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lunedì 31 marzo 2014

Perché la socialdemocrazia è superiore? La vecchia storia delle pere, di Riccardo Achilli



di Riccardo Achilli



La socialdemocrazia è il sistema che garantisce la migliore combinazione fra efficienza allocativa e equità distributiva. Vediamo perché.
Ipotizziamo che la società sia costituita soltanto da due individui: un produttore ed un non produttore. Il produttore ha un albero di pere, e  lo coltiva. Il non produttore, invece, siccome l’albero di pere è collocato proprio al confine fra il suo terreno e quello del vicino, non lavora, ma mangia le pere che cadono dall’albero sul suo terreno. Il non produttore potrebbe essere un rentier che vive dei frutti del lavoro del primo, ma potrebbe anche essere un poveretto, un disoccupato sul cui terreno le pere non possono crescere.
Supponiamo di trovarci in una situazione, del tutto teorica, in cui sia possibile calcolare le utilità marginali che ognuno dei due individui ricava dal mangiare le pere, e che quindi, per sommatoria, sia possibile ricavare la funzione di utilità sociale, con la consueta ipotesi di utilità marginale decrescente al crescere del numero di pere ingurgitate. Supponiamo, per semplicità, di trovarci in una situazione in cui non ci sono costi di transazione e i costi di produzione non dipendono dalla distribuzione dei diritti di proprietà fra i due individui, l’informazione è perfetta e simmetrica, ed i due individui sono razionali, quindi massimizzano la loro funzione di utilità (successivamente, alcune di queste ipotesi teoriche saranno rimosse). Supponiamo, ancora una volta soltanto per mera semplicità, che entrambi abbiano la stessa funzione di utilità marginale rispetto alle pere, e che questa funzione, monetizzata in euro, sia la seguente:

Numero di pere
Produttore
Non produttore
Totale utilità marginale
1
35
35
70
2
30
30
60
3
25
25
50
4
20
20
40
5
15
15
30
6
10
10
20
7
5
5
10
8
0
0
0

Naturalmente il produttore ed il non produttore sono in conflitto di interessi. La produzione di pere genera una esternalità (cioè un valore economico esterno alla produzione stessa) a favore del non produttore, che ne gode. Il produttore intende limitare l’accesso del non produttore alle sue pere, però entrambi non spingono il loro conflitto al punto di non ritorno, cioè di condannare uno dei due alla morte per fame (altrimenti la soluzione di questo dilemma sociale sarebbe semplicissima: il produttore metterebbe un recinto a protezione del suo pero, e l’utilità marginale del non produttore cadrebbe a zero, contemporaneamente al suo decesso).
Quello che intendo dimostrare è che una differenza fondamentale fra liberismo, social-liberismo e socialdemocrazia consiste nel trattare l’esternalità. I liberisti tendono a internalizzarla nel processo produttivo; i social-liberali nel compensare monetariamente la parte danneggiata dall’esternalità, i socialisti ed i socialdemocratici a cambiare il paradigma produttivo. 


Il modello liberista: Coase o la negoziazione puramente fra privati sul mercato

In una società dominata dal credo neoliberista, la soluzione di questo dilemma sarebbe rinvenibile nel cosiddetto “teorema di Coase”. Il produttore potrebbe infatti negoziare con il non produttore un accordo: ti lascio la possibilità di accedere alle mie pere, però mi devi pagare un contributo pari al costo marginale che sopporto per pagare la pera (per ipotesi costante). In questo modo, il produttore “internalizza” l’esternalità, o quantomeno una sua parte, recuperandola sotto forma di tariffa. Se il costo è di 25 euro, allora si configura una soluzione come quella del grafico che segue (sulle ascisse il numero di pere, sulle ordinate i valori monetari). 

