BERLUSCONI IN CAMPO (PER SCHIACCIARE IL GRILLO?)
di
Norberto Fragiacomo
La sostituzione è stata effettuata nel finale, a partita già ampiamente compromessa - ma l’insperata conquista dei tempi supplementari, complice una gragnola di autogol firmati PD, è costata carissima alla riserva, che, senza neppure aver sfiorato la palla, se ne torna mestamente in panchina (anzi, viene inghiottita dagli spogliatoi): come ricordava uno spot televisivo, “il titolare ha i suoi privilegi”, specie nel caso in cui della squadra sia fondatore, regista e padrone.
Sarà pure “agghiacciante” il ritorno di Berlusconi in politica (Bersani dixit), ma non più delle vicende avvenute negli ultimi mesi all’ombra dei Monti, ed in ogni caso non è il risultato di un colpo di sole, e neppure una bizzarria politica. Il sospetto è che, al di là delle dichiarazioni ad uso di media e gregge, il cavaliere in campo sia utile a parecchi, Presidente del Consiglio e vertici “democratici” inclusi.
La primavera del 2012 sarà ricordata a lungo come la stagione del primo vero massacro sociale del dopoguerra – ma anche per la formidabile ascesa del Movimento 5 Stelle, capace di prendersi Parma e di distanziare, nei sondaggi, l’incompiuta SeL, l’IDV e persino il PDL rantolante. Gli imprevisti trionfi di Grillo preoccupano l’elite - quella internazional-liberista di cui fa parte il potentissimo Mario Monti - non perché lo showman genovese abbia velleità rivoluzionarie (la sua vita non è quella di paladino della giustizia sociale o di un asceta, tutt’altro!), bensì pel fatto che la nuovissima formazione rappresenta un rebus per gli analisti, e fonda comunque il suo successo sul rifiuto della politica tradizionale ma anche, sia pure in seconda battuta, dell’austerità spacciata per toccasana.
L’appoggio incondizionato a Monti – ed a misure che angosciano anche chi non scorge alternative al rigore – ha azzerato quell’avanzo di popolarità che ancora restava ai partiti: l’astensionismo galoppa, e cresce di pari passo la convinzione che nella notte finanziaria tutte le vacche (“moderati”, cattolici e progressisti) siano ugualmente nere, e docili ai capricci dei mercati. Non sono le casalinghe di Voghera a dar credito a Grillo (quelle votano a comando), ma persone almeno parzialmente consapevoli dell’estrema gravità della situazione attuale, e dell’impossibilità di uscirne seguendo sentieri “tradizionali”. Al Beppe nazionale, percepito come unica alternativa disponibile al montismo, si chiede un colpo di bacchetta magica o, perlomeno, un minimo di resistenza alle pressioni europee: non voto di protesta, dunque, bensì (quasi) di disperazione.
Basta questo a preoccupare i “mercati” e, di conseguenza, i fautori dell’operazione Monti – e forse qualcuno si è convinto, in alto loco, che il rinnovato impegno del “padre (ig)nobile” del PDL/Forza Italia potrebbe frenare l’astronave 5 Stelle.
Berlusconi lo si ama o lo si odia: è questo il suo punto di forza, ciò che lo rende – oggidì – estremamente “prezioso”. La sua presenza, in tivù e sui giornali, potrebbe dividere nuovamente gli italiani in due tifoserie, con l’effetto di distogliere l’attenzione popolare dalle urgenze quotidiane: “Silvio tra noi” significa il ritorno al tifo da stadio, alle contrapposizioni preconcette, sterili e urlate – degna colonna sonora della macelleria montiana. Una cortina fumogena, insomma, dietro la quale celare la rapina del secolo.
Se le cose stessero come ipotizziamo, l’allarme lanciato, nei giorni scorsi, dalle cancellerie e dalle istituzioni europee [1] non andrebbe preso troppo sul serio, ed anche l’invettiva bersaniana andrebbe derubricata a folklore o – per essere precisi – a “chiamata alle armi” dei fedeli contro l’eterno avversario; ben più significativa (e rivelatrice) sarebbe l’uscita del nipote di Gianni Letta riportata dal Corriere della Sera: “Preferisco che i voti vadano al PDL piuttosto che disperdersi verso Grillo”, perché quest’ultimo è il maggiore ostacolo sulla strada di un “governo politico competente che sia in continuità con Monti, come contenuti e come uomini”.
