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i Quaderni di Bandiera Rossa "La Storia è finita" di Norberto Fragiacomo
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mercoledì 3 luglio 2013

Crescita e criminalità economico/amministrativa al di là di moralismi e soggettivismi, di Riccardo Achilli



 Riccardo Achilli



Il comportamento schizofrenico dell'italiano medio rispetto alla legalità

E' un luogo comune  frequente che l'Italia, con riferimento alla valutazione sociale dell'endemica criminalità economica che la affligge, sia un paese strano, perlopiù “schizofrenico”, che affianca lunghi periodi di grande sopportazione di fasi denotate da palese e diffusa corruzione e criminalità economica, in cui peraltro la sopportazione è frammista a comportamenti opportunistici diffusi volti ad approfittare del clima di illegalità per avere vantaggi personali anche ai livelli inferiori della società, sulla base del famoso motto “chi mangia fa briciole”. La visione dell'italiano medio, qualunquistica e disincantata rispetto al vertice politico, e facilmente pronta ad utilizzare la corruzione dei vertici come alibi per compiere atti a propria volta disdicevoli, ha riempito la nostra letteratura e la nostra cinematografia recente (basta citare due film di Totò, La banda degli onesti e Gli onorevoli, per avere uno spaccato di questa mentalità; ma secondo me uno spunto di riflessione profondo viene anche dai filmacci di quarta categoria del cinema italiano degli anni Settanta-Ottanta, dalla saga di Villaggio/Fantozzi che ci mostra un proletariato impiegatizio, alla ricerca di un mediocre spazio di quieto vivere, sempre pronto alla servile passività nei confronti di vertici borghesi palesemente corrotti e predatori, ad un altro film, in cui un piccolo imprenditore si dà da fare, fra mille peripezie e facendosi aiutare da un ladro di mestiere, per recuperare una valigia di soldi da consegnare all'onorevole di turno al fine di avere dei permessi di esportazione).
Dopodiché, ad intervalli lunghi, che coincidono con profondi cambiamenti strutturali degli assetti politici del paese, gli italiani si scagliano, o per meglio dire sono scagliati da movimenti politici nati alla bisogna, in una frenetica palingenesi moralistico/giustizialitica e rigeneratrice. E' avvenuto nel 1992/1993, con Tangentopoli e con la fine della prima Repubblica, e sta avvenendo in questi mesi, in cui questa spinta giustizialista/rigeneratrice assume la veste dell'antipolitica e della lotta alla “casta”[1].
Ci sono interpretazioni sociologiche, storiche e persino psicologiche che cercano di dare conto di questo peculiare movimento oscillatorio di questo Paese, con riferimento al suo rapporto con la corruzione e la criminalità economica. Certo ciò dipende dall'anomalia con cui si è formato lo Stato unitario, spesso imposto alle popolazioni e mai realmente sentito come “proprio”, soprattutto in quelle zone, come il Meridione, dove l'imposizione del nuovo Stato in punta di baionetta è stata accompagnata, dai primi governi liberali, da vessatori obblighi fiscali e di altra natura senza contropartite in termini di sviluppo.
Probabilmente il peculiare connotato statalista che il modello di sviluppo economico di questo Paese ha dovuto seguire, soprattutto a causa dell'assenza di una vera e propria rivoluzione industriale e dei difetti di formazione di una borghesia nazionale in grado di innescare una rivoluzione democratico-borghese degna di questo nome, ha accentuato i fenomeni corruttivi e di illegale contaminazione fra sfera pubblica e mercati (l'esplosione di un meccanismo corruttivo sistematizzato, che invade ampie porzioni della macchina amministrativa e politica, avviene, infatti, nel ventennio fascista, dove la statalizzazione dell'economia viene accelerata a seguito della grande crisi degli anni Trenta; i grandi scandali precedenti, come ad esempio quello della Banca Romana del 1888-1892, assumono infatti connotati episodici e non sistematici, e comunque anche tale episodio rivela una commistione fra interessi privati ed interessi pubblici, essendo la Banca Romana uno degli istituti di emissione di moneta del tempo).
Le fasi di riflusso, connotate da spinte moralizzatrici e giustizialistiche, a loro volta, sono legate a crisi economiche profonde: così è stato proprio per la spinta moralizzatrice a seguito del grande scandalo della Banca Romana, esplosa proprio durante la pesante recessione economica del 1887-1888[2]; così è stato degli intenti moralizzatori del primo fascismo, nel mezzo di una gravissima crisi economica nel primo dopoguerra; così è stato per Tangentopoli, esplosa proprio in coincidenza con la recessione economica globale del 1992-1993 e così è oggi, quando la spinta moralizzatrice veicolata dalle critiche alla politica ed alla cosiddetta casta si colloca esattamente al centro di una lunga recessione economica.


