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sabato 23 agosto 2014

UN NUOVO MODELLO DI SOCIETA' di Patrizio Paolinelli



UN NUOVO MODELLO DI SOCIETA'
di  Patrizio Paolinelli (*)


Un tascabile di due economisti: Riccardo Achilli e Renato Costanzo Gatti
Quali sono le cause della crisi che stiamo attraversando? E soprattutto come se ne esce? A queste domande rispondono due economisti, Riccardo Achilli e Renato Costanzo Gatti, con un tascabile intitolato “Avanti, a sinistra. L’economia, il lavoro e le prospettive del socialismo europeo” (Factory, 83 pagg., 12,00 euro). 
Come si evince dal titolo, Achilli e Costanzo Gatti affrontano il problema dell’attuale recessione da una precisa prospettiva politica. D’altra parte, per quanto utilizzi gli strumenti del metodo scientifico, l’economia non è affatto una disciplina socialmente neutrale e le sue analisi riflettono sempre sia uno specifico punto di vista che un interesse di classe. Dunque è meritoria la dichiarata presa posizione dei due autori sin dal titolo del loro libro. Evitano così di mettere la scienza al di sopra delle disuguaglianze e dei conflitti sociali e non collocano l’economia in una sorta di iperuranio che nulla ha a che fare col potere (politico e non).
“Avanti, a sinistra” è scritto con un linguaggio accessibile anche ai profani e con taglio agile affronta numerosi temi. Tali temi vanno dal dilemma crisi strutturale o crisi ciclica del capitalismo alla politica economica degli Stati nazionali; dall’impatto della tecnologia sul mondo della produzione al problema dell’occupazione; dalla ricomposizione delle classi sociali alle dinamiche elettorali in Italia e in Europa fino all’attualità dei valori del riformismo. I fili conduttori che percorrono il libro ci sembrano principalmente due: 1) le trasformazioni del rapporto capitale-lavoro; 2) il ritardo culturale della sinistra nella lettura post-fordismo.
Per quanto riguarda il primo punto il fatto che l’Italia sia una repubblica fondata sul lavoro significa che non si basa sulla speculazione né sulla rendita. Dalla caduta del muro di Berlino ad oggi si è invece assistito a un completo ribaltamento di tale concezione. L’economia finanziaria ha infatti spodestato l’economia reale basandosi proprio sul “reddito improdotto”, ossia sul reddito prodotto da altri e di cui le classi improduttive si appropriano determinando eventi catastrofici come il tristemente famoso crollo innescato dai mutui sub-prime. In questo caso, come in altri simili (le bolle immobiliari in Spagna e Irlanda ad esempio), sappiamo come è andata a finire: gli Stati si sono dovuti accollare i debiti prelevando dal mondo produttivo le risorse che sono servite per salvare le banche. Le quali per tutta risposta hanno operato una stretta creditizia di cui hanno risentito in primis i lavoratori dipendenti. Risultato: una recessione di cui non si vede la fine.
A parere di Costanzo Gatti il capitalismo finanziario vive di rapine e “Questo cinico moral hazard è una enorme, stratosferica, immensa redistribuzione di reddito dalle classi produttive alle classi improduttive”. Alla fin fine cosa determina il predominio dei giochi di borsa sul lavoro produttivo? Che il vecchio sfruttamento dell’uomo sull’uomo continua la sua corsa. Anzi la accelera in virtù delle rivoluzioni tecnologiche che fanno del lavoratore della conoscenza e dell’informazione un ipersfruttato. Anche e forse soprattutto in Italia la ricetta di abbassare il costo del lavoro nella convinzione neoliberista di rendere più competitive le imprese si è dimostrata perdente. Per di più le stesse imprese non si sono assunte la responsabilità della loro scarsa produttività – causata da bassi investimenti in ricerca e sviluppo – addossando ad altri (le tasse, la burocrazia statale) la propria incapacità di innovare.

Sul ritardo culturale della sinistra nel formulare un pensiero alternativo a quello della destra liberista si sofferma in particolare Riccardo Achilli. Il quale prende le mosse da un dato di fatto: il ciclo infinito della crescita basato sulla democrazia liberale è naufragato alla prova dei fatti. Ma è su questo mito che si è sviluppata “la rincorsa al centro” della sinistra riformista. Inseguire il ceto medio ha significato perdere il consenso delle classi che tradizionalmente facevano riferimento ai partiti progressisti. Non basta. Strumentalmente la destra si è appropriata di temi cari alla sinistra sottraendole consensi (la Merkel ad esempio ha rinunciato alle centrali nucleari). L’effetto ottenuto è che agli occhi di molti elettori la distinzione fra destra e sinistra risulta sempre più evanescente. 
Come si esce da questa spirale? Con la proposta di un nuovo modello di società. Le indicazioni sono tante e chiare. Ne accenniamo alcune: rilanciare l’occupazione e rafforzare il sistema educativo (formazione compresa); favorire programmi di investimento pubblico nell’innovazione tecnologica; promuovere la qualità della vita e dei servizi sociali; incentivare politiche del lavoro che puntino sia a massimizzare la produttività che a garantire tempi di vita relazionale (anche dentro il luogo di lavoro); rilanciare le cooperative di credito locale e le Mag (mutue per l’autogestione); favorire il privato sociale; sviluppare una seria riflessione sul reddito minimo garantito. Non sappiamo quante di queste indicazioni vedranno la luce. Però i tempi sono forse maturi per uscire da una crisi di cui è responsabile l’élite al potere.

(*) Patrizio Paolinelli, VIAPO, inserto culturale del quotidiano Conquiste del Lavoro, 21 giugno 2014.


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