A PROPOSITO DELL'INIZIATIVA PER LA "COALIZIONE SOCIALE"
di Franco Turigliatto
Già da alcuni giorni le prime pagine dei giornali, si occupano della “coalizione sociale” a cui stanno lavorando Maurizio Landini e il gruppo dirigente della Fiom.
Gran parte della stampa, ben consapevole del vuoto abissale che esiste alla sinistra del PD e contemporaneamente dello spazio potenziale che lì è aperto, ricama maliziosamente sulle ambizioni politiche del leader dei metalmeccanici Cgil. E, altrettanto consapevole del fatto che le lavoratrici e i lavoratori, la Fiom e l’intero movimento sindacale hanno subito nel corso degli ultimi anni pesanti sconfitte, culminate nel varo del Jobs Act, insinua il desiderio di Landini di defilarsi da un troppo impegnativo incarico sindacale per “buttarsi” in politica.
Landini, nega ogni velleità partitica, e ancor meno istituzionale, ma non chiarisce del tutto la natura del suo progetto.
Le proposte del segretario della Fiom
Quello che viene dichiarato è che le sconfitte del sindacato sarebbero dovute alla divisione, alla frammentazione del mondo del lavoro, al diffondersi della precarietà, della disoccupazione, della povertà, e che per reagire occorre unire, riunire, “coalizzare”, appunto, i vari mondi del lavoro, ricomponendo i settori del lavoro dipendente tradizionale con le nuove figure, a partire da quelle del precariato, del finto lavoro autonomo, delle partite IVA….
Occorre dire però che non c’è nei discorsi di Landini un’analisi politica della débâcle sindacale. Anzi, si rimuovono le responsabilità politiche del gruppo dirigente della Cgil nel non essersi opposto (e a volte nell’aver perfino accompagnato) alla ondata della precarizzazione e della deregolamentazione del diritto del lavoro e alla cancellazione delle conquiste degli anni 70. Anche perché la Fiom, almeno dal 2011 in poi, si è progressivamente allineata alla linea Camusso, fino, negli ultimi mesi, ad avallare l’impostazione perdente dello sciopero generale del 12 dicembre e la decisione di non dare continuità a quella importante giornata di lotta e di elaborare in “alternativa” un aleatorio progetto di “nuovo statuto dei lavoratori”.
Landini non chiarisce quale possa essere la natura del suo progetto sia perché prima di sbilanciarsi vuole verificare quali e quanti possano esserne gli interlocutori sia perché, una volta fatte le verifiche su interlocutori, potenzialità e contesto, non ritiene di voler sottoporre il suo percorso ad una discussione democratica e di massa tra tutti i soggetti individuali e associati interessati.
Peraltro, il tanto sbandierato percorso democratico (che avrebbe elaborato la proposta passando per le assemblee regionali e poi nazionale dei delegati Fiom) non è stato altro che un’occasione di ratifica di un’ipotesi preconfezionata e fatta approvare, con la gestione fiduciaria di quelle assemblee, alle delegate e ai delegati.
Ma veniamo al merito, perlomeno per quel che è chiaro, della proposta di “coalizione sociale”.
L’idea di unire, insieme ai lavoratori dipendenti, un vasto raggruppamento che comprenda il variegato mondo del precariato, delle diverse forme con cui si manifesta oggi il lavoro subordinato o più o meno falsamente autonomo, le varie associazioni che agiscono sul terreno sociale comprendendo anche i centri sociali, al fine di costruire una barriera ed una alternativa di contenuti alle politiche liberiste, all’austerità della Troika e all’involuzione sociale di cui il governo Renzi si sta facendo interprete fino in fondo, non può che trovare il consenso di tutti quelli che non si rassegnano alla corrente reazionaria dei tempi ma che vogliono costruire una alternativa.
Per opporsi e rispondere il più efficacemente possibile ai nostri potenti avversari occorre unirsi, riconoscersi mutualmente, moltiplicare le forze, individuare obiettivi comuni, realizzare cioè l’indispensabile strumento dell’unità degli oppressi e degli sfruttati perché si torni ad essere protagonisti sul piano sociale, si possa battere gli avversari di classe, avversari che, è il caso di dirlo, oggi sono più che mai i padroni, cioè la borghesia e i suoi gestori politici, i suoi partiti, in primis, naturalmente, il partito democratico.
