Riccardo Achilli
Il comportamento schizofrenico dell'italiano
medio rispetto alla legalità
E' un luogo comune frequente che l'Italia, con riferimento
alla valutazione sociale dell'endemica criminalità economica che la affligge,
sia un paese strano, perlopiù “schizofrenico”, che affianca lunghi periodi di
grande sopportazione di fasi denotate da palese e diffusa corruzione e
criminalità economica, in cui peraltro la sopportazione è frammista a
comportamenti opportunistici diffusi volti ad approfittare del clima di
illegalità per avere vantaggi personali anche ai livelli inferiori della
società, sulla base del famoso motto “chi mangia fa briciole”. La visione
dell'italiano medio, qualunquistica e disincantata rispetto al vertice
politico, e facilmente pronta ad utilizzare la corruzione dei vertici come
alibi per compiere atti a propria volta disdicevoli, ha riempito la nostra
letteratura e la nostra cinematografia recente (basta citare due film di Totò,
La banda degli onesti e Gli onorevoli, per avere uno spaccato di questa
mentalità; ma secondo me uno spunto di riflessione profondo viene anche dai
filmacci di quarta categoria del cinema italiano degli anni Settanta-Ottanta,
dalla saga di Villaggio/Fantozzi che ci mostra un proletariato impiegatizio,
alla ricerca di un mediocre spazio di quieto vivere, sempre pronto alla servile
passività nei confronti di vertici borghesi palesemente corrotti e predatori,
ad un altro film, in cui un piccolo imprenditore si dà da fare, fra mille
peripezie e facendosi aiutare da un ladro di mestiere, per recuperare una
valigia di soldi da consegnare all'onorevole di turno al fine di avere dei
permessi di esportazione).
Dopodiché, ad intervalli lunghi,
che coincidono con profondi cambiamenti strutturali degli assetti politici del
paese, gli italiani si scagliano, o per meglio dire sono scagliati da movimenti
politici nati alla bisogna, in una frenetica palingenesi
moralistico/giustizialitica e rigeneratrice. E' avvenuto nel 1992/1993, con
Tangentopoli e con la fine della prima Repubblica, e sta avvenendo in questi
mesi, in cui questa spinta giustizialista/rigeneratrice assume la veste
dell'antipolitica e della lotta alla “casta”[1].
Ci sono interpretazioni
sociologiche, storiche e persino psicologiche che cercano di dare conto di
questo peculiare movimento oscillatorio di questo Paese, con riferimento al suo
rapporto con la corruzione e la criminalità economica. Certo ciò dipende
dall'anomalia con cui si è formato lo Stato unitario, spesso imposto alle
popolazioni e mai realmente sentito come “proprio”, soprattutto in quelle zone,
come il Meridione, dove l'imposizione del nuovo Stato in punta di baionetta è
stata accompagnata, dai primi governi liberali, da vessatori obblighi fiscali e
di altra natura senza contropartite in termini di sviluppo.
Probabilmente il peculiare
connotato statalista che il modello di sviluppo economico di questo Paese ha
dovuto seguire, soprattutto a causa dell'assenza di una vera e propria rivoluzione
industriale e dei difetti di formazione di una borghesia nazionale in grado di
innescare una rivoluzione democratico-borghese degna di questo nome, ha
accentuato i fenomeni corruttivi e di illegale contaminazione fra sfera
pubblica e mercati (l'esplosione di un meccanismo corruttivo sistematizzato,
che invade ampie porzioni della macchina amministrativa e politica, avviene,
infatti, nel ventennio fascista, dove la statalizzazione dell'economia viene
accelerata a seguito della grande crisi degli anni Trenta; i grandi scandali
precedenti, come ad esempio quello della Banca Romana del 1888-1892, assumono
infatti connotati episodici e non sistematici, e comunque anche tale episodio
rivela una commistione fra interessi privati ed interessi pubblici, essendo la
Banca Romana uno degli istituti di emissione di moneta del tempo).
