PRETESTI E SENTENZE
di
Norberto Fragiacomo
Il destino, quand’è di buon umore, dà prova di una certa arguzia, e sa
prenderci amabilmente in giro.
In una domenica inondata di
sole ho accompagnato un gruppo davvero multinazionale (c’erano tedeschi,
francesi, inglesi, asiatici) alla scoperta di Trieste – solo a tour terminato
avrei appreso che una buona metà degli ospiti lavorava per la Commissione Europea.
Certo, avrei potuto intuirlo da alcuni indizi, ma… ero troppo impegnato a
trovare le parole “giuste” in inglese. Un’annotazione preliminare: si trattava
di persone di eccellente cultura, interessate e partecipi.
C’era, in particolare, una
signora tedesca di mezza età, che sembrava sapere di tutto – mi ha chiesto
persino del territorio libero – e si è emozionata quando ho narrato la triste
fine di Winckelmann, in una squallida locanda di piazza grande. Alla fine –
visto che durante la camminata avevo espresso qualche rilievo critico sulla UE
– proprio lei mi ha chiesto cosa pensassi dell’attuale stato di cose. Le ho
detto che, a parer mio, la crisi è artificiale, e la situazione sta
incancrenendosi; che, da ultimo, anche la Germania pagherà dazio ai “mercanti”.
Quell’intelligente e preparata signora mostrava di non condividere la mia
analisi: la crisi è reale, ha affermato, perché abbiamo sprecato troppe risorse
negli anni (“abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità”, insomma) e
perché i Paesi del sud, minati dalla corruzione interna, non hanno saputo
competere, si sono trasformati nella zavorra d’Europa – dopo aver visto
azzerarsi la loro industria manifatturiera, ho ribattuto al volo.
Un punto di vista
tedeschissimo e molto UE, che in fondo non sorprende (ciò che stupisce in
positivo l’italiano, abituato a nepotismi e demeritocrazia capillare, è che le
istituzioni continentali selezionino ancora i migliori… in Germania e dintorni
è scontato, cari connazionali), ma che ritengo profondamente errato, oltre che
pericoloso. “Finché Bruxelles distribuiva risorse c’era entusiasmo verso
l’Europa, e adesso…” Ho concluso io la sua frase: “quell’entusiasmo sta
mutandosi in odio, hatred, odio fra nazioni che pure hanno storia e
tradizioni comuni”, e non ho mancato di aggiungere che, a dispetto di spread e
catastrofismi, il mondo non è mai stato così ricco.
Ricco di risorse, di prodotti,
di beni e servizi moltiplicati da una tecnologia che negli ultimi 150 anni ha
corso alla cieca, ma ad una velocità vertiginosa… una tecnologia in continua
evoluzione, limitata nei suoi effetti positivi dalla mordacchia capitalista.
Ricordo di essermi indignato, ancora bimbo, per la distruzione, in Europa, di
migliaia di tonnellate di pomodori e frutta sacrificate a sua maestà il Prezzo:
mi pareva un’insensatezza, quel cibo avrebbe potuto sfamare un numero ingente
di persone, nel sud del mondo. Era ed è un’insensatezza, ma il
capitalismo non può comportarsi altrimenti, poiché persegue interessi
individuali, di nicchia, non quello collettivo: nel modello vigente gli esseri
umani sono trattati come lavoratori da spremere o consumatori da buggerare, mai
come cittadini. Se l’uomo è angelo e bestia insieme, il mercato si cura solo
della seconda. Il Capitale è questo, non può essere altro, a meno che una forza
esterna non sia capace di “ammorbidire” le sue leggi (accadde nel dopoguerra,
quell’epoca è finita per sempre).
In ogni angolo del mondo,
oggi, uomini e donne potrebbero vivere decentemente, avere garantiti pranzo e
cena, tempo libero, assistenza sanitaria e cultura; se ciò non avviene è colpa
(o merito, secondo i beneficiari) di un sistema basato su ignoranza,
sfruttamento e iniquità.
