La conversazione che qui presentiamo, era stata in origine pensata come interna al ciclo di interviste sulla tragedia siriana che abbiamo realizzato nei mesi passati. Ma nel corso del dialogo, il nostro interlocutore – Michele Castaldo (curatore del sito www.michelecastaldo.org) ha vistosamente spostato l'asse del discorso. Ne è uscito fuori qualcosa di notevolmente stimolante, che abbiamo deciso di sottoporre all'attenzione dei lettori per il suo porsi controcorrente rispetto ai discorsi che dominano nelle file della sinistra di classe e antimperialista italiana. Si pensi al fatto che mentre sui nostri siti, normalmente, si descrive un imperialismo occidentale sempre all'attacco e più forte che mai, Castaldo lo vede invece estremamente indebolito, proprio in conseguenza della irreversibile crisi del Sistema del Capitale. Ovviamente, alcune delle conclusioni cui arriva il nostro referente potranno essere in futuro motivo di approfondimento (e anche di polemica, se necessario). Ma riteniamo che con esse sia salutare confrontarsi, soprattutto per superare quelle certezze granitiche - ai limiti dello sloganismo d'accatto - che dominano dalle nostre parti.
La rivolta scoppiata in Siria nel marzo del 2011, stata vista da alcuni antimperialisti come "cosa altra" rispetto al resto delle primavere arabe. Al di là della piega che hanno preso oggi gli eventi, quali pensi siano state le motivazioni iniziali della sollevazione?
A mio modo di vedere c’è una lettura generale degli accadimenti storici molto ideologica, piuttosto che materialista, una visione della storia che si ripete ‘sempre uguale a sé stessa’. Purtroppo non è così e se ne pagano le conseguenze in termini di comprensione degli eventi e di sbandamenti continui dei militanti. Un esempio su tutti – cito a caso – viene dal gruppo dei compagni della rivista ‘Il cuneo rosso’, I quali fanno una buona analisi sulle insorgenze nei paesi del nord Africa, cogliendo le ragioni delle nuove classi proletarie che entrano sulla scena della lotta di classe in una fase molto complicata per il Sistema del capitale, ma nel contempo esasperano l’aspetto della soggettività dell’imperialismo quando scrivono:
"Dunque, salvo clamorosi passi indietro dell'ultimo minuto, sta per scattare una nuova azione di guerra contro un popolo arabo. Questa volta tocca alla Siria, ai siriani. Protagonisti, ancora una volta, gli Stati Uniti, che vorrebbero farci credere che debbono punire Assad per aver usato armi chimiche contro il proprio popolo.", questo l’uno settembre 2013.
Si dà il caso che non vi fu l’aggressione militare paventata e non c’è stata nel frattempo una riflessione per capire il perché non ci fu un ….armiamoci e partite. Altra cosa, a ben vedere, anzi tutt’altra cosa rispetto al 1991 quando, nel giro di pochi giorni si organizzò l’invio di ben 500.000 uomini e di mezzi bellici di prim'ordine contro l’Iraq di Saddam Hussein.
C’è di più, saranno almeno dieci anni che si paventa quell'aggressione all’Iran da parte dell’Occidente che a tutt’oggi sembra essere svanita nel nulla. Ci sono forse gruppi e formazioni politiche che se ne chiedono il perché? No, tutto nel dimenticatoio.
C’è un difetto teorico alla base di questo atteggiamento ideologico, dovuto al fatto che si vede l’imperialismo sempre al massimo della sua potenza ed i paesi un tempo oppressi dal colonialismo prima e dall’imperialismo poi fermi al palo, come se il Sistema del Capitale si fosse fermato, dividendo il mondo in maniera definitiva in grandi e oppressori e piccoli e oppressi. Siamo lontani dal materialismo storico e dialettico, dunque dagli sforzi di Marx e Engels in questa direzione.
In sostanza, ci stai dicendo che l'imperialismo non è più in grado di colpire come un tempo, neanche troppo lontano?
