di Giuseppe Angiuli
Quello che ascolteremo nelle prossime ore sarà l’ultimo discorso di fine anno di Giorgio Napolitano pronunciato dalla scrivania di Presidente della Repubblica italiana.
È mia ferma impressione che egli sia stato senz’ombra di dubbio – da Enrico De Nicola fino ad oggi - l’uomo peggiore tra tutti coloro i quali hanno ricoperto la carica di Capo dello Stato dal 1948 ad oggi.
Provo a spiegarne il perché.
Il settennato di “Re George” (2006-2013) verrà verosimilmente identificato con la fase storica in cui la cosiddetta Costituzione materiale del nostro Paese ha subito il suo più clamoroso stravolgimento e le più evidenti manomissioni, con conseguenze purtroppo destinate a lasciare un segno indelebile (oltreché nefasto) nella vita democratica dei cittadini italiani, per un periodo lungo di qui a venire.
Intendo affermare che lo spirito con il quale il vecchio (post)comunista napoletano, da sempre sospettato di genealogia regale (1,) ha interpretato il ruolo di Capo dello Stato in questi sette anni, ha finito per imprimere una svolta in senso oligarchico all’assetto dei Poteri dello Stato al punto da porre Giorgio Napolitano aldilà e al di fuori di qualsiasi confronto con tutti coloro i quali lo avevano finora preceduto, facendoci rimpiangere finanche le figure presidenziali più “opache” tra quelle passate dal Quirinale in questi 60 anni, vale a dire Antonio Segni, Giovanni Leone e Francesco Cossiga.
Per comprendere appieno la reale gravità delle responsabilità storiche che penderanno a lungo sul capo di Napolitano occorre soffermarsi attentamente sulla locuzione Costituzione materiale.
La nozione di Costituzione materiale fu introdotta grazie all’elaborazione del giurista Costantino Mortati in contrapposizione a quella di Costituzione scritta o formale.
Accanto alle regole scritte – intendeva spiegare il Mortati – esiste tutta una serie di prassi, atti e comportamenti adottati dagli organi costituzionali, che contribuiscono progressivamente ed inesorabilmente a trasformare di fatto l’assetto dei rapporti civili, sociali e politici tra i cittadini di uno Stato-nazione.
In sostanza, oltre alle norme scritte, l’assetto dei poteri di uno Stato soggiace costantemente all’influenza data dai comportamenti concretamente posti in essere dai singoli detentori delle cariche che si avvicendano nella loro effettiva gestione.
E dunque, nella storia istituzionale di un Paese, accanto alle norme codificate, si afferma col tempo un insieme di princìpi che, quantunque non presenti formalmente nel corpo della carta costituzionale, assurgono al rango di diritto vivente, assumendo un’importanza che spesso può anche travalicare lo stesso significato letterale delle norme scritte.
Pertanto, per verificare quale sia il grado di effettiva democrazia all’interno di un Paese, non è soltanto alla carta costituzionale formale che tocca guardare bensì anche alla Costituzione materiale (2).
Orbene, se si analizzano attentamente alcuni comportamenti messi in atto dall’attuale Presidente della Repubblica nel corso del settennato che sta per volgere al termine, non è difficile convincersi che costui abbia attuato dei clamorosi strappi con prassi istituzionali che solo fino a poco tempo fa erano unanimemente considerate intoccabili all’interno delle nostre istituzioni repubblicane.
Non è mancato in questi anni chi ha accusato apertamente Napolitano di avere agito non soltanto in violazione delle prassi della nostra Costituzione materiale ma di avere di gran lunga travalicato i confini delle sue stesse funzioni e prerogative formali, così come codificate all’art. 87 della nostra Carta fondamentale (3): a tal proposito, merita di essere quanto meno menzionata la clamorosa azione di cui si è resa protagonista l’avvocatessa sarda Paola Musu, che il 2 aprile del 2012 ha denunciato penalmente Giorgio Napolitano per diversi reati, tra i quali spicca quello di attentato contro la sovranità, l’indipendenza e l’unità dello Stato Italiano, previsto dall’art. 241 del codice penale.
