IL RITORNO DI IONEL*
di
Sara Palmieri
PROLOGO
LENTISSIMO
Aspettava
da tempo quel momento. Con la sua immaginazione l’aveva accarezzato
un’infinità di volte, eppure, adesso, non ce la faceva proprio a
viverlo davvero, e se ne stava immobile, sulla soglia, con le scarpe
in mano (1). E anche con il
cuore. Perché non può essere facile tornare, sia pure in punta di
piedi, sia pure coi piedi simbolicamente nudi dopo essersene andati
sbattendo la porta e aver girovagato per tutta l’Europa senza
fermarsi mai e senza trovare un posto in grado di sostituire quella
casa, quella città, quella famiglia. Non è facile per un uomo
chiedere scusa, ammettere di aver sbagliato, ripresentarsi dopo
trent’anni come se nulla fosse e pretendere di ricominciare
daccapo, dal momento esatto in cui se n’era andato, per riprendersi
– così aveva urlato – la sua vita!
E
tornava con una compagna fedele che era invecchiata insieme a lui, la
sua spinetta.
Lo
strumento era stato di suo nonno, era intarsiato e istoriato, e,
all’interno, sollevando il coperchio di legno di cipresso, appariva
la figura di una donna mollemente adagiata su un prato verde, coperta
a malapena da un lenzuolo bianco che ripercorreva le pieghe di un
corpo tondo, tipico delle modelle di una volta. La spinetta era
italiana, ma il nonno l’aveva avuta in regalo da un commilitone
francese appartenente ad una famiglia di cembalari, conosciuto a
Parigi durante la guerra.
ADAGIO
Con
la sua spinetta Ionel aveva battuto le strade di Germania, Francia,
Spagna e Italia.
Si
era fermato a suonare negli angoli delle città, nelle piazze, nelle
vie piene di gente e di vita e nei viali solitari, d’inverno e
d’estate, dormendo dove capitava, per strada o nei ricoveri per i
senza tetto, rimediando pasti offerti da anime buone o comprati con
gli spiccioli del suo raro pubblico.
All’inizio
quella vita bohemien
gli era piaciuta. Vivere senza regole, senza padroni, senza la
schiavitù che a volte anche gli affetti comportano, senza orari,
senza quelli canonici del mangiare e del dormire, dell’onorare le
feste, gli anniversari, le ricorrenze.
Per
lui la vita era solo musica, la sua musica e nient’altro. Pensava
che per essere felice gli sarebbe bastato suonare. Bach,
Chopin, Mozart. Sinfonie
struggenti e arie da operetta, valzer viennesi e ballate popolari,
mazurke, polke, tanghi latini.
Dieci
anni di conservatorio a cui era seguito il diploma in clavicembalo,
studiando con i maestri più famosi dell’Accademia Musicale di
Bucarest, avevano formato un artista completo ed eclettico,
capace di scivolare
dalla musica più raffinata a quella popolare, arricchendo il
repertorio di virtuosismi azzardati e di sapienti commistioni tra i
generi.
In
quei primi anni di assoluta estraniazione sul palcoscenico del mondo,
era perfino riuscito a comporre sonate lievi e aperte con le quali
aveva attratto e trattenuto gli ascoltatori più giovani che si erano
entusiasmati, lanciandosi in danze improvvisate quanto originali.
Vedere
la gente distesa, serena, perfino allegra davanti alla sua musica,
gli dava un piacere inaudito, lo ricompensava della fatica che la
vita per strada alla lunga cominciava a comportare.
GRAVE
Ma
i soldi erano sempre pochi, il compenso volontaristico del suo
pubblico esiguo.
Ai
pochi che si fermavano si alternavano i molti che passavano
indifferenti, senza neppure girarsi a guardare per paura di dover
lasciare un sorriso o un obolo.
Eppure
quella musica era degna di ben altri palcoscenici.
