LA SINISTRA
NELLA GABBIA ELETTORALE
di
Norberto
Fragiacomo
Quello di
sinistra è oggi un concetto talmente vago (“poroso” lo definì Massimo Cacciari)
da poter acquisire un significato, agli occhi dei militanti meno intorpiditi,
soltanto se declinato nei termini di un radicale antagonismo nei confronti di
un sistema – l’attuale - che succhia il sangue delle masse a beneficio
dell’èlite, spazzando via i diritti e blindando i privilegi.
Non possono
essere quindi ascritti alla categoria partiti di regime come il PD e l’SPD
tedesca, che si distinguono dai “conservatori” esclusivamente per la maggiore
disponibilità a servire le lobby transnazionali, né – concentrando la nostra
attenzione sull’Italia – una bizzarra creatura politica qual è il MDP
(Mendicanti di Poltrone? Menestrelli del Potere finanziario? Mantenuti dal
Popolo? No: Movimento dei Democratici e Progressisti: formula vuota che
significa meno di niente, a parte una manifesta adesione al modello culturale
statunitense), totalmente succube del liberalcapitalismo egemone e che si è
distaccata dal Partito Democratico solo per difendere miserabili interessi di
“ditta”. Una prova? Quando Renzi, bluffando, asserì di voler ridiscutere il
devastante Fiscal Compact (ma non il
pareggio di bilancio in Costituzione, attenti, che pure del trattato è una
conseguenza), l’estroso Pierluigi Bersani lo rampognò, dichiarando la propria
sempiterna fedeltà all’Europa dei mercati. Questa gente, che ha votato tutti i
provvedimenti antipopolari del Governo Renzi, è in un certo senso peggiore del
fiorentino, perché cela la propria identità di destra (quella economica: la più
spietata) dietro vacue parole d’ordine di sinistra, buone ad imbonire il volgo.
Tralasciando
l’avvocato Pisapia, un liberale che parla benino e guadagna molto meglio,
incontriamo poi Sinistra Italiana, una setta di buonisti ottimamente
rappresentata dalla permalosa Presidentessa Boldrini, che auspica la
sostituzione degli italiani “mancanti” con popolazioni venute da Asia e Africa,
in vista della creazione de “l’uomo medio”, l’osceno ibrido sradicato e
consumista che piace a Eugenio Scalfari. Paladini dei soli diritti che non
nocciono al Capitale – quelli civili – costoro fanno del razzismo
all’incontrario, accusando l’operaio e il disoccupato di colpe commesse, secoli
fa, dai potenti di allora, cui i nostri si sarebbero senz’indugio accodati.
Ad ogni modo,
tutte queste sigle menzognere sono europeiste (nel senso di filo-UE), filo
atlantiche e interclassiste: al pari del M5Stelle, che lecca senza vergogna il
sedere alla Trilateral, esse sono
nient’altro che tessere del puzzle sistemico. L’unica differenza sta nel fatto
che i pentastellati si candidano a prendere il posto del PD nel classico schema
duale, le altre due formazioni puntano, domani come oggi, agli avanzi.
Rimane la
sinistra antagonista, che di antagonista ha ben poco. Con l’eccezione di
qualche ambizioso capetto, non meritano manco troppi rimbrotti: figli dei
tempi, in quelli annaspano e restano immersi. Il liberalcapitalismo ha oramai
colonizzato l’immaginario collettivo; in più – per dirla con Guccini,
incendiario diventato piddino – “il nemico si fa d’ombra”: le sue capacità di
mimesi sono impareggiabili. Il fascismo, ai suoi tempi, fu un avversario
temibile, ma franco: non si nascondeva, scolpiva e ostentava le sue
indigeribili “verità” (nazionalismo, colonialismo, razzismo, autoritarismo,
militarismo, interclassismo ecc.). Benché non avesse un’ideologia chiara,
chiari e dichiarati – per quanto irraggiungibili – apparivano i suoi scopi: era
un feroce leoncino. Il Capitale, invece, è una gigantesca golpe: per quanto avido, spietato e fortissimo, ostenta
mansuetudine, ammantandosi di belle parole come “democrazia”, “diritti umani”,
“accoglienza”, “parità”, “sviluppo” ecc. In tre decenni scarsi ha saputo
impadronirsi dei concetti più elevati, svuotandoli totalmente di significato
ma, al contempo, trasformandoli in armi contro qualsiasi oppositore: chi ne
contesta il contenuto si scontra col contenitore, e l’urto basta a metterlo
fuorigioco. Se si esprimono dubbi sull’accoglienza indiscriminata si è
razzisti, se ci si oppone a questo simulacro di democrazia si viene tacciati di
nostalgie autoritarie, e così via: il Capitale – lo ripeto – ha conquistato il nostro vocabolario. La sinistra c.d.
