Non credo, francamente, che Renzi, personalmente, persegua lucidamente un disegno neo-autoritario, per un motivo semplice: una cosa simile non gli azzecca dentro la capoccia. Credo che si stia facendo condurre da qualcun altro, e specificamente da quei poteri finanziari ed economici sovranazionali che lo foraggiano e che, come recentemente scritto spudoratamente in un report di una banca d'affari americana, considerano i sistemi costituzionali delle democrazie europee troppo garantisti, troppo "socialisti", per i loro gusti.
E' comunque chiaro che il disegno, consciamente o inconsciamente, c'è, ed è chiaramente delineato. Indebolimento dei partiti di massa tramite l'abolizione del finanziamento pubblico e la loro progressiva trasformazione in movimenti fluidi ed orizzontali, con scarso radicamento, mere macchine di propaganda ed organizzazione delle campagne elettorali, abolizione delle Camere di Commercio, bavaglio ai sindacati, scarsa considerazione persino per Confindustria, disegni di premierato forte privato dei contrappesi di controllo a livello parlamentare, smantellamento e precarizzazione della P.A. per eliminarne la funzione di filtro e controllo di legittimità e correttezza amministrativa dell'operato politico. Il disegno è quello dell'indebolimento, e del progressivo superamento, delle strutture intermedie di rappresentanza della società e di quelle di controllo. Per costruire cosa? Per costruire un sistema plebiscitario di rapporto diretto fra un popolo, privo di riconoscimento nelle sue differenze sociali e di classe, ed un leader che lo rappresenta e, quasi misticamente, lo incarna. Non serve una laurea per capire che, al di fuori del caso della mini-tribù di cacciatori irochesi rimasti grosso modo all'età della pietra, questo sistema camuffa, dietro sembianze di democrazia diretta, lo smantellamento stesso della democrazia.
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* Per la difesa dei lavoratori, dei senza reddito e delle minoranze oltre ogni discriminazione di genere e orientamento * Per un socialismo libertario, solidale e pluralista che riparta dai territori per riconquistare la giustizia sociale e la democrazia * Per un nuovo internazionalismo che difenda la vita sulla Terra, contro ogni devastazione ambientale e contro ogni guerra
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martedì 13 maggio 2014
IL NUOVO PERONISMO di Riccardo Achilli
domenica 11 maggio 2014
DIETRO I FATTI NIGERIANI di Riccardo Achilli
Vedere Boko Haram, e gli sconvolgimenti della Nigeria settentrionale, come un mero frutto di conflitti religiosi ed una conseguenza della guerra più globale in atto, dall'11 Settembre 2001, fra Occidente ed Islam, è eccessivamente schematizzante e distorce la realtà, ed è inoltre una strumentalizzazione utile per tenere in piedi un clima de neo-crociata, servente interessi imperialistici occidentali.
La Nigeria è strutturalmente caratterizzata da un conflitto per la ripartizione delle risorse fra due entità etniche e geopolitiche completamente diverse, il Nord a maggioranza musulmana e poverissimo, ed il Sud a maggioranza cristiana ed animista, ricco di risorse petrolifere e naturali. Dentro questi due macro-blocchi, c'è un dinamica tradizionale di conflitti ed alleanze fra 350 gruppi etnici diversi, con 250 lingue. Dinamiche legate, in popolazioni in parte pastorali ed in parte agricole, a questioni di controllo ed uso delle terre e del bestiame, e, nella Nigeria indipendente, al controllo di postazioni nel sistema politico ed amministrativo, attraversato da indici di corruzione, nepotismo e affiliazione etnica senza precedenti, persino in Africa. Basti pensare che molti Stati nigeriani possono stabilire leggi che disciriminano la popolazione fra "indigni", che hanno diritto di accesso all'istruzione, all'occupazione pubblica, ad una distribuzione privilegiata delle terre, e non indigeni. Molti musulmani sono stati così discriminati, essendogli negato il certificato di "indigeni". Ad esempio, nello Stato di Jos, a larghissima maggioranza musulmana, nel 2011, solo 150.000 musulmani, su un totale di 429.000 elettori, hanno il diritto di votare, perché titolari del certificato di "indigeni".
sabato 10 maggio 2014
DEL PD NON NE POSSIAMO PIU': IL JOBS ACT E' SOLO SCHIAVITU'
Ieri a Bologna c’è stata un contestazione numerosa e rumorosa contro il decreto sulla precarietà del governo Renzi, in occasione del convegno del PD sulle elezioni europee. Promossa da Ross@ la manifestazione è stata una dichiarazione pubblica di netta opposizione all’ennesima controriforma del lavoro – il Decreto Poletti – la cui approvazione con fiducia al Senato nel pomeriggio rappresenta una pagina nera per la democrazia e i diritti in questo paese.
