DI SOCIALISMO, AMERICA LATINA E COOPERATIVE AUTENTICHE
Due chiacchiere in castigliano con un
socio-lavoratore argentino: fratellanza e cooperazione come possibili antidoti all’epidemia
di paura diffusa dal neoliberismo
di
Norberto Fragiacomo
Capita, alle volte, di apprendere più cose
interessanti in un’osmiza carsolina -
o seduti ad un tavolino lungo il canale - che in un’aula stipata di
“coscritti”.
La puntata a Trieste di un vecchio amico
argentino e della sua fidanzata mi ha costretto a rispolverare il mio misero
castigliano: girovagando per il centro, tra una descrizione e l’altra non è
mancata l’opportunità di informarsi su ciò che sta accadendo dall’altra parte
del mondo, in America Latina. Frammenti di chiacchierata che si sono ricomposti
davanti a una bella birra fresca, sotto un sole rovente che nulla aveva di
ottobrino… un’esperienza gradevole e istruttiva, nonostante il fatto che il mio
spagnolo basico non mi abbia permesso, forse, di cogliere tutti i passaggi, le
sfumature del discorso.
Josè, ingegnere sui trentacinque, ha un cognome
francese e radici siciliane, che l’aspetto fisico – è alto, biondo e con gli
occhi chiari – dissimula benissimo. Politicamente parlando mi appare molto di sinistra, anche se pragmatismo
e buon senso lo immunizzano dai dogmi: simpatizza per La Presidenta Cristina, che chiama (direi affettuosamente) per nome
e dà un giudizio assai positivo sull’operato di Nestor Kirchner, anche se –
ammette – “mi ci sono voluti quattro anni per incominciare a fidarmi di lui”.
Di Kirchner dice che ha restituito agli argentini la passione, l’interesse per
la politica, dissoltisi durante il nefasto regno di Carlos Menem, governante (a
Cavallo) per conto del FMI. Lo spartiacque, il nuovo inizio è rappresentato
dall’atroce crisi del 2001, figlia delle politiche neoliberiste e dell’assurda
parità pesos-dollaro, responsabile dell’annichilimento dell’apparato produttivo
locale. In quel maledetto dicembre succede di tutto, e con rapidità
paralizzante: prima il razionamento dei prelievi bancari (massimo 250 pesos a
settimana), poi – dall’oggi al domani – il blocco totale. I cittadini sono sul
lastrico: dopo lo sgomento iniziale, scendono in piazza. Josè mi fa ricordare
scene viste in tivù, uomini e soprattutto donne che percuotono rumorosamente le
pignatte… il presidente De La Rua scappa in elicottero, ma per i finanzieri l’assedio
alle banche è intollerabile: la polizia spara e fa 40 morti a Buenos Aires. Ma
come, non siamo in democrazia? Sì, così ci raccontano, e lo stesso raccontavano
agli argentini, ma il Popolo è “sovrano” finché sta zitto, cucio e non diventa molesto per l’elite economica. Sembra la fine,
ma la Storia – indifferente agli esorcismi di Fukuyama – decide di andare
avanti e tira fuori dal cilindro un oscuro governatore della Patagonia. Lo
prendono per un pupazzo dell’astuto politicante Duhalde, si rivelerà
indipendente e “rivoluzionario con juicio”:
Kirchner risolleva clamorosamente l’economia, restituisce diritti a famiglie e
lavoratori, favorisce nuove forme di aggregazione e abroga l’amnistia per i
reati commessi dai militari. Gli succede la moglie, cioè Cristina: Josè rifiuta
la contrapposizione tra i due insidiosamente adombrata dai media, ritiene che
condividano la stessa visione. Una classe politica corrotta fa da freno, ma il
principale nemico del cambiamento sono i mezzi di comunicazione, il Gruppo Clarìn: pur di screditare il duo
inventano di sana pianta menzogne e, come avviene oggi in Europa, spargono i
semi della paura. Un telegiornale tipo
trasmette quattro notizie quattro: due sono riferite a fatti di sangue, per mostrare
che il Paese è allo sbando, la delinquenza spadroneggia; la destra, da parte
sua, agita i fantasmi di dicembre, paventando (in realtà auspicando) ad ogni
istante un nuovo crollo. No, rassicurano Josè e Fernanda, la situazione è oggi
diversissima da quella di allora… ma pericolosi nullafacenti alla Renzi come il
ricchissimo ereditiero Macrì assurgono a star televisive e, abilmente ammaestrati
da professionisti della manipolazione mediatica, comprano con presenzialismo e
false promesse il sostegno dei diseredati. D’altra parte, se i poveri fossero
consapevoli delle proprie necessità il Socialismo (quello vero, non la sua
caricatura liberale-neoliberista) possiederebbe la terra.