Le fasi di riflusso, connotate da
spinte moralizzatrici e giustizialistiche, a loro volta, sono legate a crisi
economiche profonde: così è stato proprio per la spinta moralizzatrice a
seguito del grande scandalo della Banca Romana, esplosa proprio durante la
pesante recessione economica del 1887-1888[2];
così è stato degli intenti moralizzatori del primo fascismo, nel mezzo di una
gravissima crisi economica nel primo dopoguerra; così è stato per Tangentopoli,
esplosa proprio in coincidenza con la recessione economica globale del
1992-1993 e così è oggi, quando la spinta moralizzatrice veicolata dalle
critiche alla politica ed alla cosiddetta casta si colloca esattamente al
centro di una lunga recessione economica.
La criminalità
economico/amministrativa è un fattore di stimolo alla crescita
La coincidenza fra fasi di
moralizzazione della politica e crisi economiche è, a mio avviso, una evidenza
importante del ragionamento centrale che vorrei sviluppare in questo breve
articolo: durante le fasi di crescita dell'economia, diffusi fenomeni di
corruzione e criminalità economica vengono facilmente tollerati, e persino
cavalcati, perché sono in qualche modo funzionali, o correlati, con la fase di
crescita. La valutazione etica negativa si impone nell'opinione pubblica, con
la conseguente fase di riflusso, quando il meccanismo che lega criminalità
economico/amministrativa ed economia si rompe: in fasi di recessione, gli aspetti perversi del ciclo che lega
criminalità e crescita diventano insostenibili socialmente, e danno luogo ad
una richiesta di “pulizia”, che è peraltro funzionale alla ripresa
dell'economia, sbloccando spazi di mercato e fattori produttivi sommersi, e
ricostituendo procedure competitive in grado di operare la selezione favorevole
a una più efficiente allocazione dei fattori produttivi, indispensabile per far
ripartire la crescita.
Nella fase ascendente del ciclo,
la criminalità economica ed amministrativa è un elemento di stimolo alla
crescita. Ce ne sono numerosi tracce nella stessa letteratura economica.
Schneider ed Enste (2000) evidenziano, ad esempio, come la presenza di economia
irregolare consenta di accrescere la domanda aggregata, fornendo un circuito di
reddito a componenti marginali del mercato del lavoro, che sarebbero rimaste
altrimenti inoccupate, ed ampliando quindi
i mercati di consumo anche a favore dell'economia legale[3].
Choi e Thum (2003)[4]
evidenziano, invece, come l'economia irregolare sia prevalentemente complementare,
e non sostitutiva, dell'economia legale, perché mitiga le distorsioni
competitive indotte da una regolamentazione eccessivamente pesante, che induce
costi amministrativi onerosi per le imprese[5]
mediante la minaccia di andare nel “sommerso”, ed inoltre fornisce un incentivo
all'abbassamento della pressione fiscale e contributiva riducendo, per la stessa strada, anche la
propensione alla corruzione da parte dei funzionari pubblici che
interloquiscono con le imprese.
Sviluppando il ragionamento di
Choi e Thum, peraltro, scopriamo che la presenza di fenomeni corruttivi è
spesso, anche se non sempre, un fattore di “semplificazione amministrativa”,
che unge le ruote delle dinamiche economiche in presenza di una
regolamentazione amministrativa eccessivamente pesante e farraginosa, che
rischierebbe di bloccarle. Nel modello sviluppato da questi autori, un
imprenditore deve acquistare al tempo 1 un permesso amministrativo per
esercitare la propria attività, ed al tempo 2 è costretto a rinnovare, a pagamento,
tale permesso, con il corollario che ad ogni step deve versare la mazzetta al
funzionario pubblico corrotto. Tale semplice modello emula un ambiente
burocratico particolarmente corrotto, farraginoso e oneroso per le imprese che
vi operano. In tale modello, sotto alcune condizioni, avviene che, al tempo 2,
il meccanismo corruttivo genera un miglioramento del benessere sociale
complessivo rispetto a quello del tempo 1, nella misura in cui il funzionario
corrotto è indotto a ridurre il costo complessivo della concessione del primo
permesso a favore dei “new entrants”, aumentando il numero di imprese e di
occupati[6].