La criminalità economico/amministrativa è un fattore di stimolo alla crescita

La coincidenza fra fasi di moralizzazione della politica e crisi economiche è, a mio avviso, una evidenza importante del ragionamento centrale che vorrei sviluppare in questo breve articolo: durante le fasi di crescita dell'economia, diffusi fenomeni di corruzione e criminalità economica vengono facilmente tollerati, e persino cavalcati, perché sono in qualche modo funzionali, o correlati, con la fase di crescita. La valutazione etica negativa si impone nell'opinione pubblica, con la conseguente fase di riflusso, quando il meccanismo che lega criminalità economico/amministrativa ed economia si rompe: in fasi di recessione,  gli aspetti perversi del ciclo che lega criminalità e crescita diventano insostenibili socialmente, e danno luogo ad una richiesta di “pulizia”, che è peraltro funzionale alla ripresa dell'economia, sbloccando spazi di mercato e fattori produttivi sommersi, e ricostituendo procedure competitive in grado di operare la selezione favorevole a una più efficiente allocazione dei fattori produttivi, indispensabile per far ripartire la crescita.
Nella fase ascendente del ciclo, la criminalità economica ed amministrativa è un elemento di stimolo alla crescita. Ce ne sono numerosi tracce nella stessa letteratura economica. Schneider ed Enste (2000) evidenziano, ad esempio, come la presenza di economia irregolare consenta di accrescere la domanda aggregata, fornendo un circuito di reddito a componenti marginali del mercato del lavoro, che sarebbero rimaste altrimenti inoccupate, ed ampliando quindi  i mercati di consumo anche a favore dell'economia legale[3]. Choi e Thum (2003)[4] evidenziano, invece, come l'economia irregolare sia prevalentemente complementare, e non sostitutiva, dell'economia legale, perché mitiga le distorsioni competitive indotte da una regolamentazione eccessivamente pesante, che induce costi amministrativi onerosi per le imprese[5] mediante la minaccia di andare nel “sommerso”, ed inoltre fornisce un incentivo all'abbassamento della pressione fiscale e contributiva  riducendo, per la stessa strada, anche la propensione alla corruzione da parte dei funzionari pubblici che interloquiscono con le imprese.
Sviluppando il ragionamento di Choi e Thum, peraltro, scopriamo che la presenza di fenomeni corruttivi è spesso, anche se non sempre, un fattore di “semplificazione amministrativa”, che unge le ruote delle dinamiche economiche in presenza di una regolamentazione amministrativa eccessivamente pesante e farraginosa, che rischierebbe di bloccarle. Nel modello sviluppato da questi autori, un imprenditore deve acquistare al tempo 1 un permesso amministrativo per esercitare la propria attività, ed al tempo 2 è costretto a rinnovare, a pagamento, tale permesso, con il corollario che ad ogni step deve versare la mazzetta al funzionario pubblico corrotto. Tale semplice modello emula un ambiente burocratico particolarmente corrotto, farraginoso e oneroso per le imprese che vi operano. In tale modello, sotto alcune condizioni, avviene che, al tempo 2, il meccanismo corruttivo genera un miglioramento del benessere sociale complessivo rispetto a quello del tempo 1, nella misura in cui il funzionario corrotto è indotto a ridurre il costo complessivo della concessione del primo permesso a favore dei “new entrants”, aumentando il numero di imprese e di occupati[6]. Volgarmente, la soluzione del modello di Choi e Thum riproduce ciò che tutti gli imprenditori che operano con la PA sanno da sempre: la mazzetta velocizza e fluidifica le procedure amministrative necessarie per lavorare. Infine, Levenson e Maloney (1996)[7] portano argomenti a favore della tesi secondo cui il settore informale sarebbe una “fucina” di nuove imprese che, specie in un contesto fiscale e regolatorio molto pesante, non sarebbero mai nate legalmente, e che quando crescono oltre una certa soglia critica hanno l'incentivo ad entrare nell'economia legale, per beneficiare dei beni pubblici (ad es. la tutela legislativa pubblica) che essa mette a disposizione delle imprese regolari.
Tutti questi elementi sono a favore dell'idea secondo cui un certo livello di illegalità e corruzione sia funzionale, ed intimamente connesso, con i processi di accumulazione e crescita. L'osservazione empirica conferma: in Italia, ad esempio, il coefficiente di correlazione fra tasso di variazione reale del PIL pro capite e del tasso di criminalità economico/amministrativa (peculato, malversazione, corruzione, concussione, istigazione alla corruzione) fra 1970 e 2009 è positivo e molto significativo statisticamente (+0,826). Ciò significa che crescita del PIL e della criminalità sono legati fra loro da una relazione statistica forte: quando aumenta l'uno aumenta anche l'altro, e viceversa quando l'uno diminuisce, cala anche l'altro.
Nello specifico, il plot dei punti che rappresentano, per ogni anno dal 1970 al 2009, la coppia fra tasso di variazione del PIL pro capite e del tasso di criminalità economico/amministrativa è illustrato nel grafico che segue. Come è chiaro, tale nuvola di punti è interpolabile tramite una semplice, e molto significativa (con R-squared pari a 0,806), relazione crescente.