Con lo slogan “Del PD non ne possiamo più, il Jobs Act è solo schiavitù”, circa duecento persone hanno preso possesso del salone conferenze dove doveva tenersi il convegno del principale partito di governo, per poi formare un corteo in Via Indipendenza.
L’opposizione al decreto e al disegno di legge Ichino continuerà a Bologna e in altre città nelle prossime settimane in vista del controsemestre europeo. Il Governo Renzi e il PD si stanno muovendo su una linea autoritaria per dare un ennesimo vantaggio al padronato e per imporre le ricette UE sulla precarizzazione del lavoro, denunciano i promotori della protesta che ieri hanno bloccato il brindisi inaugurale della campagna elettorale dei candidati alle Europee del Pd di Bologna in un hotel della centralissima via Indipendenza, poi chiusa al traffico. Tra gli ospiti dell’iniziativa impedita il sottosegretario Sandro Gozi. L’annullamento è stato deciso per motivi di sicurezza dalla direzione dell’hotel dopo che un gruppo di manifestanti prima è entrato nella struttura e poi è uscito presidiando il marciapiede antistante con petardi e fumogeni.
dal sito Systeme failure
venerdì 9 maggio 2014
mercoledì 7 maggio 2014
IL GUITTO 2.0 E I FIGLI DI NESSUNO di Norberto Fragiacomo
IL GUITTO 2.0 E I FIGLI DI NESSUNO
di
Norberto Fragiacomo
Ma chi è ‘sto Matteo Renzi,
l’erede di Silvio o un Benito 2.0?
Frasi come quelle pronunciate
di recente (“Sogno un sindacato che, nel momento in cui cerchiamo di
semplificare le regole, dia una mano e non metta i bastoni tra le ruote”; “non
sarà un sindacato a fermarci”) puzzano di autoritarismo – e, se vogliamo,
di corporativismo fascista - lontano un miglio, e non meno inquietante suona la
preventiva, sprezzante rinuncia ad una “legittimazione popolare che non avrò
mai”, e dunque non è indispensabile. Davvero il commento di Piero Pelù non
sembra sopra le righe, in questi primi di maggio: Renzi adopera stabilmente
toni aggressivi, inusuali per il mondo politico italiano, e mostra di voler
gestire il Paese come fosse cosa sua. Circondarsi di signore nessuno è stato il
primo passo, dopo il riuscito putsch di palazzo; successivamente si è lanciato
in una campagna di denigrazione delle opposizioni – più presunte che reali,
purtroppo – cercando di squalificarle a colpi di battute e velati insulti.
Nella neolingua renziana chi contrasta le “riforme” è un “conservatore”, e poco
importa che i suoi ukase – in materia di legge elettorale e di lavoro,
d’imbalsamazione del Senato e di “rinnovamento” della P.A. – siano degni del
peggior reazionario, quale lui evidentemente è.
martedì 6 maggio 2014
DA GENNY A' CAROGNA A PAOLA BACCHIDDU: IL VISIBILIO DELL'INFORMAZIONE
DA GENNY A' CAROGNA A PAOLA BACCHIDDU: IL VISIBILIO DELL'INFORMAZIONE
l mainstream mediatico degli ultimi giorni è dominato da diverse notizie. Cominciamo dall’ultras Genny a’ Carogna che troneggia su tutti i quotidiani riguardo al caso della finale di Coppa Italia tra Napoli e Fiorentina sospesa per oltre un’ora per gli scontri avvenuti prima della partita non molto lontano dallo stadio Olimpico di Roma.
Altra notizia saltata agli onori della cronaca è la dichiarazione di Pina Picierno, candidata alle europee del PD, la quale ha affermato di fare la spesa per due settimane con gli 80 euro che saranno dati a 10 milioni di italiani, i “famosi 80 euro della discordia” che hanno provocato tante polemiche.
