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i Quaderni di Bandiera Rossa "La Storia è finita" di Norberto Fragiacomo
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sabato 26 gennaio 2013

APPUNTI SU SABATTINI - 4) La fine del sindacato




di Lorenzo Mortara
Rsu Fiom Rete28Aprile


Pubblichiamo la quarta parte (delle cinque previste) degli Appunti su Sabattini. Qua per comodità del lettore, segnaliamo a mo' di indice le cinque parti con il relativo link di quelle già pubblicate: 





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APPUNTI SU SABATTINI: QUARTA PARTE



LA FINE DEL SINDACATO

Siamo così arrivati alla fine dei suoi discorsi. Incapace di trovare una strategia che rappresentasse in tutta la sua complessità il lavoro, cioè sia dal lato economico che politico, il sindacato pervicacemente interclassista si avvia alla sua estinzione. È questo il senso del discorso che Sabattini tiene sempre a Reggio Emilia, alla Camera del Lavoro, l’11 Luglio 2003, all’interno di un seminario su “Catene al lavoro. Il controllo sociale dentro e fuori la fabbrica” in collaborazione con il Centro Studi R60 e l’Associazione Storie in Movimento.
Siamo al primo atto di un dramma che proprio in questo momento vede più e più repliche aggravate. Si è appena consumato il contratto separato tra Fim-Uilm e la Federmeccanica. E allora come oggi, si è firmato in blocco quello che voleva solo la parte padronale: «l’accordo non conteneva alcun elemento delle piatteforme presentate da quelle organizzazioni che l’hanno firmato sottoscrivendo esattamente ed esclusivamente la posizione presentata da Federmeccanica e Confindustria». Leggendo, il lettore non troverà solo questa analogia, ma anche tutte le altre. Governi e Parlamenti che vengono in soccorso dei padroni per cambiare leggi scomode che garantiscono i diritti ai lavoratori, padroni che chiedono più flessibilità e che danno aumenti legati unicamente all’incremento della produttività, tentativi di liquidazione dei contratti nazionali e del potere di coalizione dei lavoratori con accordi sottobanco non sottoposti al voto di nessuno.
Se pensiamo che dieci anni dopo, i discorsi padronali sono più o meno gli stessi, col non piccolo problema che da allora molti dei loro sogni sono riusciti a metterli nero su bianco, trasformandoli in realtà, allora la prima riflessione che viene spontanea è questa: se da dieci anni a questa parte i discorsi son sempre gli stessi, è davvero esistita prima una classe padronale diversa da questa, e più attenta all’essere umano e meno all’Homo Oeconomicus? E la risposta è no, non è mai esistita e mai esisterà una borghesia di tal fatta, i discorsi padronali del 2003 sono uguali a quelli del 2013 come a quelli del 1903 e a quelli ancora più indietro che risalgono ai suoi esordi dell’Ottocento. Se qualche volta non li abbiamo sentiti uscire dalla loro bocca, è perché qualcuno gli ha suggerito che fosse meglio rimandarli aspettando tempi migliori. E questo qualcuno altri non è che il movimento operaio con tutta la forza della sua lotta, e la paura che in determinati momenti ha saputo mettere loro addosso. Ma dentro, nel loro cuore arcigno di padroni, non c’è mai stato spazio per null’altro che non fosse il profitto. Ogni cosa, operaio compreso, doveva e deve essere ridotta a merce pura e semplice, senz’altro diritto che quello di scambiarsi sul mercato al suo valore, pazienza se in tempi di crisi questo scende a zero. È il capitalismo, la legge della (loro) natura.
Sabattini ripercorre le tappe che hanno portato la borghesia a riprendere coraggio e a ritirare fuori i suoi discorsi più autentici: l’avvento di Reagan e della Thatcher, il crollo dello stalinismo e tutto quello che oggi prende il nome un po’ volgare e fuorviante di neoliberalismo o neoliberismo. In questo quadro, bisogna riconoscerlo, emerge la grandezza della borghesia che non si scompone praticamente mai e passa come un rullo compressore o come un Panzer sopra chiunque provi a intralciarle il cammino, segno della grande, immensa coscienza, anche storica, che ha del suo interesse. Il suo strabiliante successo si deve certamente a questo, ma non sarebbe stato così evidente se non avesse avuto come controparte dei dirigenti del movimento operaio così incoscienti degli interessi dei lavoratori. Sabattini certamente non è tra questi, lo abbiamo visto esaminando questi quattro discorsi, e ancora lo vediamo nelle ultime righe quando smantella l’ultima euforia dei padroni. Oltre all’accordo separato, la borghesia ha appena scorticato i lavoratori con la Legge Biagi, e come suo costume si lascia andare a deliri di onnipotenza. Immagina un mondo con fabbriche al buio completamente automatiche senza più bisogno di lavoratori (anche noi, di passata, le sogniamo, perché sarebbero perfette per instaurare praticamente all’istante il socialismo, con la coincidenza, per un’unica sublime eccezione, della teoria marxiana sull’estinzione graduale dello Stato con la teoria anarchica dell’estinzione immediata). Sabattini è bravo a vedere sotto questo mito, dietro il quale vanno anche oggi ancora in molti, l’ennesima ristrutturazione padronale, con l’esternalizzazione di quasi tutta la produzione a fabbriche decentrate che lasciano alla fabbrica madre solo l’assemblaggio. Tuttavia, nella esternalizzazione non c’è solo il tentativo padronale di liberarsi dal controllo sindacale, ma anche il frutto tecnicamente più genuino e oggettivo della divisione internazionale del lavoro che viaggia di pari passo con lo sviluppo capitalistico. Perciò alla segmentazione del lavoro su scala mondiale, non si può che rispondere con una ricomposizione internazionale dell’unità dei lavoratori. Senza classismo non è possibile rappresentare integralmente il lavoro, e senza internazionalismo non è più possibile alcun sindacato di classe. Quest’aspetto non è molto chiaro a Sabattini, l’internazionalismo del problema sembra sottovalutarlo. Eppure la fine del sindacato è proprio la fine dell’internazionalismo, e un sindacato che riprenda il suo cammino di classe senza andare più in là degli angusti confini nazionali, è destinato, nel migliore dei casi, a vedere fallire rapidamente le sue prime iniziali vittorie.


Stazione dei Celti
Gennaio 2013

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