SPOGLIARE IL CORPO, VESTIRE LO SGUARDO: UNA ANALISI DELLA MERCIFICAZIONE DEL CORPO NEL CAPITALISMO
di Riccardo Achilli
“Da
tempo il mondo possiede il sogno di una cosa, di cui non ha che da possedere la
coscienza, per possederla realmente” scrive nel 1843 Karl Marx. E l'analisi in
profondità sull'industria del nudo domestico e della “felicità” cui ci invita
l'ultimo lavoro del professor Patrizio Paolinelli, edito da Bonanno, ci guida
con grande acume analitico, e con tutte le connessioni dovute fra sovrastruttura
culturale e struttura economica, dentro i meccanismi attraverso i quali il
capitalismo produce “sogni”, di bellezza, di perfezione fisica, di successo e
prestigio, attraverso i quali arriva a conquistare le coscienze, e quindi, per
dirla gramscianamente, l'egemonia culturale e comportamentale nelle nostre
società.
Con l'approccio metodologico del
sociologo e dell'esperto di comunicazione, ma anche con una solida preparazione
politica ed economica maturata a sinistra, il professor Paolinelli ci offre una
chiave di lettura dell'industria del glamour e del nudo capitalista che, già
dal titolo del libro (Spogliare il corpo, vestire lo sguardo. Il lavoro del
nudo domestico) e dalla ricca documentazione che viene offerta al lettore, con
approccio di concettualizzazione che parte sempre dal dato empirico e
dall'esempio reale, ci invita a ragionare lungo tre macro componenti
concettuali:
-
l'analisi delle implicazioni
economiche e di profitto dell'industria della felicità in sé, con tutto il suo
indotto nel settore della medicina estetica, del marketing, della produzione di
eventi, della moda, della stampa, della cinematografia, della televisione e
della discografia, del turismo, ecc. Si conoscono molto bene i dati di
fatturato dell'industria della cosmetica e della medicina estetica, che
peraltro non sembrano conoscere nemmeno il morso della crisi economica in atto,
e numerosi intellettuali e venture capitalists si stanno avventurando su un
nuovo business di grandissime prospettive: l'ingegneria genetica utilizzata per
manipolare ed abbellire l'aspetto fisico, secondo modelli che richiamano i più
tetri incubi da Migliore dei Mondi di Huxley. Un'industria così promettente da
essere considerata come uno dei settori più interessanti per far risalire il
saggio di profitto medio dopo la crisi attuale, anche per le sue
caratteristiche trasversali, ovvero le sue capacità di attivare pressoché tutto
l'indotto del capitalismo terziarizzato e fortemente innervato di elementi
finanziari delle economie del Primo mondo;
-
l'analisi dell'impatto culturale
dell'industria della felicità sul sistema dei valori, delle credenze, delle
regole, che si traduce in un codice di comportamenti, di disciplina sociale, di
modelli, che ha un significato che va molto oltre la semplice fruizione delle
immagini del nudo domestico o della bellezza fisica, o anche del rapporto
erotico fra uomo e donna, e diventa fattore di coesione sociale lungo strategie
di massimizzazione del controllo capitalistico sull'individuo, fin nel più
profondo delle sue pulsioni e dei suoi desideri. Dentro l'industria della
felicità, ci mostra Paolinelli, lo stesso consumatore diventa co-produttore non
retribuito, collaborando, con la sua attività immaginativa, di introiezione e
proiezione dell'immagine di nudo o di glamour propostagli, ma anche con la sua
attività di “imitazione” del modello di “corpo perfetto” offertogli, al
successo del singolo modello, della singola attrice o cantante, della specifica
campagna pubblicitaria o comunicativa. Azzerando così la distanza fra tempo di
lavoro e tempo libero, e costruendo il sogno (per meglio dire, l'incubo)
capitalistico di un tempo di vita interamente dedicato alla produzione di
plusvalore. Ed al contempo, il sottile gioco fra disinibizione e pudore (senso
del pudore che, come ci mostra il lavoro di Paolinelli, non viene affatto
cancellato o relegato ad epoche lontane, ma utilizzato, in un rapporto
dialettico continuamente rimodulato con l'industria del nudo domestico) tenuto
in piedi dai produttori dell'industria della felicità, al pari del rapporto
dialettico fra mercificazione del corpo femminile e paradigmi delle pari
opportunità e del femminismo, anch'esso tenuto artificiosamente in piedi,
contribuiscono a costruire un sistema di regole e disciplina sociale, tramite
l'autodisciplina imposta sia al fruitore delle immagini, sia ai modelli che
lavorano in tale industria. Sistema di regole che, in ultima analisi, facilita
il controllo politico, soprattutto in una fase così turbolenta come quella
attuale.