La soluzione sociale liberista


Le funzioni di utilità del produttore e del non produttore sono identiche (curva rossa) quella sociale è verde, ed in corrispondenza con l’incrocio fra utilità marginale sociale e contributo di Coase, abbiamo il punto di equilibrio: si producono 6 pere; l’utilità sociale totale di 6 pere è pari a 270 euro. Gli assetti sociali sono, dal punto di vista distributivo, squilibrati. Per ogni pera mangiata, il non produttore ha dovuto pagare 25 euro. Fuori di metafora, sarebbe come costringere gli utenti di un sistema privatizzato di welfare a pagare per l’accesso al servizio (sostituendo la pera con un servizio sanitario, sarebbe come far pagare una polizza in un sistema sanitario privato, al fine di ripagare chi offre il servizio sanitario per i costi sostenuti).
In questo modello lo Stato non esiste. I privati raggiungono da soli una soluzione socialmente ottimale, senza intervento pubblico.

Il modello social-liberale moderato: sorge uno Stato "compensatore"

Se la società fosse dominata da un’idea social-liberale moderata, l‘idea sarebbe quella di compensare monetariamente l’esternalità, anziché internalizzarla. Tipicamente, l’idea sarebbe quella di prelevare una tassa pigouviana a chi beneficia dell’esternalità. Una tassa pigouviana è un’imposta, di entità collegata all’esternalità, cui viene sottoposto il fruitore dell’esternalità. In questo caso, facciamo l’ipotesi che la tassa pigouviana sia di entità esattamente uguale all’esternalità: quindi, l’ammontare della tassa pigouviana sarebbe pari all’utilità marginale del non produttore. Si tratta di una soluzione estrema, nel senso che la tassa pigouviana può anche assorbire solo una parte dell’esternalità, e non il totale. Ma scegliamo la soluzione estrema per maggiore semplicità. Avremmo la seguente situazione. 

La soluzione social-liberale di ocmpensazione nel caso di una imposta pigouviana
 

L’area segnata da righe verticali nere rappresenta l’importo della tassa. In questo caso, la soluzione prevede la produzione socialmente ottimale di 3 pere (in luogo delle 6 del sistema di Coase precedente) con una utilità sociale totale pari a 90 euro, ma con un prelievo fiscale di 90 euro, che può essere redistribuito fra produttore e non produttore in forme e modalità varie.
In questo caso, sorge quindi uno Stato che si intromette dentro la relazione privatistica fra i due individui, prelevando una imposta e dovendo successivamente decidere come redistribuirla fra i due.
Tale soluzione è meno efficiente di quella di Coase. Si producono solo 3 pere anziché 6. Questo perché l’imposta ha ridotto l’utilità sociale totale, assorbendo quella del non produttore, e quindi ha ridotto l’incentivo sociale a produrre una maggiore quantità di pere (perché non c’è più utilità, o per meglio dire l’utilità è indebolita, e più rapidamente superata dal costo marginale di produzione).
Qualcuno potrebbe chiedersi: e allora perché si sceglie la tassa pigouviana? Per un motivo molto semplice: che due ipotesi di base del modello di Coase sopra esposto sono irrealistiche, rendendo inutilizzabile tale modello. Come abbiamo detto, la soluzione di Coase dipende dal fatto che il costo di produzione è indipendente dalla distribuzione dei diritti di proprietà, e che non vi sono costi di transazione. Nessuna di queste due ipotesi è vera nel mondo reale. Una diversa distribuzione dei diritti di proprietà (in cui il non produttore diventa proprietario dell’albero di pere in luogo del produttore) può modificare il costo marginale di produzione, nel caso in cui il nuovo proprietario abbia una capacità lavorativa diversa. Inoltre, nel momento in cui si impone un contributo di 25 euro al non proprietario, emergono costi aggiuntivi di transazione, perché il non proprietario cercherà di negoziare un contributo più basso, e tutto ciò renderà più difficile, laborioso e socialmente costoso il processo di internalizzazione dell’esternalità.
In altri termini: nel modello di Coase, la produzione sociale arriva fino a 6 pere, perché non ci sono costi di transazione e costose diatribe, anche legali, sulla distribuzione dei diritti di proprietà (nel mondo di Coase, non avrebbe senso litigare: il passaggio della proprietà del pero da un individuo all’altro, non comportando modifiche al costo di produzione delle frutta, non modificherebbe il risultato sociale complessivo). Evidentemente, la considerazione del costo di transazione e degli effetti di diverse distribuzioni dei diritti di proprietà abbassa il livello di efficienza del “modello ideale” di Coase, rendendo quindi impossibile raggiungere un livello produttivo pari a 6 pere.
Occorre quindi che sorga uno Stato, che si sostituisca alla mera relazione privatistica, intervenendo quindi sui meccanismi di mercato, per correggere le distorsioni, o per meglio dire per superare l’impossibilità, di un meccanismo puramente mercatistico e privatistico come quello coasiano. Facendosi carico dell’esternalità, non più per assorbirla nel processo produttivo, ma per prelevarla e poi redistribuirla, in tutto o in parte.
D’altra parte, se è vero che l’introduzione di una tassa dà allo Stato la possibilità di intervenire sui meccanismi distributivi, non è detto che tale intervento sia equitativo. Lo Stato potrebbe decidere di devolvere al produttore l’imposta pigouviana prelevata al non produttore, massimizzando quindi la diseguaglianza sociale. Ad esempio potrebbe sostenere una politica economica “dal lato dell’offerta”, per cui occorre sostenere al massimo il produttore, nell’ipotesi che esso, con il sostegno ricevuto, faccia traslare nuovamente verso l’alto la funzione di utilità sociale, arrivando quindi ad incrementare la produzione fino a 4 o 5 pere, rispetto alle 3 pere di partenza. Questa posizione sarebbe tipica della sinistra blairiana. E, come si vedrà meglio nelle conclusioni, tale posizione non necessariamente ha successo, perché dipende da molti fattori, ed anche quando ha successo, non necessariamente si migliora l’equità distributiva solo ampliando la dimensione della torta da distribuire.

