LE ILLUSIONI DI SPOSTAMENTO
A SINISTRA DI BERSANI
di Riccardo Achilli
La disperazione è cattiva consigliera.
Circolano in queste ore post speranzosi di tanti compagni che ritengono che una eventuale discesa in campo di Monti con i moderati possa obbligare Bersani ad una virata a sinistra. Il ragionamento è il seguente: è semplicista, e direi meccanicista, privo cioè di una analisi che non si fermi alla superficie. Monti, con la sua presentazione al Ppe, ha indubbiamente marcato la sua discesa nell'agone politico (e su questo non ci sono dubbi). Lo ha fatto rivolgendosi alla componente moderata dell'arco politico europeo, ad un partito, come il Ppe, che raccoglie l'adesione del Pdl e dell'Udc, e quindi segnalando che il suo interlocutore politico naturale è il centro-destra liberale (e anche su questo non ci sono dubbi). La conseguenza, a mio avviso erronea, che tali compagni traggono dalla lettura di questi due fatti, è che implicitamente Monti abbia accettato l'offerta di Berlusconi di candidarsi come leader di uno schieramento moderato che includa Pdl e centro (Udc, Fini, Rutelli), e che ciò costringerà il centrosinistra, per smarcarsi politicamente, ad adottare uno schema programmatico più orientato a sinistra, più socialdemocratico, magari anche grazie all'esodo di qualche cattolico centrista, come Fioroni, in direzione dello schieramento contrapposto, attratto dalla sirena di Monti.
Tale ragionamento non ha fondamento. Intanto Monti non accetterà mai di fare il leader di uno schieramento politico perdente: ad oggi, Pdl e centristi sono dati, dai sondaggi, al 22% circa. Il potenziale di trascinamento di una lista-Monti può, sempre secondo i sondaggi ed i risultati conseguiti da Renzi alle primarie, trascinare un ulteriore 10-12% di elettorato, evidentemente strappato alla componente elettorale moderata e centrista del PD. In tutto, si tratta di un 32-34%, assolutamente insufficiente per vincere, e lontanissimo da una percentuale accettabile, con circa due mesi che ci separano dal voto. E certo è fuori questione che la Lega Nord partecipi a un simile schieramento, come ha ripetuto chiaramente Maroni. In cambio di una sconfitta politica certa, Monti si ritroverebbe ad entrare in Parlamento come leader formale di una coalizione il cui principale azionista è Berlusconi, che ne condizionerebbe l'azione, appannandone in modo letale il prestigio politico. Sarebbe di fatto la fine, per Monti. Casini, che su queste cose la vede sempre lunga, ha già liquidato l'offerta di Berlusconi a Monti come il prodotto di un vaneggiamento, assicurando che Monti ha già detto di no.
Inoltre il ragionamento meccanicistico di chi pensa che la discesa in campo di Monti sposterà a sinistra il PD non tiene minimamente conto della natura di classe e politica del PD. Tale partito, fondato prima della grande crisi, per dare rappresentanza ad un ceto medio culturalmente imborghesito (anche se largamente proletarizzato sotto l'aspetto dei rapporti sociali di produzione) proponendo un patto interclassista fra lavoro e capitale, utile per gestire una società benestante e non conflittuale, si è trovato spiazzato dalla crisi economica, e quindi dalla potenziale polarizzazione della società, indotta, ovviamente, dalla riconfigurazione ad "L" della curva di distribuzione dei redditi (curva di Lorenz). Ed ha scelto di dialogare con quella parte di piccola borghesia produttiva ancora benestante, con la pancia impiegatizia e dei pensionati del ceto medio che ancora galleggia (sia pur con molte più difficoltà economiche rispetto al passato) e con i giovani, trasversalmente alle classi. Ad ognuno ha promesso una mediazione fra rigore e protezione, che di fatto è in larga misura un inganno, nel senso che sarà semplicemente la prosecuzione del montismo, con qualche "pezza a colori" collocata a difesa delle situazioni sociali più marcatamente e palesemente ingiuste (esodati, utenti più poveri del SSN, sono solo alcuni esempi; da notare che la tutela di questi segmenti specifici non comporterà né una revisione sostanziale della penalizzante riforma pensionistica della Fornero, né una progressiva privatizzazione del servizio sanitario, per quelle fasce di utenza appena al di sopra dell'indigenza) e di una promessa, fatta ai giovani, di un mercato del lavoro futuro più dinamico e meritocratico (altra sciocchezza: non esiste alcun legame empiricamente rilevabile fra aumento della precarietà sul mercato del lavoro ed aumento del suo dinamismo e delle sue opportunità in forma universalista e puramente meritocratica; è anzi vero il contrario).