Molto semplicemente ci troviamo di fronte a una crisi strutturale di tutto il Sistema del Capitale che investe “paradossalmente” innanzitutto i paesi imperialisti. E’ questo il semplice fatto che viene totalmente rimosso dai “marxisti”. Basti guardare a quanto sta accadendo in Ucraina, dove le vecchie potenze coloniali e imperialiste stanno facendo la figura dei babbei, mentre un paese che era partito da un livello più arretrato come la Russia riesce a fare da polo di attrazione. Questo dimostra che l’imperialismo è andato oltre le sue reali possibilità e ciò gli si ritorce contro come un boomerang. E’ la dialettica della storia che procede per ondate, mentre i “marxisti” la appiattiscono in compartimenti stagni.
Tornando alle rivolte arabe, non solo a quella siriana, ma a tutte quelle che sono state comprese nella definizione di “primavera araba”: come avrebbero dovuto rapportarsi ad esse le realtà della sinistra di classe italiana?
Questa è una domanda molto complicata perché presuppone immediatamente il fare piuttosto che il capire. A mio avviso nei vari gruppi che si richiamano alla sinistra o al marxismo dinanzi all’accadimento di un fatto scatta innanzitutto l’idea che il proprio agire possa in qualche modo condizionare gli eventi o aiutare uno schieramento contro quello del “complotto”. Così facendo non si fa lo sforzo di capire le ragioni, i motivi, le cause di quanto sta accadendo. Ripeto: basta guardare all’Ucraina di questi giorni.
Mentre, a mio avviso, si tratta di capire innanzitutto le cause, e agire – nella propaganda – su quelle cause per rafforzare non uno schieramento, al momento impossibile, ma una tendenza politica che deve far conto sulla crisi quale possibilità per una prospettiva anticapitalista, perché non c’è prospettiva per il Comunismo al di fuori di una crisi generale del moto-modo di produzione capitalistico. Il dramma consiste proprio nel fatto che nel mentre il Sistema del capitale entra in una crisi irreversibile costringendo i maggiori paesi imperialisti ad arretrare dalle posizioni di dominio e di prestigio degli antichi fasti, i “marxisti” continuano a vedere il Sistema del Capitale come destinato alla ….vita eterna, ritenendo addirittura che i paesi imperialisti maggiori abbiano aumentato la propria potenza. Che dire? Cadono le braccia.
Va bene, bisogna consolidare una tendenza politica anticapitalistica: ma sulla base di quale discorso?
Intanto occorre capire la situazione attuale: noi ci troviamo di fronte alla scomposizione dei vecchi blocchi geopolitici e ad una fluidità che ha invertito la tendenza che pareva assegnare all’Occidente, a guida USA, il controllo dell’intero globo terrestre. In più, va sottolineato che, poiché la storia non si ripete mai sempre uguale a sé stessa, non è ipotizzabile in alcun modo una nuova Urss. Chi ragiona in questo modo mostra l'assoluta incapacità di applicare le categorie marxiane al modo di funzionamento del Capitale così come alle insorgenze del Nord Africa, o dell’Est europeo.
L’Ucraina è in crisi non per l’etnia russofona dei cittadini della Crimea che si sarebbero ribellati alla tendenza europeista degli ucraini occidentali. L’Ucraina è in crisi profonda perché in essa si riflette – quale anello debole del versante orientale dei paesi europei – la crisi che investe l’intera Europa. A differenza che negli anni novanta, quando alla Germania ovest fu possibile annettersi l’altra Germania senza colpo ferire, oggi l’Ucraina si sgretola e una parte corre non verso la madre patria, ma verso le risorse disponibili di gas e petrolio per ….ripararsi dal freddo.