Il vicesegretario del PD ha reso una piena confessione, cosa pretendiamo di più? Il programma di governo del centrosinistra fa rima con austerità, e per disinnescare la mina Grillo va bene anche l’artificiere Satironi, che è più facilmente attaccabile, è ormai “di famiglia”, e soprattutto sa stare al gioco.
Tutto si può dire di SuperSilvio, ma non che gli faccia difetto il fiuto politico: se si imbarca in questa avventura è perché ritiene di avere le spalle sufficientemente coperte o, al contrario, per l’assenza di alternative. Soltanto gli ingenui e gli ultras possono credere alla favola che la ritirata novembrina abbia a che fare con il “senso dello Stato” (di cui l’uomo è notoriamente sprovvisto): allora ci fu un persuasivo attacco a Mediaset da parte dei “mercati” [2], che rafforzò la convinzione del premier di essersi ficcato in un vicolo cieco, sinistramente illuminato dalla lettera della BCE.
Nei mesi successivi il titolo Mediaset ha recuperato buona parte delle perdite, passando da 1,851 (24 novembre) a 2,582 euro (9 febbraio), per poi tornare a scendere abbastanza precipitosamente e toccare il punto più basso (1,144 euro) il 14 giugno scorso. Da allora si nota una leggera ripresa: il 13 luglio, alla chiusura della borsa, l’azione valeva 1,261 euro [3], contro i 3,298 (quasi il triplo!) di un anno fa. Il trend sarebbe “moderatamente negativo”.
In un anno circa l’indice FTSE Italia All-Share [4] ha perso parecchio (oltre il 27%), ma – in proporzione – assai meno di Mediaset.
Ad ogni modo, giugno è stato, per la Borsa italiana e per l’impero berlusconiano, un mese nerissimo: a questo shock, forse, può ricollegarsi la scelta, maturata ad inizio estate, di segnare il territorio e riprendere la partita (e il partito in via di dissoluzione).
Mettiamola così: avesse ricevuto la garanzia di essere lasciato in pace sul piano economico oltre che su quello giudiziario, il cavaliere se ne sarebbe rimasto in disparte, a sollazzarsi con qualche fanciulla in saldo; visto invece che le cose erano un tantino più complicate, Silvio ha rimesso mano al giocattolo, offrendo il suo contributo per la normalizzazione dell’Italia. A giudicare dalla risposta dei mercati – non negativa – e di quella sussurrata dalla politica, pare di poter dire che, per il momento, l’azzardo si sta rivelando vincente.
E’ conscio, il nostro, di ritagliarsi un ruolo di sparring partner (sia pure di peso: protagonisti assoluti sono e saranno i tecnici), e di non avere particolari speranze di ritornare al governo, ma crediamo che la questione non lo angusti più di tanto: da sempre egli vede nella res publica nient’altro che uno strumento per perseguire i suoi privatissimi interessi.
L’inedita alleanza de facto tra destra berlusconiana e centro-senza-sinistra in funzione anti Grillo dovrebbe spianare la strada ad un Monti-bis (o a qualcosa di analogo, nel caso il Professore fosse omaggiato della Presidenza della Repubblica), facilmente giustificabile - dopo una campagna elettorale isterica ma svuotata di contenuti concreti – con l’argomento dell’impossibilità di formare una maggioranza “politica”. E la legge elettorale? La sua riscrittura o, all’opposto, il mantenimento di quella attuale saranno funzionali alle esigenze tattiche del momento: una decisione verrà presa – scommettiamo - solo ad autunno inoltrato.
Per richiamare la metafora calcistica iniziale, ci aspetta, nei supplementari, una violenta melina, che manderà gli spettatori in confusione.
Solo l’inserimento, in questo schema, di una variabile non presa in considerazione – la nascita di una battagliera Sinistra unitaria, ostile al montismo e indisponibile a mucchi selvaggi – potrebbe ostacolare l’esecuzione del piano, la cui riuscita sarebbe invece agevolata dal rientro nei ranghi (di un centro-sinistra fasullo a trazione piddina) di una o due forze che si dichiarano alternative, ma probabilmente ambiscono soltanto a rimettere piede nel palazzo, poco importa se dall’ingresso principale o da quello di servizio.
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