Questa volta – ma solo per questa volta - gli “allegri votanti” hanno gridato in Parlamento un no squillante.
Nessuna sorpresa: non si trattava, in fondo, di cancellare, con un tratto di penna “rossa”, diritti pensionistici acquisiti, né di consegnare il destino dei lavoratori nelle mani di padroni ottocenteschi, o di violentare la Carta Costituzionale. Chi ha controfirmato, con maschere di circostanza, tutte le porcate del Governo Goldman Sachs non poteva che gettare il proprio salvagente alla grinzosa, irascibile Fornero - Sacconi in gonnella che, pur non avendo ripassato la Costituzione e neppure le tabelline (esodati docent), sa benissimo a chi far pagare il prezzo della crisi made in USA. D’altronde, da una stregona della previdenza privata non ci aspettavamo altro, così come non ci attendevamo un soprassalto di dignità (?) dal carro di Tespi malamente condotto da Bersani.
Domani, statene certi, i piddini torneranno ad assentire – quando ci sarà da approvare la distruzione della sanità e da tagliare i buoni pasto a ricconi che guadagnano 1500 euro scarsi al mese. Lo scopo non è ovviamente quello di “raddrizzare i conti” (una goccia di risparmio si perde nel mare del debito): l’obiettivo è azzerare lo Stato sociale, in ossequio agli ordini dei privatizzatori d’oltreoceano. Qui non occorre neppure esibire le prove di quanto, peraltro, scriviamo da quel dì: basta ciò che i giuristi definiscono “fatto notorio”.
Che cos’è, infatti, la spending review se non un rivoltante maramaldeggiare sul cadavere ancora caldo del welfare? Il decreto, licenziato nella serata di ieri, è incommentabile, a meno che non si voglia ricorrere ad un turpiloquio liberatorio: ruba risorse alla scuola pubblica (si parla di 200 milioni) per darle alle lobby – cattoliche e non – che ingrassano su quella privata; riduce Regioni, Province e Comuni a scatole vuote, sbianchettando 7,2 miliardi di risorse che non sono numeri su un bilancio, bensì prestazioni sanitarie, servizi sociali e posti di lavoro; si accanisce su pubblici dipendenti che da anni (per effetto di precedenti manovre) vedono il loro potere d’acquisto diminuire. Ma sì, mandiamoli in strada tutti quanti! Prima, però, vediamo di umiliarli a dovere: costringendoli ad andare in ferie quando vogliamo noi, tagliuzzando le già magre indennità di mensa.
Il tutto risulta insaporito dai soliti tagli lineari, ingredienti ideali per una “riforma” che nessuno ha in mente di fare. Certo, saranno in parecchi a gioire per questo giro di vite sugli statali (e i dipendenti pubblici in genere), ma, in tutta franchezza, del riso delle iene ci importa poco. Ciò che davvero inquieta è che l’obiettivo della pubblicizzata “revisione di spesa” non è punire qualche scansafatiche, bensì fare a pezzi l’amministrazione pubblica, unica garanzia di cittadinanza per chi, avendo più cultura ed onestà di Marchionne, sopravvive con mille euro al mese.
Vi dispiace quest’analisi, replica aggiornata di innumerevoli altre? Pazienza: neppure a noi piace l’andazzo generale, ma tocca sorbircelo, berlo – per citare Alfred Tennyson – “fino alla feccia”.
Comunque, tranquilli, in Parlamento non succederà nulla: la Banda Bersani farà passare anche questo schifo, che cancella enti utili (come l’Osservatorio Geofisico di Trieste, all’avanguardia), ma non gli ambiti consigli di amministrazioni delle S.p.A., colonizzati da politic(ant)i passati di moda.
L’ex comunista Bersani (ma può essere mai stato comunista, costui? Mi sa di no, i comunisti erano gente magari un po’ inquadrata, ma seria) ha commentato, una volta respinta la mozione di sfiducia contro la Fornero, che bastava “ascoltare le motivazioni della Lega per votare contro”. Bravo, davvero bravo… peccato non abbia prestato orecchio alle argomentazioni, alquanto più convincenti, dell’amico Di Pietro che, a ragion veduta, ha accusato il ministro di aver mentito sulla questione esodati.
Precisiamolo subito: plaudiamo all’iniziativa del leader IDV, ma attribuirle un significato “rivoluzionario” sarebbe da ingenui. La mossa, di per sé abile, è una captatio benevolentiae rivolta agli elettori di sinistra, mica una rottura. Se Di Pietro avesse creduto fino in fondo nella possibilità di sfiduciare la ministra, avrebbe posto un aut aut al PD, e si è ben guardato dal farlo – peggio ancora: mercanteggiando sulle primarie, ha dimostrato di non voler affatto cambiare le regole del gioco “democratico”. Niente più che un bluff, dunque, un tentativo di alzare il prezzo – e Bersani, che è uno navigato, finge di non aver visto né sentito, e continua ad inciuciare con Azzurro Casini. Quest’ultimo, a sua volta, approva la “cura” Monti senza piagnistei ipocriti: avendo sposato Caltagirone, sa bene che neppure una goccia dello tsunami in arrivo bagnerà il suo abito di sartoria.
Ma il problema, in fondo, non è l’UDC, partito dichiaratamente montiano e di destra: è il PD stesso, che qualcuno – non si sa per quale motivo, dabbenaggine individuale a parte - persevera a ritenere di “centro-sinistra” (già la formula, di per sé, è una contraddizione in termini, ma sorvoliamo).
Per intendere cosa sia – è soprattutto cosa non sia – il PD, è opportuno spiluccare le dichiarazioni disseminate qua e là dai suoi dirigenti “di spicco”, gente scelta, al pari di Calearo, sulla base di capacità e merito.