Non è un caso che, già all’inizio dell’autunno, nella nostra modestia abbiamo scritto che: “il compito ineludibile e prioritario che abbiamo di fronte e che tutta la sinistra dovrebbe assumersi in prima persona è la costruzione del fronte sociale e politico contro le politiche dell’austerità… Noi proponiamo un percorso di costruzione di questa mobilitazione, … una sorta di stati generali delle forze contro le politiche dell’austerità per decidere insieme le forme di lotta e i momenti di mobilitazione sia nazionali che locali sulle vicende del lavoro e sulle problematiche sociali, dalla casa all’ambiente”.
Pensavamo fossero le modalità con cui sfidare il potere di Renzi e di Squinzi.
Perciò questo punto di Landini è condivisibile, ma alcune osservazioni critiche sono necessarie.
Alcuni rilievi critici
La prima considerazione critica è anche la più semplice. Ci chiediamo: perché questa proposta non è stata avanzata qualche anno fa, quando la FIOM aveva ben altra forza sindacale e sociale, era chiaramente alternativa alle scelte della direzione centrale della CGIL, e si poneva come la punta di diamante del sindacalismo di classe, polarizzando vaste aree sociali e vasti settori di lavoratrici e di lavoratori? Una proposta del genere avrebbe avuto ben altro impatto all’indomani della manifestazione nazionale della Fiom dei 16 ottobre 2010. Ma ci rendiamo conto che, solo pochi mesi dopo quella straordinaria scadenza, iniziava la marcia di Landini verso il rientro nei ranghi della maggioranza Cgil, a partire dall’accordo Bertone del maggio 2011.
In ogni caso occorre dire: meglio tardi che mai.
Nell’autunno 2014, seppure segnato dai colpi terribili subiti nel frattempo (riforme Fornero, abolizione dell’art. 18, blocco dei contratti, ecc.) e da una direzione CGIL sempre più compromessa (vedi l’accordo del 10 gennaio), il movimento dei lavoratori si è espresso in lotte importanti, mostrandosi capace di ripolarizzare almeno in parte l’attenzione di altri settori sociali. Dunque, non era forse più facile, intorno alla lotta contro il Jobs Act, puntare a darle continuità facendo una proposta unitaria per continuare la battaglia invece di subordinarsi alla logica della Cgil di chiudere la partita e di accettare quindi la sconfitta?
Landini non si è smarcato allora. Perché? E perché, nonostante le prese di distanza della segreteria Cgil dalla sua iniziativa, continua a proclamare il suo allineamento con la linea sindacale, sociale e politica della Camusso? Peraltro, se non si riannoda il filo con le lotte dell’autunno, se non si condanna la rassegnazione di cui la Cgil si fa interprete, quale “coalizione sociale” sarà possibile?
Inoltre per costruire la “coalizione” serve la costruzione dal basso dell’iniziativa, il massimo di pluralismo che valorizzi tutte le esperienze, inevitabilmente differenziate e a volte contraddittorie (come ad esempio tra salvaguardia dell’ambiente e dell’occupazione), non commettendo l’errore di prendere le decisioni in modo verticistico e in luoghi molto ristretti.
In un contesto di sostanziale allineamento sindacale con la linea Camusso, la proposta di Landini, pur nella sua contrapposizione al PD, si presenta debole e tutt’altro che alternativa sul piano sindacale. Come si caratterizzerà la Fiom sulla bruciante questione del contratto di lavoro? La credibilità della proposta sarà reale e non solo superficiale se, anche su questo terreno, riuscirà a costruire nuove iniziative contro l’attacco di Marchionne, della Federmeccanica, della Confindustria e cioè su una piattaforma contrattuale unificante, degna di questo nome e non svilita da accordi con i sindacati gialli FIM e UILM, come sembrerebbe palesarsi nelle ultime prese di posizione. Ma anche se indicherà alla Cgil, o almeno a parte di essa, una via per uscire dal pantano della rassegnazione e della resa.