Volgarmente, la soluzione del modello di Choi e Thum riproduce ciò che tutti
gli imprenditori che operano con la PA sanno da sempre: la mazzetta velocizza e
fluidifica le procedure amministrative necessarie per lavorare. Infine,
Levenson e Maloney (1996)[7]
portano argomenti a favore della tesi secondo cui il settore informale sarebbe
una “fucina” di nuove imprese che, specie in un contesto fiscale e regolatorio
molto pesante, non sarebbero mai nate legalmente, e che quando crescono oltre
una certa soglia critica hanno l'incentivo ad entrare nell'economia legale, per
beneficiare dei beni pubblici (ad es. la tutela legislativa pubblica) che essa mette
a disposizione delle imprese regolari.
Tutti questi elementi sono a
favore dell'idea secondo cui un certo livello di illegalità e corruzione sia
funzionale, ed intimamente connesso, con i processi di accumulazione e
crescita. L'osservazione empirica conferma: in Italia, ad esempio, il
coefficiente di correlazione fra tasso di variazione reale del PIL pro capite e
del tasso di criminalità economico/amministrativa (peculato, malversazione,
corruzione, concussione, istigazione alla corruzione) fra 1970 e 2009 è
positivo e molto significativo statisticamente (+0,826). Ciò significa che
crescita del PIL e della criminalità sono legati fra loro da una relazione
statistica forte: quando aumenta l'uno aumenta anche l'altro, e viceversa
quando l'uno diminuisce, cala anche l'altro.
Nello specifico, il plot dei
punti che rappresentano, per ogni anno dal 1970 al 2009, la coppia fra tasso di
variazione del PIL pro capite e del tasso di criminalità
economico/amministrativa è illustrato nel grafico che segue. Come è chiaro,
tale nuvola di punti è interpolabile tramite una semplice, e molto
significativa (con R-squared pari a 0,806), relazione crescente.
economica in Italia) per ogni anno del periodo 1970-2009 e relativa curva di interpolazione
Mie
elaborazioni su dati Istat
La criminalità, però, oltre
certe soglie, comprime la crescita
Tale relazione appare più forte
per le economie emergenti. Nella classifica basata sul Corruption Perception
Index, se si escludono Paesi poverissimi e privi di qualsiasi significativa
dinamica di crescita (con la Somalia che guida la classifica) fra i Paesi più
corrotti figurano alcune delle economie del terzo mondo a più forte crescita
economica, come il Venezuela, l'Angola, la Cambogia o il Vietnam, con le
economie dei BRICS anch'esse caratterizzate da elevata corruzione: la Russia è
il 38-mo paese più corrotto del mondo, il Messico il 71-mo, l'India l'82-mo, la
Cina il 96-mo, il Sudafrica il 107-mo a pari merito con il Brasile (l'Italia è
il 104-mo, la Germania il 163-mo, Danimarca e Finlandia sono i Paesi meno
corrotti). Evidentemente, le economie emergenti non hanno ancora avuto il tempo
e la strumentazione per sviluppare meccanismi di crescita a basso contenuto di
corruzione e criminalità economica, perché la crescita economica è arrivata
prima del progresso civile ed istituzionale. E non hanno quindi potuto evitare
processi di crescita fortemente squilibrati.
Perché se è vero che la criminalità
economica è un carburante della crescita, è anche vero che tale carburante
produce una crescita del tutto squilibrata e socialmente non desiderabile.