Picierno si è anche presentata a “Ballarò” della settimana scorsa con lo scontrino per avvalorare la sua dichiarazione.
Un altro evento che sta suscitando non poche polemiche è il caso Paola Bacchiddu.
Qualche giorno fa Paola Bacchiddu, responsabile per la comunicazione della lista L’altra Europa con Tsipras ha postato una propria foto in bikini, con il culo seminudo ben in evidenza in primo piano, accompagnata dal seguente commento: “Ciao è iniziata la campagna elettorale e io uso qualunque mezzo. Votate l’Altra Europa con Tsipras”.(http://systemfailureb.altervista.org/paola-bacchiddu-culi-e-la-sinistra/).
Insomma l’informazione italiana sembra diventata da tempo gossip, scandalo, clamore etc., un’informazione che mira al sensazionalismo, alla spettacolarizzazione, al visibilio…
L’interiorità, la riflessione, la coscienza critica, tutto è sacrificato in nome dello scoop, del marketing della notizia, dell’emozione che la notizia può provocare in linea con le più moderne tecniche e strategie di comunicazione.
Una società in cui l’essere conta meno dell’apparire, una società dell’immagine che propone icone pop, divi da adorare, immagini da santificare, sottoculture da seguire etc., una società dell’appiattimento sociale, della massificazione, della desertificazione culturale.
E non dimentichiamo le bufale che girano in rete che si mischiano alla surrealtà delle notizie da gossip, da rotocalco scandalistico, da giornale di qualità scadente, bufale che ci trasportano in una realtà parallela in cui vivere, la realtà del cyberspazio, la realtà dell’estasi della comunicazione, una realtà in cui c’è una sola dimensione, quella del consumatore e riguardo al nostro discorso, quella del “consumatore di notizie”.
6 maggio 2014
dal sito System Failure
sabato 3 maggio 2014
LOGICA DELLA MANOVRA RENZIANA di Renato Costanzo Gatti
Con questo mio intervento, vorrei sollecitare una riflessione comune, tra chi si diletta di esami economici, di quel che significa la manovra renziana in termini macroeconomici. Da studiosi di economia le riflessioni che vorrei sollecitare dovrebbero, metodologicamente, essere esenti da pregiudizi politici e soprattutto dalla pregiudiziale più facile, cui pur io ho c...eduto, di interpretare quella manovra come una captatio benevolentiae pre elettorale sul filone dello stile alla Achille Lauro. Punterei ad un superiore livello di onestà intellettuale che affronti il tema che, tuttavia, richiede di essere ben delimitato.
1. La definizione del tema.
Cerchiamo di definire il tema in modo essenziale (anche se con qualche forzata sintesi) ponendo una proposizione seguita da quattro domande:
Proposizione: il governo Renzi tramite deduzioni fiscali o bonus (con le conseguenze classificatorie che l’una o l’altra opzione comportano) inietta nel mondo produttivo 10 miliardi di € canalizzandoli tramite i lavoratori dipendenti il cui reddito si piazzi nel settore medio basso.
Cerchiamo di definire il tema in modo essenziale (anche se con qualche forzata sintesi) ponendo una proposizione seguita da quattro domande:
Proposizione: il governo Renzi tramite deduzioni fiscali o bonus (con le conseguenze classificatorie che l’una o l’altra opzione comportano) inietta nel mondo produttivo 10 miliardi di € canalizzandoli tramite i lavoratori dipendenti il cui reddito si piazzi nel settore medio basso.
venerdì 2 maggio 2014
EURO DI SERIE A ED EURO DI SERIE B
Dopo l'interessante articolo di Norberto Fragiacomo "Euro si, Euro no... Euro ohibò" pubblichiamo un'altro punto di vista sull'argomento.
EURO DI SERIE A ED EURO DI SERIE B
Si parla spesso di uscita di Italia dall’euro. Riguardo alle modalità ci sono diverse tesi. Una di queste è un’uscita “concordata” con conseguente svalutazione della moneta o in alternativa un’uscita della Germania con un euro di serie A e l’Italia con un l’euro attuale di serie B svalutato. In queste ipotesi il problema principale rimane il pagamento dell’esorbitante debito pubblico contratto con la moneta attuale forte e non svalutata. Il problema principale è quindi il debito pubblico con gli interessi e quant’altro. Di ristrutturazione del debito pubblico si parla da tempo: un’ipotesi da adottare non certo tra le più felici.