Nuvola delle coppie di valori (variazione del PIL pro capite e del tasso di criminalità 
economica in Italia) per ogni anno del periodo 1970-2009 e relativa curva di interpolazione
 

Mie elaborazioni su dati Istat

La criminalità, però, oltre certe soglie, comprime la crescita




Tale relazione appare più forte per le economie emergenti. Nella classifica basata sul Corruption Perception Index, se si escludono Paesi poverissimi e privi di qualsiasi significativa dinamica di crescita (con la Somalia che guida la classifica) fra i Paesi più corrotti figurano alcune delle economie del terzo mondo a più forte crescita economica, come il Venezuela, l'Angola, la Cambogia o il Vietnam, con le economie dei BRICS anch'esse caratterizzate da elevata corruzione: la Russia è il 38-mo paese più corrotto del mondo, il Messico il 71-mo, l'India l'82-mo, la Cina il 96-mo, il Sudafrica il 107-mo a pari merito con il Brasile (l'Italia è il 104-mo, la Germania il 163-mo, Danimarca e Finlandia sono i Paesi meno corrotti). Evidentemente, le economie emergenti non hanno ancora avuto il tempo e la strumentazione per sviluppare meccanismi di crescita a basso contenuto di corruzione e criminalità economica, perché la crescita economica è arrivata prima del progresso civile ed istituzionale. E non hanno quindi potuto evitare processi di crescita fortemente squilibrati.
Perché se è vero che la criminalità economica è un carburante della crescita, è anche vero che tale carburante produce una crescita del tutto squilibrata e socialmente non desiderabile. Prendendo l'esempio di un'altra economia emergente, ovvero il Mezzogiorno del nostro Paese negli anni Cinquanta-Settanta del ventesimo secolo, è chiaro che i maggiori beneficiari di un processo di crescita che, fra 1952 e 1974 ha visto il PIL pro capite crescere, a prezzi costanti, del 4,5% medio annuo, sono stati i gruppi criminali organizzati. E' stato proprio tramite i processi di crescita del Mezzogiorno che le mafie sono passate dall'essere fenomeni rurali con un'influenza meramente localistica a divenire vere e proprie multinazionali, con affari ramificati in tutto il mondo e anche nell'economia legale[1]. Perché in assenza di una infrastruttura civile, culturale e istituzionale adeguata, le mafie hanno intercettato i mercati pubblici che si aprivano a seguito dell'iniezione di risorse pubbliche di investimento e hanno organizzato sul territorio i fattori della produzione idonei a rispondere alla crescente domanda pubblica e privata.
Di fatto, se è inevitabile che la crescita economica sia accompagnata da una certa crescita della criminalità, perché quest'ultima, per gli elementi sopra ricordati, fornisce una serie di stimoli alla crescita, è anche chiaro che, quando il tasso criminale della crescita supera una certa soglia, si producono fenomeni distorsivi, che in prima battuta inficiano lo sviluppo, cioè l'incremento del benessere sociale, ed in seconda battuta finiscono per essere elementi ostativi della stessa crescita. In prima battuta, rispetto al benessere sociale, i fenomeni di criminalità economica distorcono l'equità distributiva. L'economia