Spesso
Ionel si scopriva a pensare come avrebbe reagito alla sua musica un
pubblico vero,
accomodato in una di quelle sale drappeggiate coi velluti rossi e le
poltroncine in stile, gli stucchi, gli arazzi alle pareti e
l’atmosfera ovattata. Senz’altro sarebbe rimasto incantato ad
applaudirlo e a chiedere – alla fine dell’ esibizione, quando lui
fosse stato già dietro le quinte – un’altra esecuzione, un’altra
ancora…perché Ionel quando suonava si perdeva nello strumento,
diventava un tutt’uno con esso.
Non
c’era nulla di romantico, però, nella sua vita in strada con la
spinetta.
Perché
un uomo ha dei bisogni e non è mai davvero libero. Ha necessità di
mangiare, di bere e di dormire, ma anche di lavarsi, di cambiarsi con
dei panni puliti e profumati di bucato steso al sole e appena
raccolto.
ALLEGRETTO
MA NON TROPPO
E
in questi casi è facile cadere preda dei ricordi mentre le immagini
cominciano a rimbalzare: dall’infanzia e poi dall’adolescenza
spensierata per le strade di Bucarest e dalle estati liete trascorse
tra i boschi e le pianure della Valacchia. E poi l’amore dei
vent’anni con Catinca… Lei incinta, la nascita dei gemelli, il
lavoro che non c’è, i genitori arrabbiati che non vogliono essere
di nessun aiuto. E la musica, che fine fa la musica? Gli spartiti
giacciono sul tavolo di cucina, unti d’olio e di caffè, sommersi
dalle bollette da pagare e dai fogli su cui far quadrare i conti. I
bambini scalciano e piangono, hanno fame, hanno sete, c’è da
comprare questo e quello. Catinca è giovane e inesperta, ma si dà
da fare. Accantonata la sua viola - anche lei studia al conservatorio
e coltiva dei sogni - in un angolo della stamberga in cui vivono,
comincia a fare delle pulizie a ore in casa dei signori, non si
lamenta, non recrimina, ma si vede che è delusa e la sera è stanca,
si addormenta esausta coi bambini tra le braccia.
VELOCE
Ionel
non ce la fa, è più forte di lui, questa variazione sul tema,
questo contrappunto dissonante sullo spartito della sua vita, non
sono affatto previsti. Pensava di diventare un concertista di
successo, suonare nei più prestigiosi teatri del pianeta, diventare
ricco e famoso, ammirato, invidiato, adulato, richiesto e invece…
Non
prova nulla verso Catinca, in fondo è anche colpa sua: se non gli
avesse ceduto, se avesse aspettato di diventare più adulta...
Non
prova nulla verso i gemelli: se non fossero nati, se non
pretendessero con quel pianto cocciuto di essere accuditi, sfamati,
lavati…
Prova
solo pietà e compassione per se stesso Ionel e si autoassolve,
convinto di aver subito un torto, di essere stato derubato del suo
futuro, un futuro di fama e ricchezze.
Così,
in un giorno più nero degli altri, mentre diesis e bemolle fanno a
cazzotti, ha preso i pochi soldi rimasti per il latte e il pane di
Catinca e dei gemelli, la sua spinetta e quel paio di scarpe nuove
che teneva custodite per il suo primo concerto da solista ed è
andato via, “per riprendersi la sua vita”.
E’
diventato un artista di strada, senza città e senza patria, senza
amici e senza domani e quasi senza accorgersene, lottando per
sopravvivere, sono trascorsi trent’anni.
ANDANTE
MODERATO
Fino
a questo giorno di marzo, quando nella città italiana in cui si
trova tira un vento di primavera leggero e la crisi economica che
attanaglia l’Europa ha reso indifferenti ed ostili anche gli uditi
più sensibili alle suggestioni della musica.
Sta
per aprire il suo strumento e cominciare a suonare sotto il portico
delle 14,00, quando la gente torna a casa dall’ufficio. Ma la
spinetta non vuole saperne: i salterelli, i plettri d’osso, le
corde, l’anima dello strumento insomma, sono irrimediabilmente
consumati, i tasti cedono, incerti e muti sotto le dita insistenti di
Ionel.