L’euro di serie A e l’euro di serie B forse è la soluzione più “indolore” se proprio si dovesse decidere di abbandonare la moneta attuale troppo forte sui mercati globali: la soluzione dell’euro di serie A e di serie B rispecchia anche la forza delle economie forti e deboli dell’Europa, dei paesi del Nord e dei paesi del Sud, dei paesi definiti virtuosi e dei PIGS.
Una moneta deve rispecchiare l’economia di una nazione e l’Italia come la Spagna o il Portogallo non possono permettersi una moneta adatta invece ad un’economia forte come quella della Germania.
Ritornando poi alla questione della svalutazione si potrebbe optare per una svalutazione graduale negli anni che potrebbe seguire un’eventuale ripresa economica e un’eventuale riduzione del debito pubblico premettendo che però trattati come il Fiscal Compact vanno ridiscussi, cambiati, rinviati o altro.
La cosa principale da tenere a mente è che la via attuale non è quella praticabile e in un modo o nell’altro dovranno esserci dei cambiamenti. La situazione di deflazione in cui versa l’Europa parla chiaro come parla chiaro anche il fatto che la ripresa economica in Europa sia più debole rispetto ad altre parti del mondo.
Oppure ancora cambiare il ruolo della BCE e condividere i debiti sovrani così aiutando le economie più deboli magari con l’ipotesi più volte avanzata degli eurobond.
Il Fiscal Compact e il rispetto del 3% di rapporto deficit/PIL sono vincoli da rispettare troppo “duri” come sono stati concepiti qualche anno fa: c’è bisogno di maggiore “elasticità” per aiutare i paesi in difficoltà o rinviare tutto per il fututo quando si sarà usciti dalla crisi economica più grave dal dopoguerra.
dal sito System Failure
giovedì 1 maggio 2014
FRANCIA: IL "PARTITO DI SINISTRA" VERSO LE EUROPEE (con Tsipras ma...)
FRANCIA: IL "PARTITO DI SINISTRA" VERSO LE EUROPEE (con Tsipras ma...)
«Le elezioni europee sono l'appuntamento elettorale più importante dell’anno
Si tratta di una opportunità per l'opposizione di sinistra alle politiche liberiste attuate in Francia così come nell'Unione Europea (UE ) per fare punto e a capo. Fino ad ora, che i governi siano stati diretti dai liberali di destra o dai socialdemocratici, la politica economica e sociale è stata la medesima. Ogni volta che gli è stato offerto di scegliere, i partiti social-liberali hanno preferito unirsi alla destra piuttosto che alla sinistra. Questo accade in 14 dei 28 paesi. Questo è stato il caso per esempio della SP dopo le ultime elezioni tedesche. Lo stesso tipo di combinazione vale nel Parlamento europeo dove il PSE e il PPE cooperano per applicare una politica liberale ripartirsi i posti. La mutazione della socialdemocrazia europea è oramai completa: non è più uno strumento di compromesso tra lavoro e capitale, ora è oramai passato dalla parte di quest'ultimo
Quello che è vero in tutta l'UE, ora lo è anche in Francia. Il PS è ormai disciolto in questa brodaglia politica. Eletto per porre fine alla politica di Nicolas Sarkozy, François Hollande ha applicato la stessa politica di destra. Egli l’ha assunta pienamente: le politiche sul lavoro, l’austerità , i regali costanti agli azionisti, i tagli alla spesa pubblica, la politica anti-ambientalista, tutto l'arsenale neoliberista e oltre. Dopo aver lavorato per lo sviluppo del modello austeritario in Europa con la firma della TSCG [Patto di stabilità e Pareggio di bilancio, Ndr], Hollande ha spudoratamente adottato il modello tedesco della Merkel predisposto a sua volta da Gerhard Schröder. Questo modello, quello di una ripresa basata sulle esportazioni, è deleterio in quanto si basa su una competizione generalizzata tra le nazioni, sulla deflazione salariale e la convergenza sociale verso il basso.
