di Renato Costanzo Gatti
E’ il titolo del libro pubblicato da un europeista convinto come Francois Heisbourg, che constata la fine di quel sogno che ha connotato la cuktura europea dall’immediato dopoguerra.
Al di là delle ragioni tecniche e politiche di questo fallimento (a mio parere immanente ma evitabile) il fallimento culturale sarà certificato dalle prossime elezioni europee di metà 2014. Come un turbine, una bora fredda, uno tsunami distruttivo, tutto il malcontento, la delusione, la rabbia, il senso di impotenza, la paura della fame e della miseria, la piccineria di Masanielli da strapazzo, li celti sopravvissuti, di neo profeti urlanti, si riverseranno sul voto delle europee scardinando ciò che si è costruito in questi sessantenni facendo virare la rotta politica verso gli anni trenta del secolo scorso. I miseri interessi elettoralistici di forze emarginate si associano con le profezie apocalittiche di scialbi imitatori del Mussolini socialista direttore dell’Avanti, sposandosi con il comprensibile sdegno degli emarginati, degli sconfitti, dei “vinti” dalla globalizzazione. Vent’anni di cultura berlusconiana hanno intaccato la nostra cultura, l’elogiata follia berlusconiana è gramscianamente diventata senso comune. Ad una riunione di partito dell’altra sera si parlava di un’Europa che ha impoverito tutti i paesi tranne la Germania, di un cambio euro/marco 1 a 1, di un ritorno alle barriere doganali, e, come potete immaginare, era la riunione di un partito di sinistra, di quelli che ancora si riuniscono in rituali sempre più nostalgici.
Le posizioni che potranno essere assunte alle prossime elezioni europee sono, in sintesi tre: a) euro distruttrici, b) euro subalterne e c) euro critiche/costruttive.
Cataloghiamo nella prima categoria il movimento 5*, la lega, Forza Italia, e tutto i cespugli della destra aggiungendovi i movimenti senza partito che sintetizziamo nel nome “forconi”. Vediamo nella seconda categoria le forze attualmente al governo (con le dovute differenziazioni dei “diversamente governativi” all’interno di quelle forze stesse). Infine auspicherei la nascita di un movimento euro critico/costruttivo che non si accontenti di restare in europa con i semicupi di Letta ma che formi una cultura euro critica e la ponga, unica opposizione seria alla dilagante ondata antieuropeista, come programma per le prossime elezioni europee.
Questo movimento euro/critico dovrebbe, a mio parere, nascere dalla consapevolezza che la fase che stiamo attraversando è, specialmente in Italia, il combinato disposto di tre crisi:
- La crisi del capitalismo finanziario, quella che ha bruciato miliardi di dollari in una bolla speculativa planetaria (anche se sorgente negli U.S.A) e che, come la crisi del ’19 pone la necessità di una svolta storica alle economie occidentali. Questa svolta deve partire, come sta cercando di fare Obama (e in qualche modo ci riesce – pochi giorni fa è stata approvata la Volcker law a dispetto di Wall Street) dalla decisione politica di una correzione di fondo delle regole a partire dalla separazione delle banche commerciali da quelle di investimento, per passare ai divieti di mercati ombra e finanze ombra, al lotta contro il moral hazard, contro le short sales, verso una valorizzazione del valore-lavoro nei confronti del valore di mercato.
- La crisi del sistema europeo che, specialmente negli ultimi anni sta dimostrando, come l’ultimo accordo sulla BCE testimonia, una timidezza che genera una inadeguatezza del meccanismo europeo di fronte alla realtà da affrontare.
- La crisi, che colpisce in particolare il nostro Paese, che chiamo di natura schumpeteriana.
Il sociologo Aldo Bonomi, sulle pagine del Sole 24 ore di domenica 22 dicembre, nell’analizzare il fenomeno “forconi” compara da una parte le vittime, senza classe, senza partito, senza cultura della globalizzazione e dall’altra parte i soggetti emergenti capaci di stare sul mercato globalizzato essendosi commisurati ad esso e avendone interpretato adeguatamente le condizioni e le regole.
Definisce i “forconi” come “ il prodotto della desertificazione di cicli produttivi e sistemi territoriali il NON PIU’ che aveva caratterizzato l’economia della nazione , l’Italietta che ha cercato il suo spazio di posizione nella globalizzazione e di resistenza alla crisi”.
Definisce invece le varie, ma insufficienti, eccellenze che hanno imparato ad affrontare le sfide della globalizzazione come il NON ANCORA ; “un bel insieme di reti lunghe del produrre per competere nel mondo e, a pochi chilometri le proteste di quelle reti corte che rimangono sul territorio, che non ce la fanno più”.
Tradotto dal sociologico riscontro lo jato tra un capitalismo con tecnologie del ‘900 (che ha puntato tutta la sua competitività nell’investire in mano d’opera a basso costo e non in maggior valore aggiunto per addetto) e un capitalismo con tecnologie del terzo secolo. La “distruzione creatrice” di Schumpeter sta scremando le attività produttive al setaccio del contenuto tecnologico delle unità produttive.
Partendo dalla consapevolezza della concomitanza delle tre crisi, il movimento euro/critici/costruttivo può tentare la ciclopica impresa di non farsi travolgere dal prevedibile esito protestatario e nichilista delle prossime elezioni europee; può contrapporre in Europa alla soggezione culturale del lettismo, la rivendicazione di un progetto critico/costruttivo che riparta dal Lisbona (la più lucida diagnosi e prognosi della divisione internazionale del lavoro), incidendo con determinazione sul cancro italiano rappresentato dal debito pubblico e sanabile solo con l’intervento chirurgico della patrimoniale sui grandi patrimoni (beneficiari e causa della crisi), su relazioni industriali che trasformino i sindacati da gestori di antiche glorie a portabandiere della produttività, bandiera lasciata cadere da una imprenditoria imbelle in questi ultimi dieci anni.
Sul fronte europeo occorre riconoscere che Paolo Savona che nel 2010 ci aveva consigliato di pensare ad un piano B (cosa che io ripresi nel documento economico approvato dalla Lega dei Socialisti) ora scoperto da Fassina; ebbene oggi Paolo Savona accantonando il piano B propone un rinnovato pian A, la nostra preferenza principale. Accanto alla sua proposta di un fondo chiuso da quotare sul mercato cui conferire tutto il patrimonio pubblico, la sua proposta odierna (Il Sole 24 ore di domenica 22) può più o meno essere condivisibile. Ciò che non si può negare è la consapevolezza, che purtroppo Renzi e molti altri non hanno, della gravità della crisi e della questione europae in particolare. E’ questa consapevolezza che dovrebbe riunire tutti gli euro/critici/costruttivi a predisporre un programma comune di contrasto al nichilismo di disperati, di opportunisti, di demagoghi, di ignoranti, da presentare per le prossime elezioni europee.
La capacità politica di questo movimento si misurerà nel confronto con la Germania, non dovrà cioè legare la sua operatività al crollo dell’intransigenza austera della Germania, in modo tale per cui se non si abbatte quella non c’è nulla da fare, ma dovrà essere capace di ragionare tenendo conto di quella intransigenza a-solidale della sua austerità. Se sapremo capaci di attrarre consensi nel mondo socialista europeo, se saremo in grado di creare un programma solido, completo, onnicomprensivo, propositivo e coraggioso, l’Europa ha ancora speranze. Altrimenti lasceremo ai nostri figli un paese perdente come quello che è uscito dalla seconda guerra mondiale, noi e la Germania.
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