radicale si è adeguata per mancanza di coraggio e forza di cose, riducendosi a
contestare gli “eccessi” di un modello che sull’eccesso si fonda. I nostri
“antisistema” non cacciano la tigre: auspicano che, ad onta della sua
dentatura, si nutra d’erba. Papa Francesco fa lo stesso, ma è il suo lavoro di
prelato: per questo gli riesce assai meglio. Di fatto, i nostri antagonisti
hanno fatto proprie regole fissate da altri, e interiorizzato taboo funzionali a preservare lo status quo: ecco allora il pacifismo
soppiantare gli afflati rivoluzionari, la ridicola ideologia gender farsi strada; eccovi le fantasie
sull’Unione Europea da riformare (perché essere contro la UE significa essere
fascisti, tuonava comicamente Ferrero) e quelle, tanto rassicuranti, sui
presunti “errori” commessi da chi ci comanda. In sintesi: ecco la resa di chi,
acconsentendo a partecipare al gioco delle tre carte, si è appiattito su una
meschina prospettiva elettoralistica, elevando un accettabile ics per cento a
proprio principale obiettivo. Da strumento fra i tanti per cambiare le cose le
elezioni sono assurte a unico orizzonte: un buon risultato assicura il futuro,
uno cattivo affligge. Non penso sia (sempre) una questione di malafede:
superiori esigenze di sopravvivenza paiono imporre una siffatta strategia. Da
un lato, per mantenere sedi e apparati partiti e partitucoli hanno necessità di
danari, disciplinatamente elargiti (a sinistra) dagli eletti, che sono sempre
di meno; dall’altro, con buona pace dei fanatici della rete, chi non compare
sui media ufficiali semplicemente non esiste, e per comparire (dunque: per
esistere) tocca essere rappresentati. Primum
vivere, deinde philosophari… d’accordo: ma l’accettazione di questo schema
implica una piena adesione al regime imperante, un’espressa – ancorché implicita
– rinunzia a metterne in discussione le fondamenta. Pur di garantirsi la
sussistenza, si finisce per annacquare quel che resta della propria identità
patteggiando con formazioni pienamente allineate e conformiste: una scelta
tanto consapevole quanto miope, che aggrava una situazione di partenza che già
vede intellettuali e militanti di sinistra quotidianamente influenzati da un
contesto (tipologie e ritmi di lavoro, mode, modelli formativi e informativi
ecc.) foggiato dal sistema di produzione liberalcapitalista in ossequio alle
sue priorità. Fra l’altro, come si può notare dagli esiti delle competizioni,
questa acquiescenza non salva dall’estinzione “forze” che hanno perduto
qualsivoglia capacità di agire e di incidere sul reale. Il problema non è tanto
il linguaggio desueto che rinfacciavo al pur rispettabilissimo Marco Ferrando
(che alle elezioni presenta il suo PCL per nobilmente mostrar bandiera), quanto
l’assenza di fatti. Rinveniamo
qualche eccezione? Anni fa colloquiai con Marco Rizzo, nella sede romana del
suo movimento: disse che delle elezioni poco gli importava (anche se lo scorso
anno ha messo in campo un candidato Sindaco e una lista, alle comunali
capitoline), gli premeva piuttosto forgiare un nucleo numeroso di militanti
affidabili. Continua a sembrarmi un’ottima idea, che però andava tradotta in
pratica prima: questa crisi artificiale ha già cambiato il mondo, e il suo
superamento – strombazzato dai media di regime e altrettanto virtuale – non ci
riporterà al passato. Mi auguro, in ogni caso, che Risorgimento Socialista punti più a
radicarsi nella società, distinguendosi per l’originalità del suo messaggio
politico, che a pitoccare preferenze.
In questa epoca
storica il primo e apparentemente umile compito della sinistra marxista consiste,
a parer mio, nel recupero di un metodo critico atto ad analizzare e mettere in
luce le gigantesche contraddizioni di un sistema che prospera sulle
diseguaglianze, lo sfruttamento e la menzogna: si tratta di elaborare una
visione della realtà che si sottragga ai format disponibili sul mercato,
riconoscendo in moltissimi temi oggi appannaggio delle c.d. “sinistre”
(esaltazione della democrazia formale, pseudoteoria gender, multiculturalismo
esasperato e cancellazione delle identità nazionali e locali, preferenza per
ciò che è estraneo alla nostra cultura materiale, accoglienza a tutti i costi,
retorica dei diritti civili, europeismo acritico che fa disinvoltamente a meno
delle radici, sostegno indiscriminato alle minoranze a discapito delle
maggioranze) altrettante subdole sfumature del pensiero dominante. Quale sia
poi il secondo compito, cui quello di comprendere e spiegare è propedeutico,
dovrebbe esserci abbastanza chiaro: la radicale trasformazione dell’esistente,
che può passare o meno per la strada elettorale.
Il Capitale
maschera con estrema perizia il suo totalitarismo, ma lo faceva anche ai tempi
di Karl Marx, che fu capace di smascherarlo.
Cimentiamoci anche noi nell’impresa, se non vogliamo che la nostra presenza si
riduca a confusa e reticente testimonianza o, peggio ancora, a una croce messa
a caso a matita su un inutile pezzo di carta.
La vignetta è del Maestro Mauro Biani
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