Contestualmente a questa adesione, François Hollande ha cercato di imporre al nostro Paese un'organizzazione territoriale basata su grandi regioni e "aree metropolitane", ciò in conformità con i vecchi progetti comunitari tendenti a distruggere gli stati nazionali nei quali si esercita la sovranità popolare, e ciò per favorire una concorrenza economica mortale tra i paesi europei. La capitolazione del Capo di Stato della seconda potenza economica europea porta a compimento il progetto di uniformizzazione politica dell'Unione europea. E’ la fine del mito di un'Europa sociale col quale si sono giustificate tutti gli arretramenti della socialdemocrazia. Ricordiamocelo: il PS ha sempre affermato di accettare dei trattati sempre più liberali a favore di una costruzione europea con la promessa che ne avrebbe successivamente cambiato, in realtà è il PS che ha aderito al liberalismo.
Si tratta di una opportunità per l'opposizione di sinistra alle politiche liberiste attuate in Francia così come nell'Unione Europea (UE ) per fare punto e a capo. Fino ad ora, che i governi siano stati diretti dai liberali di destra o dai socialdemocratici, la politica economica e sociale è stata la medesima. Ogni volta che gli è stato offerto di scegliere, i partiti social-liberali hanno preferito unirsi alla destra piuttosto che alla sinistra. Questo accade in 14 dei 28 paesi. Questo è stato il caso per esempio della SP dopo le ultime elezioni tedesche. Lo stesso tipo di combinazione vale nel Parlamento europeo dove il PSE e il PPE cooperano per applicare una politica liberale ripartirsi i posti. La mutazione della socialdemocrazia europea è oramai completa: non è più uno strumento di compromesso tra lavoro e capitale, ora è oramai passato dalla parte di quest'ultimo
Quello che è vero in tutta l'UE, ora lo è anche in Francia. Il PS è ormai disciolto in questa brodaglia politica. Eletto per porre fine alla politica di Nicolas Sarkozy, François Hollande ha applicato la stessa politica di destra. Egli l’ha assunta pienamente: le politiche sul lavoro, l’austerità , i regali costanti agli azionisti, i tagli alla spesa pubblica, la politica anti-ambientalista, tutto l'arsenale neoliberista e oltre. Dopo aver lavorato per lo sviluppo del modello austeritario in Europa con la firma della TSCG [Patto di stabilità e Pareggio di bilancio, Ndr], Hollande ha spudoratamente adottato il modello tedesco della Merkel predisposto a sua volta da Gerhard Schröder. Questo modello, quello di una ripresa basata sulle esportazioni, è deleterio in quanto si basa su una competizione generalizzata tra le nazioni, sulla deflazione salariale e la convergenza sociale verso il basso.
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Jean-Luc Mélenchon |
Contestualmente a questa adesione, François Hollande ha cercato di imporre al nostro Paese un'organizzazione territoriale basata su grandi regioni e "aree metropolitane", ciò in conformità con i vecchi progetti comunitari tendenti a distruggere gli stati nazionali nei quali si esercita la sovranità popolare, e ciò per favorire una concorrenza economica mortale tra i paesi europei. La capitolazione del Capo di Stato della seconda potenza economica europea porta a compimento il progetto di uniformizzazione politica dell'Unione europea. E’ la fine del mito di un'Europa sociale col quale si sono giustificate tutti gli arretramenti della socialdemocrazia. Ricordiamocelo: il PS ha sempre affermato di accettare dei trattati sempre più liberali a favore di una costruzione europea con la promessa che ne avrebbe successivamente cambiato, in realtà è il PS che ha aderito al liberalismo.
EURO SI’, EURO NO… EURO OHIBO’! di Norberto Fragiacomo
EURO SI’, EURO NO… EURO OHIBO’!
di
Norberto Fragiacomo
Il più spietato dei nostri nemici ce l’abbiamo in tasca: è l’euro.
Questo dischetto di metallo bicolore sarebbe il responsabile di tutte le disgrazie italiane: della diminuita competitività del Paese (cioè del calo delle esportazioni) e della chiusura di fabbriche piccole, medie e grandi, oltre che dei suicidi di imprenditori ed ex dipendenti. Pure delle delocalizzazioni, che per il ministro Guidi sono benefiche “internazionalizzazioni”? Prossima domanda, prego!
Euro: una moneta troppo forte, tagliata su misura per la Germania, e soprattutto uno strumento di dominio, che sfugge a qualsiasi possibilità di governo e/o ingerenza da parte nostra. Euro, sinonimo di crisi. Per altri (per il sottoscritto) solo una tessera del mosaico della crisi sistemica.
