Nella vulgata corrente della sinistra italiana, si identifica spesso il berlusconismo con il fascismo (circolano addirittura amene vignette con il Cavaliere ritratto nella divisa e negli atteggiamenti tipici di Benito Mussolini). Tale accostamento è erroneo dal punto di vista dell'analisi del fenomeno, tende, accostando il berlusconismo a fenomeni del secolo passato, a sottovalutarne l'impatto e la pericolosità per il mondo di oggi, e soprattutto ne confina la portata fenomenica alla sola piccola Italia, replicando una tendenza, questo sì, comune anche alle analisi più superficiali riferite al fascismo nostrano, a confinare certi fenomeni politici, rivestiti anche di un notevole contenuto folkloristico, a presunte caratteristiche di sotto-cultura del nostro Paese e in particolare della sua piccola borghesia.
Tale analisi del berlusconismo è superficiale, ingenua, pericolosa. E' superficiale ed ingenua perché non considera il berlusconismo come un fenomeno evolutivo della destra globale, e quindi come una modalità attraverso la quale le forze sociali reazionarie di questa fase matura del capitalismo si stanno organizzando, in molti Paesi e non solo in Italia, per controllare il consenso (non solo della borghesia stessa, ma anche di ampi strati del proletariato, in particolare di quelle fasce, con terminologia non marxista definibili come “ceti medi”, che si collocano al servizio della borghesia stessa, svolgendo funzioni lavorative di tipo intellettuale e burocratico, e non di rado anche di settori del proletariato operaio). E' pericolosa perché, relegando il berlusconismo al fascismo del secolo scorso, non consente di cogliere le specificità e le innovazioni che le nuove forme di autoritarismo di destra stanno adottando, per essere coerenti con i cambiamenti sovrastrutturali del capitalismo del XXI-mo secolo. Se non si comprendono natura e specificità del berlusconismo, e quindi la sua capacità diffusiva anche al di fuori dei confini del nostro piccolo Paese, non si comprende la pericolosità di tale modello, ma anche la sua intrinseca debolezza. E quindi non si riesce a combattere efficacemente contro tale modello, rischiando addirittura di creare varianti “socialdemocratiche”, o per meglio dire riformiste, del berlusconismo stesso (che per la verità esistono già, si veda Obama, per non parlare, per certi aspetti, di Blair).
Ogni grande crisi economica del capitalismo porta con sé cambiamenti radicali negli assetti produttivi e sui mercati, costringendo quindi il capitalismo stesso a cambiare pelle, a metamorfosi sia nelle forme di sfruttamento del lavoro, sia nella sovrastruttura culturale, come anche nelle forme politiche di controllo del consenso. La grande crisi del 1929 facilitò la presa del potere da parte del nazi-fascismo in Germania, Italia, Spagna e Portogallo, quando le tradizionali forme politiche della vecchia borghesia liberale nazionale si rivelarono inadeguate ad affrontare gli effetti distruttivi della recessione sui sistemi produttivi e finanziari e, d'altro canto, la crisi favorì, mediante l'emersione del keynesianesimo, la maturazione definitiva del pensiero politico socialdemocratico, che poi prese il potere negli USA (tramite il New Deal rooseveltiano), e per lunghi periodi in Francia, in Gran Bretagna e nella Germania di Weimar. Persino una recessione economica molto più piccola e meno devastante, come lo shock petrolifero del 1973, replicatosi nel 1980, ha indotto alcuni cambiamenti politici minori (fra i quali l'emergere di un socialismo di destra che, richiamandosi a letture strumentali di Proudhon, si avviò verso forme di capitalismo di Stato, dove a fronte di intensi programmi di nazionalizzazione di settori considerati “strategici” in una logica nazionale, si avviò una fase di intensa collaborazione con gli interessi del capitalismo privato; a destra, emerse una forma più moderna di pensiero neoliberista, condensatasi nel monetarismo e nella nuova macroeconomia classica, particolarmente attenta ad affrontare, in una logica liberista e conservatrice, i problemi derivanti dall'accelerazione dell'inflazione generati dallo shock petrolifero stesso). Sarebbe quindi ingenuo non considerare che l'attuale fase recessiva globale, di intensità e durata gravissime, non comporti analoghi, profondi, cambiamenti anche nella sfera delle forme politiche di controllo del consenso. Poiché l'attuale recessione è il frutto di una lunga maturazione delle sue condizioni scatenanti (fra le quali una crescente finanziarizzazione globale dell'economia, avviata già negli anni Ottanta) anche l'evoluzione delle forme politiche di controllo del consenso sta avendo tempi lunghi, ma che oramai hanno prodotto i loro frutti maturi.