Naturalmente, queste poche pezze a colori non serviranno a contrastare l'ulteriore declino del benessere medio, e l'aumento delle ingiustizie distributive, poiché saranno concentrate su segmenti sociali molto specifici, mentre la gran parte della società continuerà a soffrire di impoverimento legato al proseguimento di politiche liberiste di austerità finanziaria. Lo squadrone Renzi/Bersani mira a questo: le primarie hanno avuto, tra l'altro, la funzione di portare in cascina al PD, tramite Renzi, elettori di destra delusi dal populismo berlusconiano.
In questo contesto, la discesa in campo di Monti potrà produrre soltanto una "rincorsa" a riconquistarlo. Bersani, con la sua intervista di ieri, in cui promette esplicitamente a Monti un ruolo politico di primo piano per il futuro, ha già avviato tale rincorsa, che non può che portare ancora di più a destra il PD. D'Alema ha rincarato la dose, dicendo che la candidatura di Monti sarebbe un grave errore. Bersani non può infatti permettersi un ritorno alle radici socialdemocratiche. Perderebbe la componente centrista del PD, pronta in quel caso a traslocare con Casini, perderebbe quel 10-12% di voti montisti nel PD e rappresentati in larga misura da Renzi, e quindi perderebbe le elezioni, autocondannandosi alla fine della sua carriera politica personale.
Qualora Monti, come è possibile, per non dire probabile, decidesse di scendere in campo esclusivamente come leader di uno schieramento centrista, che aggreghi Casini, Montezemolo e Fini, Bersani è già pronto a ragionarci insieme, a realizzare quindi una "grosse koalition" senza il Pdl di Berlusconi, in modo tale da non perdere il contatto con i voti centristi fuggiti dal PD verso il polo guidato da Monti, e ritrovarsi comunque al Governo. L'unica condizione che pone Bersani, infatti, è che non vi sia una alleanza che includa anche Berlusconi. Una alleanza fra polo centrista/montista, PD ed alcuni suoi addentellati (sicuramente il PSI) in grado anche di attrarre voti in uscita dal Pdl, grazie al carisma di Monti su elettori pdiellini in fuga dal declino di Berlusconi, arriverebbe facilmente al 46-47%, come minimo. Magari a quel punto la SEL potrebbe entrare in tale compagine, o magari soltanto fornirle sostegno esterno, ed il gioco sarebbe fatto. La maggioranza sarebbe stabile, e sarebbe una maggioranza ovviamente legata a doppio filo alla leadership di Monti, che si troverebbe così con le mani completamente libere per proseguire nel massacro sociale.
Con la sua discesa in campo nel Ppe, Monti ha quindi soltanto perseguito, con successo, due obiettivi: in primis, con la kermesse comunicativa dei leader europei del Ppe stretti attorno a Monti e freddi, se non addirittura esplicitamente polemici con Bersluconi, il Professore ha definitivamente spiazzato il Cavaliere, offuscandolo e sostituendolo come leader in pectore della destra italiana agli occhi del palcoscenico europeo (che è l'unico palcoscenico che interessi realmente a Monti) ma anche agli occhi di elettori pdellini non più legati al carisma declinante del Cavaliere. Inoltre, ha messo "il pepe al culo" nella dirigenza del PD, esortandola ad alzare la sua offerta politica per mantenere il rapporto con lui. Innalzamento dell'offerta politica che significa una sola cosa: ulteriore spostamento a destra del centrosinistra.
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