Che dire di fronte a scenari nuovi, come quelli attuali? Alcune cose molto “semplici”: uno, che è principiato un nuovo corso storico; due, che le vecchie potenze coloniali sono destinate sempre di più a entrare in crisi perché è entrato in crisi l’intero Sistema dell’Accumulazione capitalistica; tre, che questa crisi non è detto che debba per forza condurre a un terzo conflitto mondiale come in tanti paventano; quattro, che l’impoverimento generale delle classi proletarie e piccolo borghesi dell’Occidente è destinato ad aumentare fino ad esplodere in violenti moti di piazza, simili a quelli prodottisi in Egitto, Tunisia, Ucraina ecc.; cinque, che nei paesi un tempo colonizzati si è sviluppato il capitalismo e con esso si sono prodotte le classi sociali, con contraddizioni maggiori che nei paesi occidentali perché si tenta di scaricare anzitutto su di loro la crisi globale, sicché i governi di questi paesi si trovano pressati dalla morsa occidentale per un verso e dall’insorgenza delle masse per l’altro verso; l’esempio più chiaro al riguardo ce lo ha fornito l’Egitto; sei, che al momento permane ancora un differenziale non indifferente tra i paesi occidentali e le nuove economie emergenti, ma il fatto nuovo – ecco il punto qualificante da porre in evidenza – è dato dalla presenza, nei paesi a giovane capitalismo, di classi proletarie che non si possono più convogliare in un progetto nazionale di natura antimperialista come nel ciclo economico precedente (Jugoslavia, Cuba, Vietnam, Iran, la stessa Cina,ecc.); sette, che le parole d’ordine dell’antimperialismo si connotano sempre più come strumenti di agitazione programmatica nei paesi occidentali piuttosto che come fattore coagulante nei paesi aggrediti dall’imperialismo stesso; otto, che bisogna essere pronti a scenari di disordini sociali diversamente caratterizzati dal passato anche nei paesi occidentali, e non farsi cogliere di sorpresa, organizzandosi fin da subito ponendo al centro della propria agitazione la crisi del Sistema del Capitale e la possibilità di riorganizzare diversamente la società in funzione del Comunismo.
Dunque, tu proponi una rottura con quello che, da decenni (e a prescindere dalla continuità o meno con l’elaborazione leniniana) è il paradigma degli antimperialisti...
Certo. Pensiamo di nuovo alla Siria: essa non può essere vista come una pedina che viene a essere mossa ora da ovest ora da est, perché è un paese con un proprio ruolo nel mercato mondiale e proprio per rincorrere tale ruolo è costretta a prendere decisioni come le privatizzazioni e i tagli nella pubblica amministrazione. Così ha creato le condizioni per il malcontento di quelle classi proletarie e semiproletarie che, al suo interno, tendono a ribellarsi, seppure in maniera sconclusionata e disordinata. La stessa Romania – tanto per tornare in Europa – fu aggredita dai paesi occidentali proprio perché rischiava di diventare un pericoloso concorrente per gli europei: ciò ha dato per qualche tempo la possibilità di respirare alle economie del vecchio continente, ma oggi la crisi si ripropone in maniera decuplicata, senza più avere nemmeno la Romania da smantellare. Questo vale per la Polonia, per la ex Cecoslovacchia, per la ex Jugoslavia ecc. Insomma il Capitale aveva da compiere un percorso obbligato e ormai lo ha terminato.
Al di là delle parole d'ordine più o meno esatte che possiamo gridare nei cortei, come possiamo concretamente collegarci alle lotte del Mediterraneo in ebollizione?
Sono abituato da sempre a dire pane al pane vino al vino. C’è un solo modo di “aiutare” la sollevazione delle masse proletarie nei paesi a giovane capitalismo, esso è costituito dalla destabilizzazione delle economie dei nostri paesi. Purtroppo l’agenda non la dettiamo noi, ma l’andamento dell’accumulazione del capitale. Sarebbe già tanto rivolgersi alle nuove generazioni con lo spirito di chi capisce che non hanno la stessa prospettiva di quelle precedenti e che la crisi investe anche settori che vanno oltre le categorie squisitamente proletarie. Lo spirito dovrebbe essere quello tendente a una destabilizzazione complessiva piuttosto che quello di chi si ostina a prescrivere ricette per l’osteria della storia. In sostanza, occorre superare il positivismo e l'ansia di protagonismo di certe tendenze della sinistra tradizionale. Sostenere le lotte delle masse dei paesi del Mediterraneo vuol dire denunciare l’intero Sistema del Capitale e chi in maniera coerente o incoerente lo sostiene come unico sistema possibile.
Duro a dirsi, ancor più duro a praticarsi, ma non c’è altro modo di essere di avversare coerentemente il Sistema del Capitale in crisi.
A cura di Stefano Macera e Stefano Santarelli
Il Proletario http://www.michelecastaldo.org/
La vignetta è del Maestro Enzo Apicella
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