La coraggiosa professionista cagliaritana, prendendo spunto dal controverso passaggio politico-istituzionale che nel novembre 2011 aveva visto il tecnocrate Mario Monti proiettato, nel giro di poche ore, dalla cattedra del tempio accademico del pensiero neo-liberista italico (la Bocconi) direttamente a Palazzo Chigi, ha addebitato a Giorgio Napolitano la responsabilità per avere promosso un percorso politico-istituzionale che ci starebbe conducendo da essere una Repubblica democratica, in cui la sovranità appartiene al popolo (come icasticamente recita l’art. 1 della Costituzione) ad una Repubblica aristocratica, cioè quella in cui “alcune famiglie vi godano la suprema potestà” (Montesquieu, “l’èsprit des lois”).
Ma senza volere avventurarci nell’esaminare la fondatezza del rilievo penale adombrato dalla Musu nei comportamenti assunti dall’inquilino del Quirinale, è fuor di dubbio che questo settennato si sia caratterizzato per delle situazioni inedite che mai prima d’ora avevano contraddistinto l’operato di un Presidente della Repubblica.
Nel nostro ordinamento, la figura del Capo dello Stato, pur rivestendo anch’essa una natura (ovviamente) “politica”, fu concepita dai padri costituenti come quella di un mero arbitro, di un soggetto primus inter pares estraneo alla competizione tra le forze politiche proprio in quanto supremo garante del funzionamento dei meccanismi della democrazia parlamentare.
Nessuna norma scritta o prassi prevedono, ad esempio, che il Presidente della Repubblica possa intervenire nel dibattito tra le forze democratiche del Paese, prendendo posizione a favore o contro una particolare scelta politica; men che meno, nessuna norma o prassi prevedono che il Capo dello Stato possa interagire direttamente con gli altri organi costituzionali a carattere decisionale (il Parlamento e l’Esecutivo) al fine di orientarne le scelte fondamentali attorno alle quali si deve sviluppare la libera discussione da cui fare infine scaturire la decisione democratica (4).
Giorgio Napolitano, purtroppo per noi, ha fatto entrambe le cose: non soltanto ha agito da vero e proprio attore politico, condizionando pesantemente il “libero agire” delle forze politiche in momenti delicatissimi della dialettica democratica (in cui egli avrebbe dovuto limitarsi ad essere un silenzioso osservatore) ma ha avuto perfino l’ardire di rivolgersi direttamente al Parlamento ed al Governo (creando un precedente gravissimo), intimando loro l’adozione di precise scelte politiche attorno a questioni fondamentali in materia macroeconomica!
Due su tutti gli episodi che segnano una rottura con una lunga prassi a cui tutti i precedenti inquilini del Quirinale ci avevano abituati: la guerra di Libia (marzo 2011) e la formazione del Governo dei banchieri a guida Mario Monti (novembre 2011).
Quanto alla prima vicenda, difficilmente potremo dimenticare l’immagine di un Presidente della Repubblica che, in occasione dei festeggiamenti per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia, nel retrobottega del Teatro dell’Opera a Roma, intima al riluttante Berlusconi di dare il suo pieno avallo ai bombardamenti NATO sulla Libia di Gheddafi.
Lo so, era già avvenuto che l’Italia partecipasse all’assalto militare ad una nazione sovrana, spacciando ipocritamente tale crimine per una “missione di pace”. Ma mai era avvenuto che lo sfregio all’art. 11 della Costituzione fosse perorato, incoraggiato e vivamente caldeggiato in prima persona proprio da colui il quale dovrebbe ergersi a supremo garante della nostra grundnorm.
