di Lorenzo Mortara
RSU Fiom-Cgil
Con la caduta di Monti ad opera di Berlusconi, sono stati in molti a sbizzarrirsi nel descrivere il prepotente ritorno sulla scena del Caimano. Qualcuno ne ha approfittato per i suoi soliti piagnistei sentimentali e per dare la colpa ai comunisti che lo rimettono ciclicamente in sella, qualcun altro, più razionale, ha provato a scandagliare i retroscena dell’avvenimento offrendo egregie analisi del fiuto politico del Cavaliere. Pochi però hanno preso la palla al balzo per fare anche i conti con l’illusione più grossa che il Governo Monti, suo malgrado, aveva messo in testa agli idealisti cronici. Con la caduta del Governo tecnico, infatti, cade o dovrebbe cadere, se solo la logica avesse ancora un senso, anche il mito secondo il quale l’Italia ha perso la sua sovranità nazionale e secondo il quale il Parlamento non decide più “nada” perché tutto ormai è in mano alla Troika, e cioè all’asse Parigi-Berlino di cui saremmo sudditi.
«Monti
è stato messo lì dalle banche europee, il Parlamento non conta più
niente perché le decisioni ormai vengono prese altrove», questo più
o meno il ritornello che ha accompagnato il tecnico Monti dal suo
insediamento fino al giorno della caduta. I più invasati hanno
parlato addirittura di golpe finanziario! Ora però, se fosse vero
che un fantomatico imperialismo
europeo
a trazione tedesca, è quello che ha imposto Monti all’Italia e
quindi anche a Berlusconi, qualcuno ci dovrebbe spiegare con quale
potere oggi Berlusconi lo faccia cadere, visto che, persa la
sovranità, e per di più senza alcun soccorso di piazza, anche
Berlusconi avrebbe dovuto sottostare alle imposizioni della Troika. A
questo riguardo, l’unica spiegazione possibile, sarebbe quella di
un Berlusconi prima sfiduciato dalla Troika e ora, non si sa per
quale motivo, di nuovo investito se non della sua fiducia, almeno
della sua benevolenza. Non so se sia chiaro per i profeti della
sovranità perduta, che se Berlusconi prima era schiavo della Troika
al pari di tutti i sudditi italiani, ora facendo cadere Monti, fa
cadere di fatto la Francia e la Germania. Con la fine del Governo
Monti, dunque, è finita anche l’invasione dello straniero. La
caduta di Monti equivale al giorno della Liberazione. Per il golpe di
un potere così assoluto e dittatoriale come quello finanziario, è
uno smacco. Pensate: una dittatura così feroce da aver scalzato
parlamenti e partiti, così ferrea da essere pressoché onnipotente,
così assoluta da aver smantellato tutte le sovranità nazionali, e
che nonostante tutto questo si fa scalzare e buttare a terra, non da
una rivolta armata e nemmeno dal sangue di una violenza almeno pari
alla sua, bensì dalla prima innocua e miserabile astensione dell’ex
premier, il quale, in teoria, non avrebbe potuto far niente in quanto
ormai ridotto pure lui a suddito obbediente. Per essere quella più
feroce della Storia – il golpe che più golpe non si può! –
bisogna dire come minino che la dittatura della Troika è anche la
più fessa, stupida e cretina. Solo la dittatura delle oche avrebbe
potuto farsi scalzare con così poco. A meno che, naturalmente,
Germania e Francia non abbiano deciso di scaricare Monti per saltare
di nuovo in sella a Berlusconi. Ma questa non è nemmeno un’ipotesi,
questa è solo fantascienza, e nemmeno della migliore. Perché mai,
infatti, la Troika avrebbe dovuto togliere l’appoggio a Monti così
fedele alle sue ricette? La Troika continua a preferire Monti a
Berlusconi, ma il problema è che in Italia non comandano Francia e
Germania, comanda oggi come sempre la borghesia italiana, di cui
Berlusconi è uno dei pezzi più importanti e decisivi.
Marx
da qualche parte ha detto che non è dalla scimmia che possiamo
risalire all’uomo, ma è dall’evoluzione dell’uomo che possiamo
dedurre la sua origine scimmiesca. Alla stessa maniera, con la caduta
prematura del Governo Monti, disarcionato proprio sul traguardo da
Berlusconi, ora che il processo è giunto alla fine, possiamo vedere
con molta più chiarezza le sue origini. È la borghesia italiana ad
aver fatto pressioni affinché Berlusconi cedesse il posto a Monti.
