SINISTRA
ITALIANA/SI: SPERANZA O PRESA IN
GIRO? CE LO DIRA’ LA PRIMAVERA
di
Norberto
Fragiacomo
Sinistra
Italiana/SI: sarà il solito sbiadito arcobaleno?
Dopo
il flop dell’insulsa Rivoluzione Civile, soffocata in culla dai
borbottii né carne né pesce di Ingroia, e il voltafaccia di Alexis
Tsipras la riproposizione dell’ennesima sinistra di alternativa –
composta, per di più, di ex piddini e parlamentari di SeL –
difficilmente poteva scatenare entusiasmi. Chi scrive nutriva seri
dubbi sulla serietà dell’operazione, e ne ha ancora, ma prende
atto di alcune interessanti novità, per ora meramente cartacee.
Scorrendo “La Sinistra si organizza. Ecco il documento” (1) e “Ora unire e allargare la Sinistra” (2) mi sono imbattuto in alcune affermazioni per me lapalissiane, ma
tutt’altro che scontate: si prende atto che “la stagione del
centro-sinistra è finita” e che il PD, “dominato dall’agenda
liberista dell’Eurozona”, è un avversario come tutti gli altri,
che “vive ormai con fastidio il modello disegnato dalla
Costituzione repubblicana”; si seppellisce il falso mito degli
“Stati Uniti d’Europa”, funzionale “solo a svuotare
ulteriormente le democrazie nazionali, assoggettandole al controllo
di organi tecnocratici” (e infatti, sabato scorso, il messaggio
europeista di Santa Laura Boldrini è stato sonoramente fischiato);
si osa auspicare una “sinistra patriottica per la sua
capacità di rappresentare in chiave non regressiva i bisogni
profondi della nostra comunità nazionale”, pensionando quel
surrogato di sano internazionalismo che, per riflesso pavloviano,
nascondeva agli occhi di tanti compagni la natura oppressiva ed
antidemocratica dell’Unione Europea. Certo, ci sono anche gli
strali lanciati contro il fantasma della “Cosa
rossa”, che il buon Landini non ha alcuna intenzione (né il
coraggio) di battezzare, ma questa è fuffa, un espediente
comunicativo per allontanare da sé l’accusa sempre in canna di
estremismo, immediatamente scagliata, comunque, dai pennivendoli
“progressisti” agli ordini di Matteo Renzi.
Non
so chi abbia scritto materialmente i documenti, ma ad ispirarli è
stato senz’altro Stefano Fassina, il più lucido e preparato fra i
fuoriusciti dal PD. Quasi tre anni fa gli dedicai un articolo al
vetriolo, che non rinnego affatto (Stefano Fassina conservatore doc):
allora recitava un ruolo ambiguo, ma a differenza di numerosi
compagni il sottoscritto ritiene che gli uomini possano cambiare, in
meglio o in peggio, per effetto di esperienze, letture, prese di
coscienza e drammi personali. Pensate che sarebbe successo se Lenin,
anziché riavvicinarsi a Trotsky, lo avesse crocifisso al suo passato
di menscevico!
Fassina,
dicevo: è stato l’anima e il protagonista indiscusso
dell’assemblea di sabato a Roma, dettando la linea e lanciando
messaggi a loro modo rivoluzionari, indigeribili per chi antepone
l’etichetta al contenuto (solo parole, dirà qualcuno: ma è la
capacità di articolarne a distinguerci dagli animali, ed anche
Costituzioni, manifesti e leggi non sono, in fondo, che una sequenza
di parole). Non c’è soltanto l’accenno al “patriottismo”,
termine di cui conviene riappropriarsi dopo averlo ripulito dalle
scorie nazionaliste: piacciono a chi scrive l’apertura a Diego
Fusaro – che del messia ha solo qualche atteggiamento, ma come
pensatore è stimolante (3) - l’accenno all’irrecuperabilità del PD e l’impegno
assunto a non sostenerne “per consuetudine” i candidati in
eventuali ballottaggi amministrativi. Quella che è stata bollata
come un’apertura al M5S è nient’altro che il (prezioso)
riconoscimento che il fatto di provenire da un’esperienza
comunista, nel frattempo tradita, non dà diritto ad una delega in
bianco: si valutino i programmi, non i pedigree!
Viste
le premesse sono andato a sentirmi il compagno Fassina al Caffè S.