È vero, già nel 1999 era accaduto che il primo governo guidato da un ex comunista (D’Alema) fornisse il proprio avallo all’assalto imperialista alla Jugoslavia di Milosevic ma in quel caso lo scaltro Ciampi si era limitato a chiudere tutti e due gli occhi, senza essere l’artefice diretto di una scellerata decisione politica già presa da D’Alema medesimo col pieno apporto di Francesco Cossiga (il quale nelle sue memorie parla apertamente di una scelta assunta nel corso di una “cena a tre” con l’ambasciatore U.S.A. a Roma).
Ma anche la sfrontata risolutezza con la quale Napolitano si è rivolto al Governo-Berlusconi ed allo stesso Parlamento italiano per invitarli ad ossequiare il prima possibile i contenuti della lettera-diktat dell’agosto 2011 a firma Draghi-Trichet grida giustizia.
Contrariamente a quanto viene fatto credere all’opinione pubblica, le scelte di cosiddetta austerity economica “suggeriteci” dalla Troika B.C.E.-F.M.I. e dalla “sergente di ferro” Angela Merkel, lungi dal costituire degli impegni cui l’Italia doveva necessariamente tenere fede in ossequio a non ben precisati princìpi superiori, costituivano delle decisioni di politica economica che, in una democrazia che è tale non solo sulla carta, non possono che costituire il frutto di una meditata e prolungata discussione tra le forze parlamentari, anziché il risultato di una mera imposizione autoritaria: è sotto gli occhi di tutti, dunque, che Giorgio Napolitano, in tale precisa occasione, ha agito apertamente - come mai prima d’ora era accaduto nella storia d’Italia – non già da supremo garante degli interessi del popolo italiano bensì da curatore degli interessi del capitalismo finanziario europeo e dei suoi organismi tecnocratici sovranazionali.
La gravità senza precedenti dello strappo istituzionale di cui si è reso protagonista Napolitano sta tutta qui: se alcuni suoi predecessori avevano forse trescato nell’ombra per condizionare l’andamento della vita politica del Paese, egli ha agito sfrontatamente e spudoratamente, alla luce del sole.
E così, mentre il vecchio Antonio Segni, nel 1963, aveva avuto il pudore istituzionale di “amoreggiare” dietro le quinte coi Carabinieri del Generale De Lorenzo al fine di scoraggiare con ogni mezzo l’insediamento del gabinetto di centro-sinistra a guida Moro-Nenni (pagandone poi le conseguenze con la sua improvvisa defenestrazione dal Quirinale), Lord George non ha avuto alcun timore di dettare al Parlamento, davanti alle telecamere, quale dovesse essere il Governo da insediare a Palazzo Chigi al posto di Berlusconi, da chi tale nuovo Esecutivo dovesse essere diretto e quale programma politico esso dovesse pedissequamente perseguire.
Se il vecchio Leone, negli anni ’70 del secolo scorso, aveva dovuto reagire con pudico imbarazzo alle aggressioni della stampa dell’epoca che lo volevano protagonista di ogni sorta di scandalo, il nostro King George non ha avuto alcun pudore nell’intimare al C.S.M. l’inutilizzabilità di scottanti intercettazioni telefoniche che lo vedevano come (indiretto?) protagonista.
Sì, lo so a cosa pensate.
Anche Francesco Cossiga, il “gattosardo”, si era caratterizzato, specie nell’ultima parte del suo settennato, per l’utilizzo di un linguaggio poco consono a quello di un arbitro imparziale nella contesa politica. Ma, a ben rivedere i fatti dell’epoca del crepuscolo della Prima Repubblica (1991-92), si capisce che i latrati disordinati del Presidente dell’epoca costituivano un grido quasi irrazionale di un uomo ferito nell’orgoglio il quale, avendo bene compreso che qualcuno “molto in alto” stava azzerando tutti i protagonisti di primo piano della scena politica del tempo, cercava disperatamente di ritagliarsi almeno un posto al sole all’interno della nascente Seconda Repubblica, evitando di fare la fine riservata a Craxi e ad Andreotti. Questo era, a mio avviso, il reale intento delle sue “picconate”.