«Usciamo dall’euro!», ruggiscono in molti. Lo slogan è efficace, perché rapido, secco, ed indica un obiettivo concreto. Non si tratta di riprogettare la società o di rifare il mondo, perdendosi nella nebbia delle opinioni, ma solo di tornare alla cara, vecchia lira: alzi la mano chi non ha conservato un pezzo da duecento o cinquecento… a rivederli inteneriscono, se non altro perché ci parlano della giovinezza andata.
I sostenitori della fuoriuscita giurano che la misura avrebbe un’immediata ricaduta positiva, anche ceteris paribus (cioè lasciando tutto il resto invariato, partecipazione alla UE compresa): a seguito della svalutazione della moneta l’export subirebbe un’impennata; l’aumento della domanda estera produrrebbe nuova occupazione; l’inflazione non creerebbe particolari problemi, così come non ne ha creati nel ’92, quando rimase pienamente sotto controllo. Prosperità e crescitagarantite, insomma, senza alcun bisogno di stravolgere il sistema.
lunedì 28 aprile 2014
LA TRISTE PARABOLA DI PIOMBINO di Riccardo Achilli
LA TRISTE PARABOLA DI PIOMBINO
di Riccardo Achilli
Ho lavorato nell'acciaieria Lucchini di Piombino, per qualche tempo, alla fine degli anni Novanta, quando i bresciani, completata la privatizzazione-spezzatino dell'ex ILVA nel 1995, avevano di fatto acquisito quella che era la Divisione Prodotti Lunghi del vecchio colosso pubblico, fatto a pezzi (i prodotti piani a Riva, gli acciai speciali ai tedeschi della Krupp Thyssen, e quelli lunghi, per l'appunto, ai bresciani) contro ogni logica industriale, in un settore in cui le economie di scala e le sinergie sono fondamentali per competere. Il tutto in nome di un diktat europeo, mirato alla riduzione dell'eccesso di capacità produttiva della siderurgia, alle prese con la feroce competizione dal lato dei costi delle siderurgie emergenti della Corea del Sud, dell'India, della Cina, e poi della Russia.
Una politica insensata, che anziché riqualificare la siderurgia europea, spostarla verso l'alta tecnologia e la compatibilità ambientale, mirava solo a sostenere i margini di profitto, erosi dalla competizione sui costi di produzione dei nuovi colossi siderurgici emergenti, tramite un taglio dell'offerta.
Una politica industriale rinunciataria e senza prospettiva, basata sul presupposto, molto di moda a fine anni Ottanta, ma poi rivelatosi tragicamente errato, che i nuovi materiali avrebbero, nel giro di un ventennio, reso obsoleto l'uso dell'acciaio. Sulla base di questo diktat, inizò lo smantellamento dell'ILVA, costretta, nel 1989, a chiudere l'acciaieria di Bagnoli (che aveva appena portato a termine un costoso revamping dei treni di laminazione) e quindi indebolita nella competizione internazionale contro gli altri colossi mondiali dell'acciaio, proprio negli anni in cui era in corso la delicatissima operazione di risanamento finanziario della ex Italsider.
L'indebolimento strutturale, sotto il profilo della capacità produttiva, del gruppo ILVA venne poi bissato, in base al famigerato accordo Andreatta-Van Miert del 1992, dall'obbligo, imposto ad un Paese stremato da una crisi speculativa sul tasso di cambio (che aveva provocato la fuoriuscita della lira dallo Sme) di privatizzare la sua industria pubblica, per ridurre un debito pubblico astronomico (con la conseguenza che l'industria pubblica è stata smantellata senza che il rapporto fra debito pubblico e PIL sia rientrato entro limiti ragionevoli).
domenica 27 aprile 2014
MIRAMAR, QUASI UN AUTORITRATTO di Norberto Fragiacomo
di
Norberto Fragiacomo
I miei primi ricordi di Miramare (anzi, Miramar, che non è in triestino ma in castigliano!) affondano nella più remota infanzia, e saranno per sempre congiunti a quello di “nono Nino” che mi ci portava con la 500 blu: l’abbagliante castello sull’acqua, gli alberi piccoli e grandi, le vasche coi pesci rossi, i cigni e un giardino da fiaba. Ricordi, appunto – perché cigni e pesci sono spariti nel nulla, inghiottiti dall’incuria, il giardino all’italiana è stato ridotto a un deserto sabbioso. Rimane il castello bianco, maestoso e hollywoodiano ante litteram: il sogno di pietra (d’Istria) di un uomo romantico e sfortunato. Numerose sono le leggende – in gran parte macabre – che avvolgono questa magione, ma la realtà è più affascinante, a parer mio. Miramar, parco compreso, è in fondo un autoritratto – l’autoritratto di Ferdinand Max, figlio secondogenito e imperatore da operetta mutata in tragedia.