Quali sono le caratteristiche di queste nuove forme che va assumendo la destra politica, e che peraltro la cosiddetta sinistra riformista sta copiando in modo piuttosto fedele? Utilizzerò la parola “berlusconismo” perché Berlusconi, in Italia, è stato il primo, già all'inizio degli anni Novanta, a dare forma compiuta a tale modello politico, che però si è rapidamente diffuso oltre i nostri confini nazionali. Quali sono le caratteristiche del berlusconismo?
a) è una forma di autoritarismo che, a differenza del fascismo (il quale basa le sue modalità di controllo sociale sulla costruzione di un complesso apparato burocratico-corporativo), utilizza forme burocratiche più leggere. Il leader, con il suo carisma personale, sostituisce ogni forma di controllo burocratico della società. Il berlusconismo si basa cioè sull'idea che il consenso elettorale conferito al leader sia più che sufficiente a legittimarne un potere pressoché assoluto, distorcendo strumentalmente l'idea illuministico-voltairiana della sovranità popolare esercitata tramite il voto. In nome del consenso popolare che lo circonda, il leader è quindi autorizzato ad eliminare tutte le forme di controllo incrociato, ed i vari pesi e contrappesi fra i poteri dello Stato, che sono caratteristici delle tradizionali democrazie parlamentari (ivi compreso il Parlamento stesso, visto, sono parole di Berlusconi, come una inutile dieta di repressi e frustrati, che stanno lì solo per votare ciò che il loro Leader gli dice di votare). In questo contesto, il contrasto con la magistratura non è soltanto legato ai problemi giudiziari personali di Berlusconi, è anche un capitolo del processo di eliminazione di tutti i contrappesi che limitano il potere del leader Unto dal popolo (in questo risalta la differenza con i fascismi tradizionali, che hanno bisogno di misurare il consenso popolare soltanto nella fase iniziale della presa del potere, poi lo eliminano, abolendo le elezioni). Di fatto, il berlusconismo tende a eliminare tutti i sistemi indipendenti di controllo e limitazione del potere, sostituendoli con un unico meccanismo, di fatto il più manipolabile ed influenzabile, ovvero quello del voto. Di fatto, la figura del leader diviene centrale, e riassume in sé anche il messaggio politico e programmatico, per cui non si vota più per un determinato programma politico, ma per le suggestioni, consce ed inconsce, che l'immagine del leader riesce a trasmettere, ponendosi quasi come figura “esemplare”, da imitare, quindi come coacervo indistinguibile fra la sua figura fisica e i valori sociali e morali che trasmette;
b) come conseguenza dell'eliminazione dei sistemi di controllo e di divisione fra i poteri, e più in generale di una gigantesca opera di smantellamento degli apparati burocratici pubblici in nome di una gestione “privatistica” anche dello Stato, funzionale ad operare con i minori vincoli legislativi ed amministrativi possibili (chi non ricorderà il famoso motto berlusconiano “gestirò il Paese come gestisco le mie imprese”) il berlusconismo eleva a fede assoluta principi quali l'efficienza e la velocità nei processi decisionali, o la determinazione nell'affrontare i problemi e risolverli (portando anche nella sfera pubblica le tecniche di problem solving che in verità hanno senso solamente nell'ambito della pianificazione strategica di imprese private in concorrenza fra loro, non certo per decisioni di politica pubblica, dove la sfera redistributiva e solidaristica ha altrettanta importanza rispetto a quella basata soltanto sulla competitività del sistema);
c) a differenza dei sistemi autoritari di tipo fascista, che abbisognano di sostituire la preesistente sovrastruttura culturale, coerente con le vecchie “demoplutocrazie liberali” (come le chiamava Mussolini) con una nuova sovrastruttura culturale, costruita “ad hoc” (socializzazione dei mezzi di produzione, corporativismo, nazionalismo aggressivo ed autarchico, familismo, ecc.) con tanto di orpelli simbolici (dai fasci littori all'architettura fascista di Piacentini, che doveva segnare una rottura rispetto ai precedenti canoni architettonici) il berlusconismo sostituisce la preesistente sovrastruttura culturale...con il nulla. L'arte, così come la cultura, sono spese inutili (come direbbe Tremonti, con Dante Alighieri non ci si imbottisce il panino), la scuola e l'università pubbliche ed universalistiche sono costose e trasmettono valori “di sinistra” essenzialmente perché vorrebbero veicolare un'idea di uguaglianza (ed il berlusconismo rifugge dal concetto di uguaglianza fra gli uomini, proprio perché è contradditorio con l'idea della preminenza dell'Uomo Solo al Comando, del leader supremo), quindi è meglio privatizzarle (in modo che si possano istruire solo gli eletti appartenenti alla borghesia che sostiene il Leader), l'educazione umanistica, filosofica e sociale è inutile, perché non è coerente con aridi