Ma è difficile affermare che Cossiga, con le sue esternazioni spesso scriteriate (ed anche probabilmente favorite da una psiche caratteriale non proprio immune da squilibri), ebbe ad influenzare in modo decisivo gli eventi di quella fase della storia repubblicana: ben altre erano allora le forze in campo a dirigere le danze.
Quel che colpisce dell’attivismo di Napolitano è che costui, a differenza di Cossiga, è sempre apparso lucidissimo nei suoi freddi intenti di mestatore del gioco politico.
Soltanto i poco e male informati possono sorprendersi di un atteggiamento così servizievole e zelante verso i Poteri Forti come quello messo in atto da Re Giorgio nel corso del suo settennato.
Non tutti sanno che a costui toccò il compito, nel 1978, di compiere il primo viaggio negli Stati Uniti di un uomo del Comitato Centrale del P.C.I., inaugurando una lunga stagione di fiancheggiamento che avrebbe portato il (fu) Partito della classe operaia italiana a diventare il supremo garante in Italia degli interessi del capitalismo finanziario trans-nazionale.
Dopo avere trovato gli “agganci” giusti negli States, il Nostro fu battezzato da Henry Kissinger come “il mio comunista preferito” e compì un lungo lavoro di limatura dei rapporti che avrebbe portato i dirigenti dell’ex-PCI, tra il 1989 ed il 1992, a stipulare degli accordi strategici di lunga durata con i Poteri Forti (non solo americani) della politica e dell’economia: da una parte gli ex comunisti garantirono la loro inerzia silenziosa di fronte all’avvio del ciclo delle privatizzazioni, dall’altra parte ottennero in cambio quella legittimazione a partecipare al governo del Paese che fino ad allora non avevano potuto avere a causa del loro legame storico con l’Unione Sovietica.
Dio solo sa quanti e quali sciagure sono derivate al nostro Paese da questo genere di “patti”.
Dio solo sa quante altre ne deriveranno prima che la massa critica degli italiani possa iniziare davvero a capire tutto ciò.
Voglio chiudere ricordando un’ultima perla lasciataci dal “comunista preferito da Kissinger” (ed anche dagli israeliani): in un incauto discorso pubblico pronunciato nel gennaio 2007, il Nostro ebbe a dichiarare il proprio sdegnato No all’antisemitismo, “anche quando esso si travesta da antisionismo”, contribuendo così ad alimentare una imperdonabile e dannosissima confusione semantica tra due concetti che è sempre bene tenere distinti, quelli di ebraismo e sionismo (5).
Domenica 30 Dicembre 2012
Giuseppe Angiuli
Giuseppe Angiuli
1
E’ abbastanza noto il pettegolezzo che vorrebbe Giorgio Napolitano
figlio di Re Umberto II di Savoia, il quale lo avrebbe generato nel
corso di una relazione extraconiugale avuta con una delle dame di
compagnia della regina Maria Josè.
2
Operando un parallelismo non del tutto fuori luogo, i sostenitori
ideologici della recente destabilizzazione della Libia di Gheddafi
ad opera della NATO facevano spesso riferimento ai poteri
autocratici che il colonnello esercitava di fatto nel sistema
politico della nazione africana (ossia nella Costituzione
materiale di quel Paese), ancorchè egli non ricoprisse
formalmente alcuna carica istituzionale se non quella simbolica di
“leader della Gran Giamahiria Araba Libica
Popolare Socialista”.