Perché come in tutte le crisi, una parte della piccola borghesia
deve essere sacrificata per il bene del Capitale. Con la piccola
borghesia leghista che recalcitrava di fronte alle misure da
prendere, per la grande borghesia bisognava riunire le due ali più
grosse, sinistra e destra, per potere schiacciare al meglio il
proletariato. Berlusconi, essendo egli stesso un pezzo da novanta
della borghesia italiana, ha resistito fin che ha potuto, comprando
tutti gli Scilipoti disponibili al bordello parlamentare, infine s’è
convinto che tutto sommato poteva anche farsi un momento da parte,
giusto il tempo di far fare il lavoro sporco al Tecnico, e
ripresentarsi sulla scena fresco e pulito come una rosa, pronto a far
dimenticare di nuovo tutto di sé e a rigiocarsi la partita con tutte
le carte del mazzo, se non addirittura con qualche carta in più.
Già, perché con questa mossa, Berlusconi s’è di fatto spostato
alla sinistra del PD, tanto che le due ali del Capitale, destra e
sinistra, appaiono ora invertite. Non sarà facile, ma nemmeno
impossibile per il Cavaliere strappare fior di elettori a Bersani.
Perché se all’inizio della sua avventura politica Berlusconi
poteva presentarsi come il baluardo contro il comunismo, oggi non
avrà problemi a reclamizzare la sua nuova versione di Cavaliere
popolare contro le misure della Troika, non in balia della sua
sudditanza. E come killer ufficiale del Governo Tecnico, per questa
sua relativa indipendenza, non avrà grandi difficoltà a respingere
le critiche dei piddini che bollerà come critiche di semplici servi,
di sudditi incapaci di governare, perché privi delle doti di comando
che spettano ai capi scelti come lui. Con la testa di Monti in mano,
se si giocherà bene le carte, Berlusconi potrà anche riuscire
nell’impresa di mettere in ginocchio Bersani. Questo però non
significa che Bersani abbia sbagliato qualcosa o che Berlusconi sia
migliore. Semplicemente Bersani e il PD non sono altro che personale
politico della borghesia, colf del Capitale, Berlusconi invece non è
soltanto un servitore zelante del padronato, ne è anche uno dei suoi
componenti più influenti. Bersani può solo ricevere ordini dalla
borghesia, Berlusconi può anche provare a darli. La borghesia deve
cioè mediare con Berlusconi tanto quanto non sia tenuta a farlo con
Bersani. Bersani dunque non poteva staccare la spina a Monti, la
borghesia non glielo avrebbe mai perdonato. Ma la borghesia sarà
costretta, nel caso, ad essere indulgente verso Berlusconi, perché
non potrà mai tagliare i ponti con una parte consistente di sé
stessa. Anche se questa parte in Europa è considerata meno di zero.
Infatti, non è poi così importante per la borghesia italiana come
sia considerato in Europa Berlusconi, ma quanto pesi lei al tavolo
della spartizione del profitto rispetto alle altre borghesie. E il
peso di ciascuna borghesia nazionale non si misura da quanto i suoi
rappresentanti siano più o meno accettati dagli altri camerieri
internazionali del Capitale globale, ma dalla quantità di profitto
estorto al proletariato. Berlusconi, del resto, non è mai entrato
nemmeno nel gotha della borghesia italiana che lo considera da sempre
un parvenu, un volgare commerciante. Ma anche se la borghesia non lo
fa entrare nei salotti della nobiltà imprenditoriale, è costretta
ad accettarlo nell’unica cosa decisiva che ha: il portafogli. Il
portafogli di Berlusconi, per la borghesia, è garanzia sufficiente
che una volta al potere, pur tutelando i suoi interessi personali, lo
farà sempre per conto della grande borghesia e come suo
rappresentante. Berlusconi insomma andrà avanti con la macelleria
sociale di pari passo con la tutela di sé stesso. Proprio per questo
è difficile che Monti si ricandidi. Difficilmente la borghesia
spaccherà in tre il suo fronte, rendendo più facile l’ascesa ai
grillini. Più facile che la borghesia faccia il tifo in silenzio per
Bersani, ben sapendo che in caso di vittoria di Berlusconi non avrà
grandi problemi ad accordarsi con lui. La probabile uscita di scena
di Montezemolo sembra avvalorare questa affermazione. Senza Monti,
Montezemolo non se la sente di scendere in politica. Traduzione:
niente guerra a Berlusconi. E non fare la guerra al Cavaliere è un
modo come un altro per fargli capire che con lui la borghesia in un
modo o nell’altro si riconcilierà.