sommersa e la corruzione, infatti, generano effetti penalizzanti sulla remunerazione del fattore-lavoro, da un lato, e producono redditi aggiuntivi di tipo parassitario, a favore di ristrettissime élite politico/amministrative, dall'altro. Ciò induce un peggioramento dell'indice del Gini, cioè una redistribuzione della ricchezza prodotta di tipo regressivo. Non è un caso se in Paesi segnati da impetuosi fenomeni di crescita economica come il Brasile e la Turchia siano in atto violente proteste di piazza, in cui si mischiano elementi rivendicativi di carattere redistributivo (il miglioramento del welfare pubblico in Brasile ma anche, meno esplicitamente, una iniqua distribuzione della crescita economica in Turchia, Paese in cui, nonostante la crescita impetuosa, ancora nel 2006 la popolazione che non supera il 60% del reddito mediano è pari al 26,5% del totale, a fronte del 16,5% della Ue-27, Paese in cui il 17,4% di chi ha un lavoro è a rischio di povertà, contro il 9% della Ue-27, ed infine paese in cui l'indice del Gini[2] è pessimo, essendo del 48% più squilibrato rispetto alla media europea)  insieme, nel caso del Brasile, a una esplicita protesta contro l'eccessivo livello di corruzione. Inoltre, una elevata criminalità incide su alcuni valori di benessere sociali fondamentali, come il senso di sicurezza, la sensazione di pari opportunità nelle possibilità di ascesa sociale, spesso intermediate dalla stessa criminalità, i valori ambientali, ecc.
In un secondo momento, ovviamente, un eccesso di criminalità finisce per incidere sulla stessa crescita, dopo aver inciso sullo sviluppo. Infatti, la criminalità produce una allocazione inefficiente dei fattori produttivi, concentrandoli sui settori e le attività di più immediata profittabilità, sviando l'investimento economico e sociale dai settori innovativi ed emergenti che sono ancora nella fase iniziale del loro ciclo di vita, in cui cioè il profitto atteso è basso. In secondo luogo, un eccesso criminale genera, tramite la corruzione, rendite parassitarie prive di successivo utilizzo produttivo, e sovente nemmeno spese in consumo sul territorio stesso, ma “riciclate” altrove, alla ricerca di una ripulitura del denaro. Inoltre, distorce i segnali del mercato, inducendo ad una competizione fra economia legale ed economia illegale basata sul costo dei fattori e non sulla qualità ed il contenuto innovativo del prodotto, inducendo una riduzione progressiva della competitività strutturale del sistema produttivo nel suo insieme. Per finire, un eccesso di diffusione di criminalità economica sottrae capitale umano giovane, quindi ad alta produttività, all'economia legale, destinandolo all'attività criminale o ad impieghi parassitari di intermediazione fra settore illegale e legale, o fra settore privato e settore pubblico corrotto. E' per questo che, tornando alla classifica del Corruption Perception Index, i posti peggiori sono riservati ai paesi più poveri e privi di crescita economica: in quei paesi, il livello di infiltrazione della criminalità è talmente alto da precludere qualsiasi utilizzo produttivo dei fattori.