Il modello social democratico: lo Stato “forte” cambia il paradigma produttivo e distributivo

Una società dominata da un’idea socialdemocratica radicale, invece, non si preoccuperebbe di internalizzare o compensare le esternalità, ma di cambiare il paradigma di partenza. Supponiamo che lo Stato decida di nazionalizzare il pero, sottraendolo al precedente produttore, e decidendo di stabilire obiettivi produttivi legati a finalità di tipo sociale. Ad esempio, potrebbe decidere di spingere la produzione del pero fino a massimizzare il benessere sociale totale. Il costo marginale aumenterà da 25 a 30, perché occorre ripartire l’indennità di esproprio e (giusto per ipotesi) una minore efficienza produttiva dello Stato rispetto al produttore privato espropriato.
Avremmo dunque la seguente soluzione: poiché c’è ancora utilità marginale fino alla settima pera, lo Stato produrrà 7 pere, superando, in efficienza, persino il modello di Coase. Tuttavia, poiché dopo la quinta pera il costo marginale supera l’utilità sociale, l’azienda nazionalizzata del pero subirà una perdita, rappresentata dall’area tratteggiata con righe nere.

 La soluzione socialdemocratica con massimizzazione dell’utilità sociale
 

Tale perdita sarà pari a 30 euro. Essa sarà compensata dalla maggiore produzione, cioè dalle 2 pere in più prodotte ogni anno, che generano una utilità sociale di 30 euro, esattamente uguale alla perdita. La politica di deficit spending ha accresciuto il valore complessivo della produzione fino al punto di riassorbire il deficit.
La superiorità in termini distributivi di questo modello è evidente: il livello produttivo è così elevato che si possono dare 4 pere ad un individuo e 3 pere all’altro, con funzioni di utilità individuali pari a 110 euro e 90 euro, quindi piuttosto livellate (con una differenza di 20). Nel caso di Coase, si potevano distribuire 6 pere, cioè 3 a testa, ma uno dei due individui avrebbe dovuto pagare 25, quindi il “gap” distributivo fra i due individui sarebbe stato di 5 euro superiore alla situazione attuale.

Ancora, lo Stato socialdemocratico potrebbe stabilire, anziché un obiettivo di massimizzazione produttiva e dell’utilità sociale, un obiettivo di piena occupazione. Mettendo anche il non produttore al lavoro sul pero, il costo marginale raddoppierebbe da 25 a 50 euro, il livello produttivo socialmente ottimale scenderebbe a 3 pere (dalle 6 di Coase) perché evidentemente l’azienda pubblica si è caricata di un sovraccosto (era sufficiente un solo produttore per far germogliare il pero) ma il non produttore che prima non lavorava oggi lavora. E l’uguaglianza distributiva diventa perfetta, sia pur in una società meno “prospera” in termini di valore assoluto della crescita conseguita, poiché ogni produttore mangia una pera e mezza. Si è barattata la perfetta equità distributiva con una penalizzazione in termini di volumi di crescita.