Nello
scenario appena descritto, come si vede, c’è ben poco spazio per
l’ombra europea. Eppure, obbietta il dietrologo golpista,
Berlusconi continuerà la macelleria sociale imposta dalla BCE. Sì
Berlusconi andrà avanti con la macelleria sociale, così come ci
andrà avanti Bersani, chiunque tra loro vincerà le elezioni. Ma non
perché la macelleria sociale sia stata imposta dalla BCE, la BCE
infatti non ha imposto proprio niente, ma perché tutte le politiche
di massacro sociale della BCE hanno il sostegno e l’approvazione di
tutte le borghesie d’Europa e dei loro partiti, per la semplice
ragione che dietro le politiche della BCE, dalla famosa lettera
Draghi-Trichet fino al Fiscal Compact eccetera, altro non c’è che
lo sfruttamento selvaggio dei lavoratori. E nelle lettere e politiche
summenzionate, se solo si sapesse leggere in termini di classe, c’è
scritto a caratteri cubitali che la crisi dei padroni deve essere
pagata in toto dal proletariato d’Europa. Perché dunque i
capitalisti d’Europa, d’Italia o di Spagna, dovrebbero sentirsi
schiavi di politiche che non li toccano di striscio e li proteggono a
spada tratta? Perché dovrebbero ribellarsi? Lo sfruttamento a sangue
del proletariato tutto, accomuna tutte le borghesie d’Europa. Ecco
perché Berlusconi Monti e Bersani appaiono proni all’Europa anche
se non lo sono. Perché apparire succubi ai diktat della Troika, è
un modo molto efficace per la borghesia nostrana, come greca o
spagnola, per fare la sua politica di classe e di massacro sociale,
scaricandola pure sulle spalle della Merkel. La politica di massacro
sociale, cioè di accumulazione senza investimento di capitale, senza
sforzo, tramite semplice prelievo dalle tasche proletarie, aumenta il
potere economico della borghesia nazionale. Finché ogni borghesia
riuscirà a scaricare al proletariato di casa la crisi del suo
profitto, avrà maggior spazio al tavolo europeo per la spartizione
imperialistica del bottino. Questo ha fatto Monti, nient’altro: ha
riguadagnato o ha tentato di riguadagnare all’Italia maggior spazio
al tavolo europeo, nell’unico modo in cui la borghesia sa farlo:
coi conti a posto, ma non quelli della riduzione del debito, che è
sempre il debito del proletariato verso la borghesia, bensì quelli
della riscossione del credito di plusvalore estratto al popolo
lavoratore. Finora questo lavoro l’ha fatto Monti perché anche la
parte di borghesia mafiosa, facendo bene i suoi conti, ha ritenuto
sensato farsi un momento da parte, per accelerare anche la sua
accumulazione. Ora, ad accumulazione pienamente avvenuta, la
borghesia mafiosa scarica una pedina che è anche la sua, e si sente
di nuovo pronta per riprendere in mano le redini da sola.
Difficilmente l’impresa riuscirà, ma ci sono buone possibilità
che con questa mossa, Berlusconi abbia gettato le basi per ridurre al
minimo le perdite. E questo significa che ha gettato le basi per
accelerare anche la distruzione definitiva del PD che avverrà,
verosimilmente, nel giro di qualche mese dalla presa del potere. La
crisi che avanza, infatti, salirà come una cancrena senza serie
possibilità di rimedio. Dalla Grecia si sposterà all’Italia per
risalire verso Spagna e Francia e penetrare infine nel fortino
tedesco. Nessun Paese potrà salvarsi. Altre illusioni attendono
dunque di venire spazzate nell’anno domine 2013. Oggi registriamo
la fine del mito della sovranità nazionale perduta. Non sappiamo
cosa diranno i suoi profeti. Se avessero un po’ di logica, dopo
aver gridato al golpe montiano, oggi dovrebbero salutare in
Berlusconi il salvatore della patria. Ma non lo faranno, finito un
mito ne inventeranno un altro. Per parte nostra continueremo ad
attendere il proletariato. È per la sua mancanza che governi e
parlamenti appaiono svuotati come in effetti sono della sua
rappresentanza. Tuttavia, questo non è dovuto alla crisi storica del
parlamentarismo, altro mito sovrastrutturale che non esiste, ma alla
sconfitta storica e nient’affatto definitiva della classe operaia.