Marco di Trieste, lunedì pomeriggio: era fra noi per presentare il
libro “La Germania: il problema d’Europa?” del sempre
acuto professor Pastrello. Si sarebbe discusso di Europa, ed io avevo
in mente di intervenire, ponendo uno o due quesiti. Non l’ho fatto,
la piega presa dalla conversazione li avrebbe resi inutili o
“provocatori”, e alla fine me ne sono andato deluso e un po’
triste per aver appreso della scomparsa di Luciano Gallino, un uomo
che – a 88 anni – aveva ancora moltissimo da dire. Perché
deluso? Perché Fassina ha detto cose sacrosante sul PSE (“subalterno
da trent’anni al paradigma liberista”) e, in particolare,
sull’SPD (“è indistinguibile dai conservatori, liberista al
100%, indisponibile a prendere anche solo in considerazione l’ipotesi
di investimenti pubblici”), ha spiegato che l’austerità e le
“riforme strutturali” sono connaturate all’ideologia
ordoliberista imperante anzitutto in Germania (che per lui è
effettivamente il problema d’Europa), perché “i trattati, da
Maastricht al Fiscal compact, funzionano attraverso la sistematica
svalutazione del lavoro e perciò sono insostenibili, come ammettono
anche gli economisti mainstream” – ma sull’euro e
l’Unione Europea si è prodotto in una ritirata strategica che non
prevedevo. Ricordando Gallino – il quale nel suo ultimo articolo,
datato 22 settembre, sosteneva la convenienza per l’Italia di
uscire dalla moneta unica – ha detto testualmente, se i miei
appunti non mi ingannano (comunque la sostanza è questa): “io
sul punto non sono d’accordo. Si potrebbe valutare un’uscita
condivisa dall’euro senza uscire dalla UE e senza forzature”.
Era
questo il Piano B cui aveva fatto riferimento in precedenza? Se sì è
ben misera cosa, e non solo pel fatto – ricordato con efficacia da
Pastrello – che i mercati ci guardano, e anticipano le nostre
azioni: se mai si formasse, il fronte mediterraneo che Fassina
auspica si troverebbe a trattare, “a legislazione vigente”, da
una posizione di estrema, irrimediabile debolezza. La stessa lettura
fassiniana della crisi, pur eccessivamente germanocentrica, esclude
in radice la possibilità di una resipiscenza di Berlino e Bruxelles,
che rifiuterebbero qualsiasi concessione proprio perché convinte che
la loro politica “ordoliberista” sia l’unica meritevole di
essere perseguita. Per ottenere qualcosa le “forzature”, finanche
i ricatti sono indispensabili – e tuttavia non risolverebbero il
problema, perché la UE, al pari del PD e del SPD, è assolutamente
irrecuperabile, votata ad un progetto di dominio,
privatizzazione e sfruttamento che non conosce alternative. Che senso
ha dire no – anzi, ni - all’euro tenendosi libertà di
stabilimento (=diritto di delocalizzazione) e libera circolazione dei
servizi? L’errore assomiglia a quello di Paolo Ferrero, che dopo
aver paragonato la UE al nazismo dice che comunque Tsipras ha fatto
bene a negoziare fino alla fine, visto che non aveva altre
possibilità. Ma allora tanto valeva accettare senza lamentarsi il
proprio destino (la “gabbia d’acciaio” di Fusaro), come fa la
vittima che, persuasa di non essere in grado di sopraffare il suo
aguzzino né di potergli sfuggire, affida mesta l’anima a Dio,
reputando più dignitoso rivolgere una preghiera ad un ipotetico
Altissimo che sprecare il fiato con uno spietato delinquente.
Miopia
da economista che pensa il futuro in termini di numeri e formule
assai somiglianti a scongiuri o semplice diplomazia, desiderio di non
spaventare troppo un uditorio comunque scosso, e che la replica di
Gabriele Pastrello (“Io sono più pessimista di te… la proposta
dei cinque saggi tedeschi di meccanismi di cacciata automatica per i
Paesi con debiti pubblici troppo alti mi ha ricordato Carl Schmitt:
lo sfondo delle politiche economiche tedesche è il Grande Spazio al
cui interno c’è una potenza che ordina, gerarchizza”) non ha
contribuito a rasserenare? Me lo chiedevo iersera e me lo chiedo
anche adesso, mentre butto giù queste righe.
Gli
interrogativi si accavallano, ansiogeni, ed uno mi viene suggerito da
un commento della compagna Nerla (“se Fassina, il migliore fra
quelli di SI, è stato deludente, figuriamoci sentire gli altri”):
tutti i proclami e i proponimenti di questi giorni, da me apprezzati,
non rischiano di restare cartacee buone intenzioni? Il furbo Michele
Emiliano già briga per fare di SI un satellite del PD, spendibile
nell’immediato e soprattutto in un ipotizzabile dopo-Renzi, ma –
anche al di là di ciò – siamo davvero convinti che i cacicchi
locali di SeL rinunceranno a cuor leggero a remunerative alleanze
elettorali, cioè a posti e prebende? In Friuli Venezia Giulia, ad
esempio, questo è da escludersi… non è assurdo pensare che l’idea
di concedere inizialmente la ribalta al lucido e combattivo Fassina
sia stata cinicamente concepita da gruppi di potere interessati ad
“ammorbidire” il PdR con la minaccia di un sabotaggio elettorale.
Per
quanto mi riguarda, sono dell’avviso che una sconfitta di Renzi
alle elezioni amministrative (non importa da chi inferta) gioverebbe
al Paese e alle classi subalterne – se perciò la linea indicata da
Stefano Fassina diventasse quella ufficiale di SI ne prenderei atto
con soddisfazione.
La
matassa si dipanerà a primavera.
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NOTE
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