  La soluzione socialdemocratica di piena occupazione e perfetta equità distributiva
 

Conclusioni

L’attualità del pensiero socialdemocratico dipende dal modo in cui le esternalità vengono trattate. Nel mondo liberista puro, dove esistono soltanto meccanismi di scambio fra privati, le esternalità vengono riassorbite nel ciclo produttivo, senza bisogno di intervento dello Stato, generando una soluzione socialmente efficiente.
Tuttavia, tale possibilità dipende da assunzioni irrealistiche: assenza di costi di transazione, invarianza sociale della distribuzione dei diritti di proprietà individuali, e, aggiungo adesso, ipotesi di perfetta razionalità degli operatori (anche questa ipotesi è assurda, poiché gli operatori potrebbero, irrazionalmente, stabilire contributi coasiani superiori o inferiori al costo marginale di produzione, per meri effetti psicologici di valutazione, oppure per rendite di posizione, ad esempio il proprietario del pero potrebbe farsi pagare un contributo superiore al costo marginale di produzione, semplicemente perché il pero è suo e se lo gestisce lui). La rimozione di tali ipotesi conduce ad una non ottimalità (se non addirittura ad una impossibilità) del mero scambio fra privati di utilità e costi.
A questo punto, deve sorgere lo Stato, il cui compito è intromettersi nella negoziazione coasiana fra privati, per regolarla in modo da evitare le inefficienze dello scambio privatistico, e/o da renderlo anche solo semplicemente possibile.
Lo Stato può intervenire con un approccio soft o hard. Il caso soft, dominato da una ideologia social-liberale, consiste nell’idea di compensare monetariamente l’esternalità, visto che essa non può essere riassorbita nel ciclo produttivo, tramite, ad esempio, una tassa pigouviana. Questo meccanismo lascia quindi correre i meccanismi di mercato capitalistici, e si intromette soltanto per compensare le esternalità che essi generano. Produce ovviamente un livello di efficienza produttiva inferiore al modello “utopistico” di Coase, perché più realisticamente incorpora le inefficienze derivanti da costi di transazione, asimmetrie informative, irrazionalità degli operatori, redistribuzione dei diritti di proprietà. Ma non necessariamente migliora l’equità distributiva. Infatti, detto parametro dipende in modo cruciale dall’impiego del gettito dell’imposta pigouviana. Se, sulla base di idee puramente “supply side”, tale gettito viene attribuito in massima parte ai produttori, esso accrescerà le diseguaglianze distributive, in nome dell’ipotesi, non dimostrabile nel modello, che ciò condurrà ad una maggiore produzione (cioè ad un avvicinamento al modello teorico di Coase) che “allarghi la torta” della ricchezza redistribuibile alla società. Ma tale evento si verificherà se e solo se l’aumento di risorse superi i maggiori costi da inefficienza legati ad un incremento produttivo. E, anche in questo caso, la “maggiore torta” non accrescerebbe necessariamente l’eguaglianza distributiva, se le regole di distribuzione della torta non cambiano.
Nel caso di intervento hard, lo Stato non si limita ad intervenire nei meccanismi di mercato solo per compensare le esternalità ma, al contrario, modifica il paradigma produttivo, assumendo un ruolo di regolazione ed intervento diretto in economia, sia al fine di spingere la produzione fino a massimizzare l’utilità sociale totale, contando sulla maggiore produzione effettuata per coprire le perdite, sia al fine di conseguire la piena occupazione e la massima equità distributiva. In ognuno dei due casi, si ottengono benefici che l’intervento soft non può ottenere, o non ottiene automaticamente. In questo, risiede la superiorità della socialdemocrazia.

3 commenti:

Olympe de Gouges ha detto...

quindi è tutto e solo una questione aritmetica, distributiva. siamo messi male, molto male

Anonimo ha detto...

parlate tanto di diritti e democrazia e poi censurate un commento di blanda critica

Stefano Santarelli ha detto...

Forse perché sarebbe meglio firmarli?

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