3
Art. 87: “Il
Presidente della Repubblica è il Capo dello Stato e rappresenta
l'unità nazionale. Può inviare messaggi alle Camere. Indice le
elezioni delle nuove Camere e ne fissa la prima riunione. Autorizza
la presentazione alle Camere dei disegni di legge di iniziativa del
Governo. Promulga le leggi ed emana i decreti aventi valore di legge
e i regolamenti. Indice il referendum popolare nei casi previsti
dalla Costituzione. Nomina, nei casi indicati dalla legge, i
funzionari dello Stato. Accredita e riceve i rappresentanti
diplomatici, ratifica i trattati internazionali, previa, quando
occorra, l'autorizzazione delle Camere. Ha il comando delle Forze
armate, presiede il Consiglio supremo di difesa costituito secondo
la legge, dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere.
Presiede il Consiglio superiore della magistratura. Può concedere
grazia e commutare le pene. Conferisce le onorificenze della
Repubblica”.
4
L’unico strumento che la Costituzione affida al Capo dello Stato
per interloquire direttamente col Parlamento è costituito dal
messaggio alle camere, al quale diversi Presidenti sono ricorsi in
passato per raccomandare il rispetto di meri princìpi a carattere
generale, come ad esempio fece Ciampi nel 2002 perorando il rispetto
della democrazia nell’informazione.
5 commenti:
Ho letto con interesse l'articolo su Giorgio Napolitano,e lo sotoscrivo in toto. Ma dall'attenta analisi manca a mio giudizio l'ennesima perla di Re Giorgio. La nomina a senatore a vita di Mario Monti, che a mio personale giudizio, e dopo aver letto la costituzione Italiana su tali nomine,non riccorevano certamente i requisiti necessari.
Grazie per l'ospitalità.
Luigi. Padova.
Sono arrivati due commenti fotocopia che criticano l'articolo. Nulla contro le critiche ma vanno argomentate. Inoltre chi critica dovrebbe avere il coraggio di mostrarsi con nome e cognome, altrimenti non siamo incentivati a pubblicare.
Dall'esame dei suoi comportamenti avevo sempre avuto il dubbio che Napolitano fosse un comunista "falso" ma non avevo mai avuto il coraggio di comunicare tale impressione nemmeno a me stesso tanto mi sembrava irrispettosa nei confronti del nostro Capo dello Stato.
Purtroppo la lucida disamina che ho appena letto ha fugato ogni mia residua perplessità e mi domando se noi italiani non abbiamo una qualche tara genetica che ci perseguita e che ci impedisce di capire con chi abbiamo a che fare e, soprattutto, ci impedisce di reagire tempestivamente ed opportunamente.
Non sarà che siamo veramente un popolo "bue" come ci definiva il Machiavelli ?
Che peccato !!!
Perfettamento d'accordo con l'autore dell'articolo. Napolitano è peggiore finanche di Leone e Cossiga. Che dire? È di oggi la notizia che ha "ordinato" alle camere di concedere l'aministia a B, per ripagarlo di non aver fatto cadere Letta.
Il fatto che venga dal PCI non significa nulla, perchè Napolitano in gioventù è pure stato fascista (nel GUF).
Pienamento d'accordo sul fatto che Giorgio Napolitano possa definirsi il peggior presidente che l'Italia ha avuto dalla fondazione della Repubblica, fondata sul Lavoro. Invito a leggere le pagine da me dedicate, fin dall'infausta sua nomina al Colle ad oggi, presenti in internet sui siti di mia titolaritá:
" http://www.tribunaledelpopoloweb.org/pagina_napolitano.pdf " - " http://www.vergogna-italiana.info/pagina_napolitano.pdf " - "http://www.magistropoli.it/pagina_napolitano.pdf " - collegati, tutti, con quello dedicato al suo Consigliere Militare e Segretario del Consiglio Supremo di Difesa (spese militari, in particolare gli inutili F35)con la " http://www.magistropoli.it/quinta_letteraperta_moscamoschini.pdf ". Reponsabile dei contenuti> Mario BROGLIO MONTANI - Calle Gral Juan Arenales, 2154 B7600EGB Mar del Plata - Repubblina Argentina. Skype> mario.brogliomontani
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