Maria Anna Madia è una trentenne di indubbia avvenenza, oltre che la pupilla di Veltroni, che l’ha voluta in Parlamento per contrapporre la bellezza “di sinistra” a quella, più dozzinale e sguaiata, delle frequentatrici di Palazzo Grazioli. A lei, jeunesse oblige, è stata affidata la dichiarazione di voto piddino sul disegno di legge di controriforma del Diritto del Lavoro – quello, per essere chiari, che cancella cinquant’anni di conquiste politico-sindacali e penalizza i vecchi, beffando al contempo quel 99% di giovani che non hanno la fortuna di sedere su uno scranno di Montecitorio “senza sapere nulla di politica” (ipsa dixit).
Cosa ci racconta l’affascinante Madia? Che <<la mia generazione rivendica di avere difeso il principio del diritto a non essere licenziati. Lo rivendica la mia generazione, che è cresciuta e ha iniziato a lavorare in un'epoca di precarietà. Precario etimologicamente, viene dalla parola prex, che in latino significa preghiera (eccellente! Si è pure studiata la lezione…), colui che ottiene per concessione e non per diritto. (…) Certamente, è vero, rimangono ancora tante tipologie contrattuali (se n’è accorta!), ma è anche vero che il confronto va fatto rispetto al punto di partenza. Se noi guardiamo da dove partivamo prima di questo provvedimento, posso assicurare a tutte le generazioni di precari che i passi avanti ci sono e sono molti (quali? Non ce lo rivela… gli assiomi, d’altra parte, vanno presi a scatola chiusa). Poi ci sono tanti altri aspetti positivi. Penso, ad esempio, al riconoscimento del contratto a tempo indeterminato come contratto buono, come contratto da incentivare (è giovane: normale che creda ancora alle favole!).>> La “nostra” rappresentante si concede pure qualche critica (<<Signora Ministro, aveva parlato di reddito minimo di cittadinanza, ma noi sappiamo - e lei ce lo ha detto - che c'è un problema di risorse pubbliche. Aveva parlato di ammortizzatori universali, e però, ancora, noi non avremo con l'approvazione di questa legge, un sostegno al reddito per tante persone che lavorano, per i collaboratori a progetto, per le partite IVA. Non c'è Aspi né mini-Aspi e neanche la volontà politica di allargare i criteri per accedere al bonus precari, quel bonus una tantum oggi vigente>>), ma la colpa, si sa, è del destino cinico e baro, non certo del Governo: <<È chiaro che questo problema degli ammortizzatori si lega al tema della crisi, perché la responsabilità della classe dirigente vuole oggi che si sostengano tutte le persone e tutte le generazioni che oggi soffrono per la crisi.>> La conclusione è inevitabile: <<Per queste ragioni il gruppo del Partito Democratico voterà a favore di questo provvedimento oggi>> (ma, siamo tentati di soggiungere, anche domani e dopodomani).
Seguono applausi da tribuna vip: la rielezione di Cenerentola è assicurata. Colei che non capiva nulla di politica si è dimostrata un’eccellente allieva, ed è ormai una piddina doc: capovolgendo la frase del vescovo di Rohan, piange, ma toglie.
Questo è il presente, questo sarà il futuro – e questo sarebbe stato il passato prossimo, se Mister President, a novembre, non si fosse inventato l’operazione Monti, e fossimo andati a regolari elezioni. Quella della BCE, insomma, non sarebbe rimasta… lettera morta: i democratici l’avrebbero diligentemente ricopiata, e trasfusa nel programma di governo.
Oggi il PD impersona il “poliziotto buono”, quello che, canticchiando il regolamento, bastona con ostentata, dignitosa compassione e, mentre finge di disapprovare il bruto berlusconiano, collabora con PDL e compagnia all’annientamento della classe lavoratrice.
Come nelle puntate precedenti, il “malumore” bersaniano per la spending review, che dà il colpo di grazia (anche) al regionalismo e agli enti locali, è finalizzato ad ottenere dal Governo Monti qualche concessione di facciata, che verrà sbandierata in pubblico col beneplacito di chi comanda.
La realtà è sotto gli occhi di chi la vuol vedere: oramai, in Italia (e nel resto d’Europa), esiste un blocco granitico, che va dal Quirinale a Monti, da Satironi a Bersani… un muro innalzato dalla finanza USA per fucilarci tutti, in nome del there is no alternative.
Non è più tempo di iniziative demagogiche: guadagnare l’1% nei sondaggi non serve a niente, e quasi a nessuno. La Sinistra ha un’unica scelta (e se non la fa, merita di sparire): denunciare il voltafaccia dei sedicenti democratici, lasciarli al loro destino di complici, sfiduciare le loro giunte in tutto il Paese, o perlomeno pretendere, pena l’abbandono delle maggioranze, la riscrittura o il rispetto dei programmi elettorali.
Quanto alle famose primarie di coalizione, si può e si deve farne a meno, per il semplice motivo che non è lecito coalizzarsi con chi sta dall’altra parte della barricata, e va giudicato – alla luce dei fatti, non delle chiacchiere – un avversario politico.
Dovendo cercare un interlocutore, meglio i grillini del PD; ma visto che, come suggerisce il detto, “chi fa da sé, fa per tre”, tocca alle forze di Sinistra raggrupparsi, scrivere un programma genuinamente anticapitalista e, infine, proporsi ai cittadini e alle piazze. Magari si perderà, ma ci sono tante maniere di perdere – ed arrendersi al torbido “realismo” bersaniano è di sicuro la più indecorosa.
Dobbiamo imboccare la via stretta e disagevole che ci si apre dinanzi, e lasciare al PD quella del disonore.
Norberto Fragiacomo
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