e semplicistici concetti di crescita senza sviluppo, per cui l'educazione deve vertere su materie di tipo aziendalistico o tecnico. La capacità critica e di analisi viene scoraggiata in tutti i modi, perché mette in pericolo grave un sistema che non si basa su una “cultura nuova”, ma sul nulla, riempito soltanto dalla gigantografia del Capo Supremo, del Leader da un milione di posti di lavoro garantiti. Pertanto, i mezzi di comunicazione di massa, ed in primis la televisione, devono far sparire i programmi di approfondimento ed i documentari, per sostituirli con innocui show, o con Il Grande Fratello, vera iconografia culturale del berlusconismo, perché modella “in vitro” un mondo dove le relazioni sociali sono basate sulla superficialità, sull'edonismo e sulla competizione, esattamente i valori che servono al Leader per imporre all'elettorato la sua immagine vincente. Di fatto, quindi, e questo elemento è centrale per comprendere il berlusconismo, non si sostituisce il vecchio sistema culturale con una nuova sovrastruttura (come fece il nazi-fascismo). Si sostituisce con il nulla, con la volgarizzazione e banalizzazione della vita umana, con lo spegnimento del pensiero. Con una neolingua orwelliana che modifica gli stessi concetti cui la nostra cultura è abituata (la parola “solidarietà” diviene desueta, sostituita da “coopetizione”, misto di competizione e cooperazione, la parola “uguaglianza” viene sostituita dall'orrendo neologismo “pari opportunità”, la libertà si fraziona, si declina al plurale, e cambia significato, perché viene meno la necessaria controfaccia della responsabilità, i provvedimenti più reazionari e conservatori diventano “riforme”, per cui, così come nella neolingua orwelliana i contrari combaciano, ad esempio “guerra è pace”, in quella berlusconiana “reazione è progresso”). Il berlusconismo controlla il consenso tramite la costruzione di un uomo nuovo, senza pensieri, senza facoltà critiche, gettato in un universo disperato di lifting e superficialità, smarrito nel suo tentativo di comprendere ed esplorare il mondo attorno a lui, e quindi alla mercè del Leader;
d) per poter costruire un sistema di controllo del consenso basato sull'immagine taumaturgica del leader, mettendo quindi in secondo piano i contenuti politico-programmatici, e per manipolare l'opinione pubblica (dato che l'unico sistema di controllo ammesso è quello popolare, che si esprime all'atto del voto) nonché, ovviamente, per potere costruire l'uomo nuovo di cui sopra, occorre un enorme potere mediatico, ottenuto sia tramite il controllo diretto (o per il tramite di prestanome, o ancora per il tramite di alleati politici) dei network di comunicazione di massa, sia tramite una attentissima politica di marketing, volta a “vendere” l'immagine del leader come qualsiasi prodotto di consumo di massa. Ad ogni modo, la conseguenza finale è che la sfera della comunicazione diviene primaria rispetto a quella dei contenuti;
e) poiché però un minimo di sovrastruttura serve, e poiché le avanguardie culturali vengono distrutte, occorre tornare alla retroguardia. Per cui il berlusconismo si ammanta del peggior cattolicesimo, quello più reazionario, di una concezione tardo medievale della società, dove si torna all'autonomia comunale e dei singoli territori (che la Lega sia alleata di Berlusconi non è un caso, è un fatto significativo, che il berlusconismo abbia attuato il federalismo fiscale non è un caso) come antidoto ad uno Stato oppressivo ed ai rischi della globalizzazione, nonché alla famiglia tradizionale ed eterosessuale come nucleo di base della società, vero luogo dove si educa la prole ai sani valori, che non sono quelli che la scuola pubblica può dare (tornando così al modello del precettore familiare precedente alla istituzione dei sistemi pubblici di istruzione). Ecco quindi che la Chiesa, da sempre alleata con il blocco di potere borghese, dà una mano a questa costruzione, adottando i modelli teologici più esasperatamente reazionari, pre-conciliari e rimettendosi in capo lo scudo crociato, a sostegno dei “tradizionali” valori dell'Occidente, minacciati dalla globalizzazione culturale (che genera flussi di immigrati musulmani anche nei nostri Paesi; vale ricordare il concetto ratzingeriano della pretesa “superiorità” del cristianesimo sull’Islam) e dal relativismo morale. Ecco quindi perché il berlusconismo, coerentemente con tale approccio, non può che essere xenofobo nei confronti degli immigrati, favorevole all'eutanasia ed alla proibizione dell'aborto e della fecondazione assistita, nonché alle scuole cattoliche ed al crocefisso negli uffici pubblici, o alla menzione delle radici cristiane negli statuti dell'Unione Europea, favorevole alle guerre sante nei Paesi islamici, fatte con la scusa di “esportarvi” il nostro modello culturale e politico, assunto a priori come necessariamente superiore (anzi, come il migliore modello).