Con il crollo dello stalinismo, anche la continua rianimazione che
questo aveva garantito alla socialdemocrazia è venuta meno, e la
socialdemocrazia si è sentita finalmente libera di spostarsi
decisamente a destra. I laburisti si sono trasformati repentinamente
in nuovi labour neo-liberali. In questo modo, il fetido cadavere
socialdemocratico, si è avviato in tutte le sue varianti alla
definitiva sepoltura. Solo la rinascita dello stalinismo potrebbe
rianimarlo un’altra volta, ma già in Grecia vediamo che il
giochino preferito degli stalinisti, parlare rosso per fare nero o il
rosa o l’arancione, non gli riesce più. Non sono più gli
stalinisti a raccogliere i frutti della rabbia popolare, di
conseguenza anche le nullità socialiste non hanno più niente da
raccogliere dalle briciole dello stalinismo. La caduta verticale del
KKE greco, questa lurida appendice dell’uomo d’acciaio, è
inversamente proporzionale alla crescita rivoluzionaria della
protesta in piazza Syntagma. A breve una nuova rappresentanza operaia
apparirà all’orizzonte. E chi dal lento assopimento della
partecipazione elettorale aveva tratto le sue conclusioni
gradualiste, sarà smentito, come in effetti è già stato smentito
laddove, come in Venezuela e Bolivia, la lotta di classe ha ripreso a
soffiare. Anche per queste cose infatti, vale la legge della
dialettica, della trasformazione della quantità in qualità. Al calo
della partecipazione, seguirà un brusco rialzo. Dipende dall’audacia
delle nuove sinistre di massa quanto questo salto sarà in avanti, o
quanto rifluirà immediatamente all’indietro per la delusione. Le
illusioni riformiste di Syriza pendono decisamente per la seconda
ipotesi, ma se Syriza non risolverà a breve le sue contraddizioni
interne, tanto meno a breve il capitalismo risolverà le sue. Syriza
o la sua sinistra, grazie all’impasse del capitalismo, sarà
costretta a prendere misure audaci, magari non rivoluzionarie, ma
comunque sufficienti a rianimare una sinistra parlamentare. E se si
rianimerà in Grecia, nel giro di poco la sinistra si rianimerà un
po’ in tutta Europa. È lì che il mito della sovranità perduta
incapperà nella sua ultima thule. Quando infatti le prime serie
misure riformiste o rivoluzionarie calcheranno di nuovo la scena
europea, i profeti della perdita di sovranità nazionale e dello
svuotamento delle funzioni parlamentari dovranno inventare un nuovo
vangelo o ricredersi. E non potrebbe essere altrimenti. Il sistema
capitalistico, infatti, nato sull’onda dell’unificazione degli
stati nazionali, non è in grado di superare la camicia di forza che
si è creato con le sue stesse mani. Avendo bisogno di una casa
rifugio per la sua proprietà privata, ha trovato nello Stato il suo
estremo baluardo. Questo significa che al contrario di quanto i
golpisti vogliono far credere, più aumenta la concentrazione
capitalistica e la centralizzazione del comando, tanto più il
terminale del potere borghese è e resta lo Stato unico e sovrano. Il
fallimento dell’Unione Europea, non è che un’ulteriore prova a
dimostrazione. Unite nelle cose secondarie, le borghesie d’Europa
restano divise nelle cose primarie e s’arroccano ognuna attorno al
proprio Stato. Perciò se dentro lo Stato nazionale e il suo
parlamento, si concentra sempre più il potere, depurato pure delle
sue scorie secondarie, alla stessa maniera può concentrarsi una
opposizione che sia veramente tale. E un’opposizione che diventi
maggioranza, otterrà, solo che lo voglia, molte più riforme che in
passato. Non otterrà certo la rivoluzione, impossibile per via
parlamentare, oggi come ieri, ma con la prima riforma otterrà anche
di scrollare dall’apatia milioni di persone che si sono assentate
dalle elezioni. Il ritorno alle urne del proletariato segnerà la
fine degli illusionisti, perché con la prima secca riforma, si
scioglieranno come neve al sole, sgombrandogli il campo e rendendogli
sempre più chiara la vista. Non più dirottato nei mille rivoli
delle presunte alternative, dalle rivoluzioni culturali alla caccia
al vero potere, il proletariato farà ritorno di filata al marxismo.
Perché, in effetti, il marxismo è l’unica alternativa possibile
per il proletariato. Perché una volta cadute tutte le illusioni,
solo il marxismo e niente altro resterà in piedi. Esattamente come
ora, ai suoi piedi, giace già stecchito un altro cadavere freddo come il marmo: il cadavere dei
profeti della sovranità nazionale perduta.
Stazione del Celti
Domenica 9 Dicembre 2012
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