A un tratto Josè mi sorprende con una domanda:
“ma voi, cioè un italiano, uno spagnolo ecc., come considerate i popoli
vicini?” La sua impressione è che, per noi, gli altri siano appunto dei vicini
di casa, da guardare con sospetto; “per un argentino, invece – dice –
brasiliani, venezuelani ecc. sono popoli fratelli.” Hermanos, appunto… non varrà per tutti, ma per chi confida nel Bolivarismo
sicuramente sì. Come definirlo questo “Socialismo del XXI secolo”? Forse un
Socialismo atipico, realista, senza fronzoli ideologici né liturgie… una prassi
che si fa gradualmente dottrina, anziché il contrario. Questo grandioso esperimento,
reso possibile (anche) dalle “distrazioni” asiatiche di Bush junior, ha avuto
in Hugo Chavez il suo ispiratore, la figura di maggior spicco. “Al principio
lui era da solo – spiega Josè – circondato da Paesi in mano a destre sottomesse
agli yankee, eppure non si è perso d’animo. Senza di lui non ci sarebbero stati
neanche i Morales, i Correa” ecc. Mi è successo di vedere, su Internet, parte
di un’intervista/documentario che la televisione argentina (quella pubblica,
naturalmente) gli ha dedicato: l’uomo parla lentamente, con fervore, e tutto a
un tratto l’aspetto dimesso e un po’ contadinesco scompare, l’ascoltatore
avverte una forza, una convinzione, un carisma unici nell’oratore che, con
calma, sorseggia il suo mate. L’amico argentino ha parole di ammirazione per
Correa, un economista che ha conosciuto il nemico nella sua tana universitaria
(ha studiato negli USA), per Pepe Mujica (la destra argentina cita ad esempio
la sua morigeratezza – ride – ma sulle sue politiche tace del tutto) e il
brasiliano Lula. Le critiche al Partito dei lavoratori (PT), le sommosse
premondiali, la problematica rielezione di Dilma Rousseff? Josè riflette, per
concludere che da quando Lula è salito al potere, nel 2002, la condizione dei
poveri è enormemente migliorata: molti di loro sono confluiti nella classe media
(e oggidì, magari, votano a destra…). D’accordo, ma le manifestazioni di
maggio-giugno? L’amico argentino rifiuta ogni paragone con il mondiale del ’78,
adoperato dalla giunta militare per nascondere i suoi orrori, e sostanzialmente
assolve Dilma, contro la quale il Gruppo mediatico O Globo ha giocato la carta Marina Silva – un’ex attivista di
sinistra che, al ballottaggio presidenziale, appoggia il candidato della destra
più retriva. Sui banchi del Libero Mercato, talvolta, anche la fede politica è
esposta come merce.
Salta fuori un argomento stuzzicante, quello
delle fabricas recuperadas, e Josè,
dopo aver citato le Officine Zanon, ne approfitta per raccontare del suo lavoro
in una cooperativa [1]
che produce software libre – testimonianza
preziosissima, perché diretta. Un tempo anche lui lavorava “sotto padrone”, e
quando gli proposero di partecipare alla fondazione di una cooperativa titubò: sarà
saggio rinunciare a uno stipendio sicuro? Per fortuna accettò – oggi afferma
che quella “è stata la scelta migliore della mia vita”. Perché mai? “Perché il
mio lavoro finalmente mi appartiene”, perché le decisioni sono prese
democraticamente dai soci, perché si opera meglio e in maggiore serenità.