Un coscienzioso funzionario
europeo facilmente non si accorge di tutto questo, perché è stato addestrato a
soffermarsi sul particolare: la corruzione, il PIL che smette di salire. La
corruzione esiste, altroché – ma non è una novità, e con il welfare e le
pensioni non c’entra niente. E’ endemica: chiedere a Leopardi, Manzoni,
Guicciardini, vissuti in epoche lontane. Quanto a PIL, spread e teoremi
economici sono nient’altro che arredi liturgici, strumenti per arrivare a un
fine. La crescita in Europa si è interrotta, e allora? Il girino perde la coda,
ma si ingrandisce rapidamente per diventare rana: alla rana però non è concesso
raggiungere le dimensioni del bue. Boom, scoppia – come nell’antica fiaba. Il
boom, appunto, è possibile solo in una fase giovanile della vita economica
delle nazioni (dopo una guerra tremenda, ad esempio); poi tocca mantenersi in
forma, perfezionare l’esistente, migliorarsi. Ma le fedi, lo sappiamo,
prescindono dall’esperienza e dall’ovvio.
Ho usato, con la visitatrice,
la parola “pretext”, pretesto: corruzione, inefficienza, debito pubblico
sono pretesti, scuse. Se voglio punire un mio simile, e ho i mezzi per farlo,
non faticherò molto a trovare un idoneo capo di accusa: ogni esistenza –
individuale o collettiva – è macchiata da colpe più o meno gravi. Nessuno è
innocente, ma la mancanza che più spesso viene sanzionata è la debolezza.
A pagare il conto del presunto “scialo” non vengono chiamati quelli che stanno
in alto e, potendo prendere decisioni, sono in larga misura responsabili della
situazione attuale, bensì gli ultimi, gli impotenti, i sudditi. La ricevuta è
per chi, sotto il tavolo, si è saziato con le briciole del banchetto: magari
avrà dato un calcio al vicino, non meno misero di lui, ma l’aragosta l’ha vista
da lontano.
Il debito pubblico, questo
moloch acquattato – pure lui – nell’ombra: ci è stato insegnato ad averne
terrore, ma i suoi denti sono di cartapesta. Abbiamo un reddito annuo di
sedicimila euro e un debito, spalmato negli anni, di ventimila, le cui rate
abbiamo sempre pagato: davvero siamo sull’orlo della bancarotta?
Pare di no, visto che il cittadino medio si trova nella medesima situazione:
malgrado i mutui fatti per acquistare casa e macchina, se ha un comune lavoro
impiegatizio riesce a tirare avanti. Gli italiani, poi (ma anche i greci, gli
spagnoli e i portoghesi), vivono in un castello, che vale cento o mille volte
il rispettivo debito pubblico: vi siete mai chiesti quanto potrebbero
“fruttare”, a valori di mercato (è una provocazione, la mia!), tutte le opere
d’arte racchiuse nei nostri musei e pinacoteche, o anche solo i quadri firmati
da Caravaggio? L’Italia è favolosamente ricca (e potrebbe vivere, agiatamente,
di turismo), ma questo dato non interessa, non è funzionale a statistiche che,
dietro l’apparente oggettività, nascondono precisi disegni ideologici.
Ecco, la situazione è la
seguente: c’è un debitore affidabile, anche se un po’ arruffone, con un palazzo
di proprietà, campi e boschi. Il creditore ha messo gli occhi su edificio e
pertinenze – allora inizia a pressare l’obbligato, lo costringe a saltare i
pasti, non lo fa dormire la notte. Il debitore si ammala, guadagna di meno
(=diminuzione del PIL) e scivola in una depressione senza uscita: facile che
alla fine perda tutto. Il problema è che la conclusione non era necessitata: è
stata voluta.
Da chi? Da chi è capace in
pochi istanti di muovere miliardi e miliardi di dollari/euro, da chi ha
interesse a cancellare le Costituzioni “socialiste” e a liberalizzare tutto –
perché la libertà assoluta è signoria (altrettanto assoluta) del più forte.
Anche la Germania collasserà,
ho detto tranquillamente alla signora, insieme ai moralisti del Nord, che
finora han tratto profitto dalla crisi.
Ci rivedremo tra dieci anni –
ha replicato sorridendo – allora sapremo la verità.
Spero di esserci ancora tra
dieci anni, ho pensato. Quel che è sicuro è che l’Italia e l’Europa (i loro
popoli, intendo) non hanno tutto questo tempo.
Nessun commento:
Posta un commento