Un equilibrio razionale fra crescita e criminalità economico/amministrativa

In termini pratici, quindi, il problema del rapporto fra criminalità e crescita va posto con pragmatismo, evitando moralismi assurdi, giacché sappiamo che un certo grado di corruzione ed economia informale è connesso inevitabilmente con i processi di accumulazione; non si conoscono processi di accumulazione privi di corruzione ed economia informale, nemmeno al di fuori del capitalismo (la corruzione nell'ex Urss era endemica, ed il mercato nero, ampiamente tollerato dalle  autorità, svolgeva un ruolo sociale pressoché determinante nel correggere le distorsioni distributive della pianificazione centralizzata; quando andai, da ragazzo, nella DDR, un tizio voleva addirittura rifilarmi una scassatissima Trabant). Il problema vero, quindi, è quello di capire “quanta” criminalità possa essere considerata socialmente accettabile a fronte dei benefici della crescita che essa stessa alimenta.
Formalmente, il problema si imposta coma la soluzione di una massimizzazione vincolata di una funzione di crescita., ovvero:

max f(x)
sub x z

Dove f(x) è una funzione che associa la crescita al livello di criminalità, che assume il valore di variabile indipendente x, e dove z è il valore massimo socialmente accettabile di criminalità amministrativa/economica. La soluzione, matematicamente, è semplice. Ipotizzando che da, analisi empiriche, emerga, per il nostro paese, una funzione della crescita così costituita:

f=(x;y;p)

dove x è il tasso di criminalità economico/finanziaria, y un vettore di componenti della domanda aggregata e p un vettore che rappresenta la produttività totale dei fattori, e supponendo che il tasso massimo di criminalità economico/amministrativa sia pari a x=0,2, allora, per sostituzione, avremo:

f= (y;p)+0,2

Il problema sarà allora risolto come una massimizzazione libera, poiché x non sarà più una variabile ma una costante, con la soluzione del sistema di due equazioni simultanee, date dalle derivate prime in y e p:

Df/Dy=0
Df/Dp=0

che fornirà i valori ottimali di y e di p, in grado di massimizzare la crescita.

Se la questione matematica è semplicissima, non è affatto semplice scegliere il valore “socialmente desiderabile” della criminalità associata alla crescita. Tale valore non è infatti una variabile indipendente, ma è collineare alla stessa crescita. In altri termini, come avviene sistematicamente in Italia, periodi di forte crescita tendono a “mascherare” e diluire la percezione sociale di una criminalità montante, mentre quando il circuito di crescita si arresta, allora anche non aver pagato l'IMU per un biennio, da parte di un Ministro, diventa una colpa gravissima e apocalittica.  La percezione sociale della “giusta” frontiera fra episodi di corruzione accettabili e derive criminali inaccettabili è continuamente variabile, e purtroppo varia con la variabile dipendente, ovvero la crescita, rendendo la soluzione del problema tutt'altro che facile matematicamente (e politicamente).
E' a mio avviso molto più affidabile scegliere una strada  “obiettiva”, ovvero tollerare, all'interno del sistema, un livello di criminalità crescente fino a quando non si producano esternalità negative tali da inficiare la crescita stessa, cioè fino a quando non si generino valori delle variabili distributive, allocative e di efficienza del sistema tali da creare problemi di crescita. Si tratterebbe cioè di risolvere un problema di massimizzazione vincolata più complesso, del seguente tipo:

max f(x;y;p)
sub x=f(r;v;w)z

dove cioè i valori di x (cioè del tasso di criminalità) che vanno ad entrare nella funzione della crescita sono espressi in termini delle variabili sociali ed economiche su cui la criminalità incide negativamente (ad esempio, r potrebbe essere una misura di distorsione della distribuzione dei redditi derivante dalla criminalità, v una misura di distorsione rispetto all'allocazione ottimale dei fattori produttivi indotta dalla presenza di un ampio settore informale ed illegale, w una misura dei danni ambientali prodotti dall'attività criminale, ecc.) e dove il valore massimo z sarebbe desunto dall'esperienza pratica, cioè dall'estrapolazione, dal passato, di situazioni in cui una data combinazione del valore di tali variabili ha prodotto l'arresto del processo di crescita. O da considerazioni teoriche circa l'insostenibilità dei valori delle variabili in considerazione oltre una certa soglia. Naturalmente, oltre tali soglie, dovrebbe scattare la repressione più severa della corruzione e dell'economia irregolare, al fine di riportarle entro valori accettabili.
Tuttavia, il problema del legame fra criminalità e crescita non potrà mai essere affrontato in termini oggettivi e avulsi da giudizi morali che non hanno alcun significato, in termini di crescita economica e benessere sociale. Tale legame sarà sempre caratterizzato da un approccio emotivo, passionale e irrazionale. Con il risultato, ad esempio, che esplosioni emotive come quelle verificatesi nel popolo italiano durante Tangentopoli consegnano il Paese ad una rapida degenerazione produttiva, economica e politica, come quella vissuta grazie al sistema politico/economico nato dopo Tangentopoli.


[1]    Per una ricostruzione storica della crescita delle 'ndrine calabresi durante la fase delle politiche dell'intervento straordinario per il Mezzogiorno, suggerisco il libro di Oscar Greco “Lo sviluppo senza gioia”, Rubbettino, 2012
[2]    L'indice del Gini è un coefficiente che misura il grado di omogeneità della distribuzione del reddito fra classi di percipienti. Più è alto, più è squilibrata ed iniqua la distribuzione dello stesso.


[1]    In realtà, anche la stessa propaganda fascista soffiava molto sulla fiacchezza e sulla presunta svendita degli interessi nazionali italiani all'estero da parte di una classe politica liberale considerata molle, lontana dal “Paese reale” e prona a vendersi: si legga il celebre “discorso del bivacco” di Mussolini del 16 novembre 1922.
[2]    Va ricordato che detto scandalo ebbe una eco nell'opinione pubblica molto forte: portò Giolitti alle dimissioni da Primo Ministro, benché molto probabilmente non fosse implicato direttamente e coinvolse, secondo la Commissione d'inchiesta parlamentare, ben 22 deputati che presero soldi dalla banca stessa, fra i quali il potentissimo Francesco Crispi, e vi furono voci di un coinvolgimento diretto del Re Umberto I. 
[3]    Shadow Economies: Size, Causes, and Consequences. Journal of Economic Literature 38, 77-114.
[4]    Corruption and the shadow economy, Dresden discussion paper in economics, No. 02/03.
[5]    Secondo la CGIA di Mestre, i costi, i tempi procedimentali e il numero degli adempimenti richiesti dalla burocrazia causano un onere, fra costi aggiuntivi e mancati ricavi, pari a 6.000 euro per ogni PMI italiana.
[6]    Choi, Thum, The dynamics of corruption with the Ratchet effect, Dresden discussion paper in economics, No. 04/01.
[7]    Modeling the Informal Sector: Theory and Empirical Evidence from Mexico.

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