mercoledì 23 aprile 2014
I QUATTRO MILIONI DI POVERI CHE NON AVRANNO GLI 80 EURO DI RENZI di Maurizio Zaffarano
I QUATTRO MILIONI DI POVERI CHE NON AVRANNO GLI 80 EURO DI RENZI
di
Maurizio Zaffarano
Il bonus fiscale approvato (?) dal governo Renzi (restando peraltro da definire la platea di beneficiari, le modalità di attuazione e l'effettivo importo pro-capite) ha palesemente la mera funzione di spot elettorale e tale è stato unanimemente riconosciuto, persino da Repubblica l'organo di stampa del renzismo.. Si tratta cioè dell'unico atto concreto in grado di spostare il voto popolare, nella competizione delle Europee decisiva per il futuro di Renzi, in mezzo ad un mare di annunci e di titoli che comprendono di tutto e di più: il lavoro e le riforme istituzionali, gli F35 e i segreti sulle stragi, la burocrazia ed i costi della politica. 80 euro al mese per avere la legittimazione elettorale per portare a conclusione la svoltaautoritaria e proseguire/implementare quelle politiche liberiste che stanno distruggendo l'Italia. E' la pubblicazione periodica dei dati statistici – sulla disoccupazione, sulla povertà, sulla distribuzione della ricchezza, sul debito, sul calo del PIL e dei consumi, sulla chiusura delle imprese – che riporta tutti alla realtà e dimostra l'insufficienza, l'inefficacia e l'inadeguatezza delle politiche renziane ed il fallimento dei governi di salvezza nazionale degli ultimi anni promossi da Napolitano in ossequio ai voleri della Troika e sostenuti dal PD, da Berlusconi e dall'arcipelago centrista con la servile benevolenza dei cosiddetti 'giornaloni' (Repubblica, Corriere, La Stampa).
IL RUOLO DELL'INTELLETTUALE IN POLITICA di Riccardo Achilli
IL RUOLO DELL'INTELLETTUALE IN POLITICA
di Riccardo Achilli
Qual è il ruolo
dell'intellettuale in politica? Il declino e lo sradicamento della sinistra
italiana ripropongono questo tema in modo urgente, che naturalmente va
inquadrato nel contesto più ampio del rapporto fra intellettuali e politica.
Negli ultimi decenni, questo rapporto, nel nostro Paese, ha subito un profondo
degrado. Nel migliore dei casi, l'utilizzo dell'intellettuale viene ridotto a
quello di “antenna” che fornisce al politico gli umori della società, e
nobilita il messaggio del politico dandogli una forma a volte linguisticamente
più raffinata, ma contenutisticamente non diversa (modello-Becchi). Nel
peggiore dei casi, l'intellettuale viene sbandierato come una bella figurina
che dà lustro al partito, ma quello che dice, nella misura in cui è contrario
agli orientamenti della leadership del partito stesso, non viene semplicemente
ascoltato (come avviene a numerosi intellettuali che sono stati vicini ai Ds o
al Pd, ma si pensi anche al trattamento ricevuto da Gianfranco Miglio dentro la
Lega Nord, quando la sua visione di Stato neo-federale e neo-corporativo cozzò
con il ben più pratico bisogno di Bossi di negoziare spazi di potere
all'interno dell'ordinamento statuale esistente, barattando la rinuncia sia
alla secessione sia ad un cambiamento radicale della forma di stato con forme
più avanzate di federalismo e di redistribuzione del carico fiscale dal Nord
verso il Centro Sud del Paese). Oppure, ancora, l'intellettuale viene ridotto al
ruolo del tecnico, che non deve disegnare un modello nuovo di società, ma solo
trovare le soluzioni tecnico-normative ed economico-finanziarie più efficienti
per rispondere a problemi pratici e contingenti (modello-Tremonti).
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