali e Confindustria, a stabilire preliminarmente
quali siano le condizioni coercitive per aver diritto a trattare. Un
sindacato dovrà rappresentare almeno il 5% dei lavoratori, ma anche
qualora rappresenti il 10% o più, se non avrà sottoscritto il
protocollo non potrà sedere al tavolo.
È
così che verrà eliminato tutto l’arcipelago dei Cobas e dei
sindacati di base. A quel punto, la quota di un terzo per le RSU che
prima veniva assegnata d’ufficio ai firmatari di contratti
nazionali, non servirà più. È questo che viene chiamato
superamento della quota 1/3 con elezione interamente proporzionale
della RSU. In realtà si passa da un 33% di rappresentanza nominata
dall’alto, a una rappresentanza eletta formalmente dal basso, ma
controllata al 100% dai vertici sindacali. Infatti, i delegati che
durante il mandato cambieranno tessera sindacale, decadranno e
saranno sostituiti dai primi non eletti in lista. Non è chiaro se
questo varrà anche per chi toglierà semplicemente la tessera o per
chi verrà espulso dalla sua organizzazione, ma è evidente che la
pressione sui delegati scomodi o contrari ad accordi al ribasso
salirà vertiginosamente.
Confermato
e rafforzato il monopolio confederale sulla rappresentanza, potrà
cominciare la certificazione del peso di ogni organizzazione, che
sarà stabilita da una media tra gli iscritti e il numero di
rappresentanti. Per validare piattaforme e accordi sarà necessario
aver il 50%+1 dei consensi. Ma anche col 50% + 1 della
rappresentanza, non è affatto detto che la Fiom riesca a scongiurare
accordi separati. Infatti, l’accordo dice che in caso di divergenze
e di piattaforme separate, i padroni non saranno obbligati a trattare
con la piattaforma che ha il sostegno maggiore, ma dovranno
semplicemente limitarsi a “favorirla” diciamo così per buon
senso. Ma non sarà facile convincere la loro testa a favorire una
richiesta di 200 euro di aumento (quella contenuta nella scorsa
piattaforma per il rinnovo della Fiom), quando il loro portafogli
avrà tutto l’interesse a favorirne una più modesta che
s’accontenta di 135. Nessuno pagherebbe 70 euro circa in più per
una merce che può avere a un prezzo decisamente più basso. Alla
stessa maniera, Federmeccanica non sborserà 200 euro per comprare i
metalmeccanici rappresentati dalla Fiom, per la stessa merce
forza-lavoro che Fim e Uilm svendono a 135.
Inoltre,
nella migliore delle ipotesi, la piattaforma promossa dalla Fiom col
favore di Federmeccanica, dovrà ancora misurarsi col voto dei
lavoratori. Il protocollo però, non solo non certifica il voto
tramite un referendum – che è l’unico modo per certificarlo
davvero – ma demanda le regole alle categorie stesse, lasciando
così la Fiom già in partenza in minoranza. Non ci vorrà molto a
Fim e Uilm per imporre regole assurde come la necessità, per
l’approvazione, della maggioranza degli iscritti in tutte e tre le
organizzazioni, oppure semplicemente il voto per impalpabile alzata
di mano che prontamente sconfesseranno al momento di verbalizzarlo.
Se
questa è l’ipotesi migliore, quella più realistica è che col
rientro della Fiom, per abbassarne il suo peso, cominceranno la
caccia al tesseramento interessato e la proliferazione dei sindacati
di comodo. Frotte di lavoratori saranno minacciati e costretti a
iscriversi ai sindacati gialli promossi dalle aziende o più
semplicemente a Fim e Uilm, loro complici naturali. Nel giro di poco,
la Fiom vedrà quel 50% +1 con cui è convinta di vincere la partita,
passare al 50%-1 con cui i padroni le infliggeranno una delle sue più
sonore batoste.
Ma
cosa succederà qualora, la Fiom riesca lo stesso a ottenere di
trattare sulla sua piattaforma e di farla approvare dal 50%+1 dei
lavoratori? Quello che la stessa Fiom aveva già preventivato ai
tempi dell’accordo del 28 Giugno 2011 e che ora sembra dimenticare.
Nella minuziosa analisi critica di ben 8 pagine dell’accordo del 28
Giugno, la Fiom, attraverso quella sua versione allargata che è La
Cgil che vogliamo,
scriveva infatti: «accordi
come questo, ed anche molto, ma molto, più precisi e vincolanti,
sono stati sottoscritti nel passato, come quello presente nel
Terziario e nel lavoro pubblico. Non sono mai serviti a nulla, di
fronte a divergenze CISL e UIL non li hanno rispettati e sono
divenuti carta straccia alla prima divergenza; come nel caso dei due
contratti separati del 2008 e del 2010 del settore Terziario e
commercio. Analogamente è accaduto con la firma separata per
l’ultimo contratto pubblico dei ministeri».
L’unica
cosa certa che la Fiom otterrà da questo protocollo, sono le
sanzioni contro lo sciopero e lo scollamento dai lavoratori. Gli
accordi infatti, come recita il testo del 28 Giugno, saranno
vincolanti ed esigibili solo «per
tutte le rappresentanze sindacali dei lavoratori ed associazioni
sindacali firmatarie del presente accordo […] e non per i singoli
lavoratori». È dietro
questo cavillo che i vertici sindacali si nascondono per negare di
aver limitato il diritto più sacro, facendo finta di non sapere che
tra forme di raffreddamento e altre mille pratiche burocratiche, 99
scioperi su 100 son destinati a perdersi prima ancora di cominciare.
Peggio ancora, quello che partirà lo stesso, lo farà da solo, senza
i delegati che dovranno rimanere a guardare, e saranno sempre più
visti dai lavoratori, non come loro rappresentanti, ma come gli
ultimi, estremi guardiani al servizio dei padroni.
Ecco,
questo è lo scenario che si va prospettando. Ma si va prospettando
sulla carta. E tra il pezzo di carta e la realtà ci passa la lotta
di classe. L’accordo è destinato a fallire o perché con
l’inasprimento della crisi ai padroni non basterà più, o perché
la Fiom si accorgerà ben presto di non aver fatto alcun passo
avanti, o infine perché i lavoratori lo faranno saltare con la
mobilitazione. È a questa eventualità che noi dobbiamo lavorare con
determinazione e pieni di fiducia.
Stazione dei celti,
13 Giugno 2013
13 Giugno 2013
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