Se questo è il quadro del berlusconismo, è chiaro che tale modello politico non è soltanto italiano. Non appartiene solo a Berlusconi ed al Pdl. Elementi si riscontrano nella figura politica di Sarkozy (il cristianesimo militante, la xenofobia nei confronti degli immigrati, la propensione a menare le mani in Paesi islamici, la grande cura dell'immagine del leader, fatta dalla stampa compiacente – lo stesso legame affettivo del Presidente con Carla Bruni è utilizzato mediaticamente per alimentare una immagine mitologica del Presidente virile e scopatore, l'insofferenza per gli organi di controllo) nel movimento teo-con statunitense (xenofobia, anti-islamismo militante, cattolicesimo reazionario, disprezzo dello Stato e del pubblico in generale, sia questo consistente nel welfare o nella scuola pubblica, disprezzo dei meccanismi di controllo del potere esecutivo, che si è tradotto nei provvedimenti legislativi post 11 Settembre, che di fatto, in settori come la sicurezza nazionale, ma anche la privacy dei cittadini, estendevano i poteri della CIA e del Presidente molto al di là dei tradizionali limiti che la Costituzione assegna a tali organi, grande controllo dei media, grazie alla conclamata alleanza con Rupert Murdoch. Ai teo-con manca, per motivi contingenti, soltanto un leader vincente a livello di immagine, perché, poveretti, devono accontentarsi di John McCain o di Sarah Palin). Elementi di tale genere si riscontrano anche nella Russia di Putin (che è andato a scuola da Berlusconi prima di costruire la sua immagine di leader carismatico, abbandonando i panni grigi di modesto funzionario del KGB). La politica xenofoba e di grande chiusura all'immigrazione, specie se islamica, del Governo Cameron, è un ulteriore esempio di berlusconismo (accanto alla cura dell'immagine del leader giovane e dinamico, molto a suo agio con le televisioni e con il suo rapporto privilegiato con i media, che passa ancora una volta per il tramite dell'amicizia con Murdoch, ed alla santificazione dei criteri di efficienza decisionale e del problem solving, a scapito dei tradizionali criteri di costruzione e gestione delle politiche pubbliche, allo smantellamento dei sistemi pubblici di istruzione e welfare, ecc.)
Elementi di questo tipo si riscontrano persino nella sinistra riformista. Alfiere di tale modello è Barak Obama, che fa dell'immagine un priorità, e che prosegue indefesso nelle crociate anti islamiche. Non parliamo del nostro Vendola...
In sostanza, il berlusconismo dilaga. E' la nuova forma, coerente con una società dello spettacolo e della comunicazione, quale quella del XXI secolo, che la borghesia globale si sta dando, per rimanere al potere . Tale modello è però in crisi di consenso. Berlusconi, Sarkozy, Obama, lo stesso Putin perdono consenso nelle rispettive opinioni pubbliche, nonostante il fatto che in tali Paesi la capacità incisiva delle opposizioni politico-sindacali sia pressoché allo zero. Forse la gente si sta stufando di un mondo costituito da un guscio nuovo, dentro il quale vi sono solo ingiustizie, guerre ed affarismi privati. E' nostro compito contribuire ad indebolire il berlusconismo di destra e di sinistra. Iniziando a comunicare di meno nella sfera virtuale ed a combattere di più nel mondo reale.
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