Prendendo l'esempio di un'altra economia emergente, ovvero il Mezzogiorno del
nostro Paese negli anni Cinquanta-Settanta del ventesimo secolo, è chiaro che i
maggiori beneficiari di un processo di crescita che, fra 1952 e 1974 ha visto
il PIL pro capite crescere, a prezzi costanti, del 4,5% medio annuo, sono stati
i gruppi criminali organizzati. E' stato proprio tramite i processi di crescita
del Mezzogiorno che le mafie sono passate dall'essere fenomeni rurali con
un'influenza meramente localistica a divenire vere e proprie multinazionali,
con affari ramificati in tutto il mondo e anche nell'economia legale[1].
Perché in assenza di una infrastruttura civile, culturale e istituzionale
adeguata, le mafie hanno intercettato i mercati pubblici che si aprivano a
seguito dell'iniezione di risorse pubbliche di investimento e hanno organizzato
sul territorio i fattori della produzione idonei a rispondere alla crescente
domanda pubblica e privata.
Di fatto, se è inevitabile che la
crescita economica sia accompagnata da una certa crescita della criminalità,
perché quest'ultima, per gli elementi sopra ricordati, fornisce una serie di
stimoli alla crescita, è anche chiaro che, quando il tasso criminale della
crescita supera una certa soglia, si producono fenomeni distorsivi, che in
prima battuta inficiano lo sviluppo, cioè l'incremento del benessere sociale,
ed in seconda battuta finiscono per essere elementi ostativi della stessa
crescita. In prima battuta, rispetto al benessere sociale, i fenomeni di
criminalità economica distorcono l'equità distributiva. L'economia sommersa e
la corruzione, infatti, generano effetti penalizzanti sulla remunerazione del
fattore-lavoro, da un lato, e producono redditi aggiuntivi di tipo
parassitario, a favore di ristrettissime élite politico/amministrative,
dall'altro. Ciò induce un peggioramento dell'indice del Gini, cioè una
redistribuzione della ricchezza prodotta di tipo regressivo. Non è un caso se
in Paesi segnati da impetuosi fenomeni di crescita economica come il Brasile e
la Turchia siano in atto violente proteste di piazza, in cui si mischiano
elementi rivendicativi di carattere redistributivo (il miglioramento del
welfare pubblico in Brasile ma anche, meno esplicitamente, una iniqua
distribuzione della crescita economica in Turchia, Paese in cui, nonostante la
crescita impetuosa, ancora nel 2006 la popolazione che non supera il 60% del
reddito mediano è pari al 26,5% del totale, a fronte del 16,5% della Ue-27,
Paese in cui il 17,4% di chi ha un lavoro è a rischio di povertà, contro il 9%
della Ue-27, ed infine paese in cui l'indice del Gini[2]
è pessimo, essendo del 48% più squilibrato rispetto alla media europea) insieme, nel caso del Brasile, a una
esplicita protesta contro l'eccessivo livello di corruzione. Inoltre, una
elevata criminalità incide su alcuni valori di benessere sociali fondamentali,
come il senso di sicurezza, la sensazione di pari opportunità nelle possibilità
di ascesa sociale, spesso intermediate dalla stessa criminalità, i valori
ambientali, ecc.
In un secondo momento,
ovviamente, un eccesso di criminalità finisce per incidere sulla stessa
crescita, dopo aver inciso sullo sviluppo. Infatti, la criminalità produce una
allocazione inefficiente dei fattori produttivi, concentrandoli sui settori e
le attività di più immediata profittabilità, sviando l'investimento economico e
sociale dai settori innovativi ed emergenti che sono ancora nella fase iniziale
del loro ciclo di vita, in cui cioè il profitto atteso è basso. In secondo
luogo, un eccesso criminale genera, tramite la corruzione, rendite parassitarie
prive di successivo utilizzo produttivo, e sovente nemmeno spese in consumo sul
territorio stesso, ma “riciclate” altrove, alla ricerca di una ripulitura del
denaro. Inoltre, distorce i segnali del mercato, inducendo ad una competizione
fra economia legale ed economia illegale basata sul costo dei fattori e non
sulla qualità ed il contenuto innovativo del prodotto, inducendo una riduzione
progressiva della competitività strutturale del sistema produttivo nel suo
insieme. Per finire, un eccesso di diffusione di criminalità economica sottrae
capitale umano giovane, quindi ad alta produttività, all'economia legale,
destinandolo all'attività criminale o ad impieghi parassitari di
intermediazione fra settore illegale e legale, o fra settore privato e settore
pubblico corrotto. E' per questo che, tornando alla classifica del Corruption
Perception Index, i posti peggiori sono riservati ai paesi più poveri e privi
di crescita economica: in quei paesi, il livello di infiltrazione della
criminalità è talmente alto da precludere qualsiasi utilizzo produttivo dei
fattori.