Un percorso da sviluppare
Queste critiche (che opportunisticamente non taciamo) non ci impediscono però di dare una risposta positiva; più che mai riteniamo giusto che tutte le forze di classe si impegnino nella costruzione di una coalizione sociale per la lotta contro l’austerità.
Per farlo occorre la massima apertura, il coinvolgimento di tutte le forze disponibili, una discussione democratica in cui non ci sia un dominus, ma nella quale tutte e tutti si sentano partecipi e rappresentati, non discriminati, a partire naturalmente anche dalla minoranza interna di sinistra della stessa FIOM o le organizzazioni sindacali di base (almeno quelle che fossero d’accordo). Serve la partecipazione di tutte e tutti coloro che vogliono lottare per dare di nuovo dignità e diritti al lavoro.
Per andare verso la coalizione servirebbe una assemblea nazionale, con iniziative dal basso che permettano a tutti i soggetti di riconoscersi, di portare un propri contenuti, a partire da esperienze diverse su terreni diversi, per costruire una piattaforma; un’assemblea in cui si possano definire le modalità e le scadenze per costruire la lotta.
Il percorso non può avvenire solo attraverso i media o solo attraverso un evento come quello importante della manifestazione nazionale del 28 marzo, pur necessari, ma anche e soprattutto attraverso un coinvolgimento pieno e diretto della base sociale potenziale assai grande. Anche su questo, non si è cominciato bene, con una riunione blindata alla stampa e a chi, seppure non “invitato”, fosse stato interessato a capire meglio la proposta e a contribuire al progetto.
La democrazia e la partecipazione sono passaggi ineludibili.
I partiti della sinistra
E i partiti della sinistra? Landini li ha debitamente esclusi dall’incontro di sabato scorso, ritenendo, che questi partiti, assai screditati agli occhi di una larga parte dell’opinione pubblica, siano in larga misura oggi una zavorra. E non saremo certo noi a non vedere gli errori gravissimi di questi partiti; errori che peraltro la nostra corrente politica ha denunciato in tempi non sospetti, restando anche molto isolata.
Non ci ricordiamo infatti di aver trovato molto sostegno nella nostra battaglia contro la subalternità dei gruppi dirigenti di questi partiti al centro sinistra, che ne hanno determinato la loro sconfitta. E occorre dire che anche parte di coloro che oggi vogliono tenerli un po’ lontani come appestati (soggetti sindacali, movimenti, associazioni) a quel tempo non mossero un dito, né per denunciarne i cedimenti né tantomeno per solidarizzare con chi (come noi) li denunciava. E molti di questi soggetti, nel loro piccolo, ma al pari dei partiti, si sono illusi sulla percorribilità e sulla proficuità di intessere relazioni pericolose con un centro sinistra che, a tutti i livelli, nazionali e territoriali, gestiva e gestisce le politiche dell’austerità.
Occorre però anche dire con chiarezza che l’azione di discredito di tutte le forme di organizzazione politica e soprattutto della militanza politica (a partire naturalmente da quella anticapitalista e rivoluzionaria) sono oggi parte fondamentale della campagna per il “pensiero unico” borghese condotta dalle classi dominanti.
Certo, per i partiti e per tutti vale la raccomandazione a porre al centro della propria azione la mobilitazione sociale e a non concentrare tutte le proprie attenzioni sull’inserimento istituzionale e sulle scadenze elettorali. Il punto di partenza è come sempre la chiarezza su alcuni nodi elementari ma essenziali, il rifiuto della collaborazione con le forze borghesi e un programma radicale per la difesa dei bisogni delle masse popolari costruito sulla mobilitazione e l’autorganizzazione della classe lavoratrice.
Anche perché, in Italia, oltre al terribile peso egemonico della linea della rassegnazione, c’è anche un grande vuoto politico, che (Spagna e Grecia stanno lì ad insegnarcelo) è l’altra peculiare caratteristica della a situazione italiana. La nostra disponibilità a confrontarci e a misurarci sul terreno politico è egualmente grande e la ribadiamo come già abbiamo fatto nei confronti della discussione aperta nell’aggregazione “L’Altra Europa”.
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