-
un modello di mercato del lavoro che
idealizza i fattori più deteriori di precarietà, instabilità, competizione,
elevandoli a valori. La modella o il modello, la rock star trasgressiva, come
Madonna o Lady Gaga, l'atleta che, oltre che competere nell'agone sportivo,
esibisce il suo corpo nelle campagne di marketing o a beneficio della stampa
scandalistica, diventano infatti esempi di “precari di successo”. Gente che ha
dovuto affrontare un mercato altamente competitivo, offrendo una merce per
definizione rapidamente deperibile (la bellezza fisica), con contratti a tempo
e precari, e l'esigenza di dover trovare continuamente un nuovo contratto, e
dovendo saper fare più mestieri contemporaneamente (l'atleta deve anche saper
fare il modello o l'attore pubblicitario, la cantante deve anche saper ballare
ed esibirsi in show erotici o nel burlesque, ecc.). Il paradigma del precario
che arriva al successo delle luci della ribalta ed alla ricchezza,
dell''imprenditore di sé stesso”, attraverso il quale il capitalismo ha reso
socialmente e culturalmente accettabile la destrutturazione del mercato del
lavoro (chi non ricorda Monti che criticava il posto fisso perché noioso).
Evidentemente, sulle pagine patinate dell'industria del glamour, il sangue che
è scorso, facendo migliaia di vittime e falliti, per ogni modella o cantante
che ce l'ha fatta, viene perfettamente occultato e lavato.
Emerge dalla lettura del volume del
Paolinelli un amaro senso di deprivazione, la sensazione di essere stati
violentati sin nel più profondo della nostra natura umana.
Emerge un
capitalismo selvaggio che ha elaborato una filosofia dell'uomo come prodotto
infinitamente malleabile e manipolabile, non solo nell'aspetto fisico, ma anche
nel sistema dei valori e persino dei sentimenti (perché, come ben mostra il nostro
autore, l'industria della felicità ha bisogno anche di manipolare i sentimenti
che legano il consumatore di immagini ai suoi modelli). Un essere umano non
differente da una billetta di acciaio, che può essere laminata e profilata a
piacere. E che non risparmia nessuno, perché le esigenze di segmentazione del
mercato finale impongono al marketing della felicità di coinvolgere le persone
dall'aspetto fisico non gradevole o oramai anziane (ed ecco che vengono
lanciate le campagne per le modelle “oversize”, o per le “mamme italiane”, o
ancora per modelle ultrasessantenni – verrebbe da pensare al Ministro Giannini
che esibisce il topless nelle spiagge italiane, di cui tanto i nostri
rotocalchi hanno parlato).
Un tendenza che non risparmia, a ben
guardare, nemmeno la Chiesa, che finisce per fare la controparte dialettica di
una industria del corpo sorta, nella sue radici, nella cultura della
liberazione personale del Sessantotto, perfettamente integrata dentro le
logiche capitalistiche. Chiesa che, peraltro, appare essa stessa coinvolta
dentro le logiche della comunicazione globale capitalistica, e che quindi “usa
le armi del nemico”, risultando inefficace, perché, anziché ri-costruire una
cultura della dignità e della non mercificazione della persona, parla il
linguaggio del pudore che, come detto, viene mantenuto in vita per esaltare e
rendere ancora più stuzzicante la trasgressione prefabbricata offerta
dall'industria dell'immagine.
Un capitalismo che, in questo modo, ci
priva della nostra identità più profonda, ci priva del diritto di essere umani,
e non bronzi di Riace in carne ed ossa ad uso e consumo dell'industria del
bello, e che parte da un presupposto del tutto materialistico dell'uomo. Un
materialismo gretto, non certo di tipo marxiano (che pone attenzione estrema
allo sviluppo culturale e spirituale dell'uomo) ma di tipo ingegneristico e
produttivistico. E che forse sta iniziando a mostrare le corde: alcuni esempi
di “nuove tendenze” dell'industria del nudo domestico, come il “bottomless”,
non sembrano in grado di indurre rivoluzioni culturali e del costume durevoli e
storiche (come ad esempio quella della minigonna degli anni Sessanta).
Segno di
un inizio di affaticamento dell'industria del bello, di una tendenza verso un
futuro esaurimento delle nicchie di mercato, in termini di stimolo
all'immaginazione di fasce di consumatori ancora libere e sfruttabili? Oppure
segno di un ritorno del pendolo verso il moralismo (come sembra indicare anche
il ritorno di fiamma di motivi legati al fondamentalismo religioso o alla
valorizzazione della famiglia tradizionale nell'agone politico dei Paesi
occidentali) magari per ri-disciplinare società al bordo della perdita di
legami di coesione a causa della prolungata crisi economica, che potrebbe, alla
lunga, anche finire per incrinare l'aura di “esemplarità” e potenziale
“raggiungibilità” dei miti patinati costruiti dall'industria del nudo
domestico, per cui si potrebbe tentare di rivitalizzare i paradigmi
tradizionalisti di epoche storiche meno opulente di quella attuale?
E' ancora
presto per dirlo. Il libro, da leggere, ci offre alcune chiavi per interpretare
ciò che potrà avvenire nel prossimo futuro.
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