Un equilibrio razionale fra
crescita e criminalità economico/amministrativa
In termini pratici, quindi, il
problema del rapporto fra criminalità e crescita va posto con pragmatismo,
evitando moralismi assurdi, giacché sappiamo che un certo grado di corruzione
ed economia informale è connesso inevitabilmente con i processi di
accumulazione; non si conoscono processi di accumulazione privi di corruzione
ed economia informale, nemmeno al di fuori del capitalismo (la corruzione
nell'ex Urss era endemica, ed il mercato nero, ampiamente tollerato dalle autorità, svolgeva un ruolo sociale pressoché
determinante nel correggere le distorsioni distributive della pianificazione
centralizzata; quando andai, da ragazzo, nella DDR, un tizio voleva addirittura
rifilarmi una scassatissima Trabant). Il problema vero, quindi, è quello di
capire “quanta” criminalità possa essere considerata socialmente accettabile a
fronte dei benefici della crescita che essa stessa alimenta.
Formalmente, il problema si
imposta coma la soluzione di una massimizzazione vincolata di una funzione di
crescita., ovvero:
max f(x)
sub x ≤ z
Dove f(x) è una funzione che
associa la crescita al livello di criminalità, che assume il valore di
variabile indipendente x, e dove z è il valore massimo socialmente accettabile
di criminalità amministrativa/economica. La soluzione, matematicamente, è
semplice. Ipotizzando che da, analisi empiriche, emerga, per il nostro paese,
una funzione della crescita così costituita:
f=(x;y;p)
dove x è il tasso di criminalità
economico/finanziaria, y un vettore di componenti della domanda aggregata e p
un vettore che rappresenta la produttività totale dei fattori, e supponendo che
il tasso massimo di criminalità economico/amministrativa sia pari a x=0,2,
allora, per sostituzione, avremo:
f= (y;p)+0,2
Il problema sarà allora risolto
come una massimizzazione libera, poiché x non sarà più una variabile ma una
costante, con la soluzione del sistema di due equazioni simultanee, date dalle
derivate prime in y e p:
Df/Dy=0
Df/Dp=0
che fornirà i valori ottimali di
y e di p, in grado di massimizzare la crescita.
Se la questione matematica è
semplicissima, non è affatto semplice scegliere il valore “socialmente
desiderabile” della criminalità associata alla crescita. Tale valore non è
infatti una variabile indipendente, ma è collineare alla stessa crescita. In
altri termini, come avviene sistematicamente in Italia, periodi di forte
crescita tendono a “mascherare” e diluire la percezione sociale di una
criminalità montante, mentre quando il circuito di crescita si arresta, allora
anche non aver pagato l'IMU per un biennio, da parte di un Ministro, diventa
una colpa gravissima e apocalittica. La
percezione sociale della “giusta” frontiera fra episodi di corruzione
accettabili e derive criminali inaccettabili è continuamente variabile, e
purtroppo varia con la variabile dipendente, ovvero la crescita, rendendo la
soluzione del problema tutt'altro che facile matematicamente (e politicamente).