Soprattutto nessuno può costringerti a fare qualcosa che non vuoi, disporre di
te come un oggetto… dice che una volta furono contattati da un odioso politico
di destra, che aveva bisogno di una sorta di database (io l’ho capita così, ma
di informatica non mi intendo). Alcuni propendevano per il sì (“in fondo, è
solo un cliente che ci chiede una prestazione”), altri erano contrari (“quello
è un farabutto!”), altri ancora suggerivano: “d’accordo, lavoriamo per lui – ma
chiediamogli un prezzo doppio rispetto a quello normale, e devolviamo la
differenza in iniziative sociali”. Alla fine vinse la linea del no, senza
bisogno di un voto a maggioranza (ammette: “se ci fossimo trovati con l’acqua
alla gola, ovviamente avremmo accettato. Ma ugualmente avremmo accettato se il
nostro unico scopo fosse il profitto). Il numero dei soci è ridotto (12 in tutto), e Josè
considera il conoscersi tutti una delle chiavi del successo: “inoltre, se
fossimo centinaia o migliaia una votazione sarebbe indispensabile ogni volta, e
questo creerebbe maggioranze e minoranze, cioè frizioni”. Quello che lui
auspica è un proliferare di minicooperative di lavoro, non immaginate, però,
come in concorrenza fra loro, ma riunite in una sorta di lega o confederazione
nell’interesse di tutti i lavoratori.
Il compagno ingegnere esemplifica il clima
societario con un aneddoto: “uno di noi ha avuto un figlio; in questi casi, la
legge accorda due giorni di permesso – una
mierda. Ci siamo riuniti per affrontare la questione: quanti giorni
possiamo andare avanti senza il suo contributo? In fondo, la nascita di un
figlio è l’evento più importante nella vita… sarebbe giusto concedergli almeno
due mesi, ma potremmo privarci di lui per così tanto tempo? Purtroppo no… alla
fine, abbiamo optato per due settimane.” Provo sincera ammirazione: sembra il
Socialismo realizzato, gli confesso. Lui annuisce soddisfatto, ma aggiunge: “i
governi Kirchner (Nestor e Cristina) ci hanno dato una mano, promuovendo la costituzione
di cooperative.” Narra che nel suo barrio
c’erano cinque ristoranti, sempre affollati, di proprietà di un unico riccone.
Per ragioni sfuggite al mio insufficiente castigliano, a un certo punto il
tizio ha deciso di chiuderli tutti e cinque: cuochi e camerieri hanno prontamente
reagito, barricandosi nei locali e dichiarando di voler continuare a lavorare.
Il governo regionale ha fatto intervenire la polizia, ma quello nazionale si è
messo in mezzo, accogliendo le richieste dei dipendenti e agevolando la nascita
di una cooperativa di lavoro. “Oggi – conclude Josè – i ristoranti hanno più
clienti di prima, gli addetti – diventati «padroni» – lavorano con maggior lena
e i guadagni sono aumentati!”
Si può costruire il Socialismo dal basso? Contagiato
dall’entusiasmo del mio amico sudamericano mi persuado che sì, sia possibile –
e che la stragrande maggioranza degli esseri umani ne trarrebbe un inestimabile
beneficio. Prima però si tratta di restituire credibilità alla politica e di
scalzare gli oppressori: nell’Europa assassinata dalla crisi neoliberista libertà,
democrazia ed equità (per non parlare del Socialismo) ci appaiono come sbiaditi
miraggi – ma nel deserto, oltre a sabbia, sciacalli ed avvoltoi, esistono fino
a prova contraria anche le oasi. Raggiungerne una sarà – nella migliore delle
ipotesi – complicatissimo, ma l’inerzia ci sarebbe fatale.
[1] Le cooperative di lavoro – gli preme sottolineare –
sono cosa diversa da quelle che, specie nelle zone rurali, assumono la gestione
di un servizio non assicurato localmente dallo Stato (p. es. la telefonia) e
poco profittevole per i privati: in queste realtà i lavoratori non sono soci,
ma comuni empleados.
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