La
spinetta è morta. Allora si accascia e piange, senza freni e remore,
singhiozzando.
Si
ferma un signore distinto, che Ionel sembra conoscere, ma chi è,
dove l’ha visto.
Si
interessa allo strumento, è un intenditore, un musicista senz’altro.
Sfiora i tasti con le dita, osserva attento il dipinto che si staglia
dall’interno della spinetta. “Venezia,
tra il 1850 e il 1860” –
afferma con voce autorevole e perentoria, da competente. Gli
comprerebbe la spinetta così com’è: rotta! Ma Ionel non può
disfarsi dell’unico oggetto con cui si identifica e che gli ricorda
da dove viene. Allora chiede a questo signore curioso e interessato
di aiutarlo ad aggiustare la spinetta, promettendogli che poi suonerà
per lui la più bella delle melodie. Non può fare o promettere
altro.
Il
signore distinto è più vecchio di Ionel, ma è tuttora un direttore
d’orchestra di successo.
CON
BRIO
La
sua fama è mondiale ed ora Ionel è a casa sua e suona per lui nel
salone di quella villa sontuosa, accomodato a un magnifico Steinway
lucido e nero, con la stessa lunga coda di quello dell’Accademia di
Bucarest.
Il
Maestro, il celebre musicista Romolo Ruti, è estasiato dalla musica
di Ionel e lo vuole nella sua orchestra.
Ora,
finalmente, dopo trent’anni di inutile girovagare, Ionel può
riprendersi la sua vita.
EPILOGO
VELOCE
I
primi mesi della riacquisita vita di Ionel scorrono rapidi e
frastornati.
Ora
suona nei teatri, al fianco del Maestro. Nei più bei teatri
d’Europa. Esibizioni, applausi, viaggi e finalmente denari e
comodità. Compone perfino, una partitura dietro l’altra, note su
note, semibrevi, minime, crome e biscrome, in chiave di violino o di
basso, con scrittura febbrile come la sua ispirazione. Ma c’è un
tarlo che rode, infilato nelle pieghe dell’anima, ogni tanto lo
scaccia, ma si ripresenta e allora decide di affrontarlo.
LENTO
Ci
ha pensato, ripensato, si è informato sulla vita dei suoi ex
familiari nella cittadina rumena, ha immaginato mille volte il suo
ritorno fino a quando, dopo l’ultimo concerto, è salito sulla sua
auto nuova, ha infilato il CD
della sua ultima composizione e ha percorso le centinaia di
chilometri che lo separano da Bucarest.
GRAVE
E’
davanti alla soglia, la stamberga è diventata una vera casa. Sa di
buono, di pareti appena imbiancate e fiori nei vasi della tavola, di
tendine ricamate alle finestre e di pietanze calde come la ciorba
o la musaca,
le sue preferite. Si sentono le voci di Catinca e dei gemelli, dei
figli dei suoi figli. Catinca è diventata un’affermata
concertista e i gemelli insegnano clavicembalo al Conservatorio.
Ma
loro non sanno che lui sa e soprattutto non sanno che è lì, dietro
l’uscio.
Ionel
non ce la fa. Un macigno gli sovrasta il cuore e la vergogna frena il
passo in avanti che pure vorrebbe compiere. Anche il timore di
sguardi freddi, risentiti e ostili lo rende inquieto, fragile, vile.
Si rende conto che la dignità perduta nel momento dell’abbandono
non può essere recuperata.
Si
gira d’improvviso su se stesso e torna indietro, dimenticando sulla
soglia le scarpe consunte che portava in mano.
*
Con l’augurio che diventi ricco e famoso anche l’artista di
strada che ho incontrato tante volte sotto i portici, di rientro dal
lavoro, e che un giorno, invece di suonare, era intento a riparare la
sua bellissima spinetta di legno, ispirandomi questo racconto.
(1)
L’incipit del racconto è quello assegnato per la partecipazione
alla terza edizione del Premio Letterario “Subiaco città del libro
2015”.
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