E' a mio avviso molto più
affidabile scegliere una strada
“obiettiva”, ovvero tollerare, all'interno del sistema, un livello di
criminalità crescente fino a quando non si producano esternalità negative tali
da inficiare la crescita stessa, cioè fino a quando non si generino valori
delle variabili distributive, allocative e di efficienza del sistema tali da
creare problemi di crescita. Si tratterebbe cioè di risolvere un problema di
massimizzazione vincolata più complesso, del seguente tipo:
max f(x;y;p)
sub x=f(r;v;w)≤z
dove cioè i valori di x (cioè del
tasso di criminalità) che vanno ad entrare nella funzione della crescita sono
espressi in termini delle variabili sociali ed economiche su cui la criminalità
incide negativamente (ad esempio, r potrebbe essere una misura di distorsione
della distribuzione dei redditi derivante dalla criminalità, v una misura di
distorsione rispetto all'allocazione ottimale dei fattori produttivi indotta
dalla presenza di un ampio settore informale ed illegale, w una misura dei
danni ambientali prodotti dall'attività criminale, ecc.) e dove il valore
massimo z sarebbe desunto dall'esperienza pratica, cioè dall'estrapolazione,
dal passato, di situazioni in cui una data combinazione del valore di tali
variabili ha prodotto l'arresto del processo di crescita. O da considerazioni
teoriche circa l'insostenibilità dei valori delle variabili in considerazione
oltre una certa soglia. Naturalmente, oltre tali soglie, dovrebbe scattare la
repressione più severa della corruzione e dell'economia irregolare, al fine di
riportarle entro valori accettabili.
Tuttavia, il problema del legame
fra criminalità e crescita non potrà mai essere affrontato in termini oggettivi
e avulsi da giudizi morali che non hanno alcun significato, in termini di
crescita economica e benessere sociale. Tale legame sarà sempre caratterizzato
da un approccio emotivo, passionale e irrazionale. Con il risultato, ad
esempio, che esplosioni emotive come quelle verificatesi nel popolo italiano
durante Tangentopoli consegnano il Paese ad una rapida degenerazione
produttiva, economica e politica, come quella vissuta grazie al sistema
politico/economico nato dopo Tangentopoli.
[1] Per una ricostruzione storica della crescita
delle 'ndrine calabresi durante la fase delle politiche dell'intervento
straordinario per il Mezzogiorno, suggerisco il libro di Oscar Greco “Lo
sviluppo senza gioia”, Rubbettino, 2012
[2] L'indice del Gini è un coefficiente che
misura il grado di omogeneità della distribuzione del reddito fra classi di
percipienti. Più è alto, più è squilibrata ed iniqua la distribuzione dello
stesso.
[1] In realtà, anche la stessa propaganda
fascista soffiava molto sulla fiacchezza e sulla presunta svendita degli
interessi nazionali italiani all'estero da parte di una classe politica
liberale considerata molle, lontana dal “Paese reale” e prona a vendersi: si
legga il celebre “discorso del bivacco” di Mussolini del 16 novembre 1922.
[2] Va ricordato che detto scandalo ebbe una eco
nell'opinione pubblica molto forte: portò Giolitti alle dimissioni da Primo
Ministro, benché molto probabilmente non fosse implicato direttamente e
coinvolse, secondo la Commissione d'inchiesta parlamentare, ben 22 deputati che
presero soldi dalla banca stessa, fra i quali il potentissimo Francesco Crispi,
e vi furono voci di un coinvolgimento diretto del Re Umberto I.
[3] Shadow
Economies: Size, Causes, and Consequences. Journal of Economic Literature 38,
77-114.
[4] Corruption
and the shadow economy, Dresden discussion paper in economics, No. 02/03.
[5] Secondo la CGIA di Mestre, i costi, i tempi
procedimentali e il numero degli adempimenti richiesti dalla burocrazia causano
un onere, fra costi aggiuntivi e mancati ricavi, pari a 6.000 euro per ogni PMI
italiana.
[6] Choi,
Thum, The dynamics of corruption with the Ratchet effect, Dresden discussion
paper in economics, No. 04/01.
[7] Modeling
the Informal Sector: Theory and Empirical Evidence from Mexico.
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