L'AUTUNNO ANTICIPATO DEL PREMIER
di Riccardo Achilli
In concordanza con questi giorni di ritorno di un freddo autunnale in piena primavera, il Governo Monti inizia la sua strada verso il declino inevitabile. Dopo la luna di miele dei primi 100 giorni, evaporatasi l'ilusione mediatica del probo tecnico che sarebbe riuscito nell'impresa di cacciare via il Governo dei puttanieri (in realtà scaricato dalla stessa borghesia e dagli stessi poteri forti che lo avevano precedentemente sostenuto, e che non ritenevano più Berlusconi all'altezza, e con la sufficiente forza politica, per compiere il massacro sociale che ha potuto fare Monti), i nodi vengono dolorosamente al pettine, manifestando lo scollamento del Paese reale dal governo-Monti, e i primi risultati degli errori gravi che sono stati commessi.
Mentre i primi sondaggi non manipolati iniziano a dire le cose come stanno realmente, smontando le percentuali trionfalistiche di consenso (66%, 57% ed altre menate) di cui Monti si faceva forte (il sondaggio Euromedia del 12 aprile dà infatti la popolarità di Monti ad un più esiguo 47%) l'uomo contribuisce a scavare ulteriormente il fossato che lo divide dal Paese, che come tutti i Paesi di cultura latina, attribuisce più importanza alla caratura umana che a quella intellettuale. Mentre il conteggio dei suicidi legati alla crisi economica raggiunge i 23 morti soltanto fra imprenditori, liberi professionisti e commercianti, e supera i 50 casi relativamente ai lavoratori dipendenti, ai pensionati ed ai disoccupati, senza contare altri 5 tentativi, soltanto dall'inizio del suo Governo ad oggi, Monti, rinchiuso in un contesto dove gli applausi erano assicurati (ovvero fra il personale della protezione civile cui questo Governo ha appena regalato una discutibile e pericolosa riforma, che assegna a tale ente poteri inauditi, ed addirittura superiori alle amministrazioni locali, anche in materia di appalti e contratti, con tutti i connessi rischi di derive di corruzione e malaffare che già si sono appalesati attorno alla Protezione civile stessa) si abbandona a battute di pessimo gusto, irrispettose delle sofferenze del Paese reale (“io sono un volontario chiamato a salvare l'Italia”, ed amenità di questo stile). Per carità: nessuno si aspetta “pietas” da un amministratore della cosa pubblica, ed il Nostro avrebbe facile gioco a ricordare che nel 2009/2010, cioè prima di lui, i suicidi motivati da cause economiche, secondo l'Istat, ammontano a 385. Tuttavia la freddezza e l'indifferenza dimostrate, di fronte ad una simile tragedia, sono davvero insopportabili, e rappresentano anche un grave errore politico, che riduce ulteriormente il consenso, ed aumenta le tensioni sociali.
Nel frattempo, la strategia economica fa acqua da tutte le parti. Il pesantissimo sacrificio sociale imposto in nome del rispetto di una teoria economica astratta, e che quando è stata applicata ha prodotto risultati di lungo periodo disastrosi per la competitività d'insieme del sistema economico, oltre che disastri sociali immediati (vedi i risultati dei Chicago boys in Cile, gli effetti della reaganomics o delle politiche della Thatcher) è già sotto l'esame impietoso dei mercati. Lo spread con i Bund torna più o meno sugli stessi livelli a cui erano all'inizio del Governo-Monti, segnalando la perdita di fiducia degli investitori circa le prospettive di risanamento del bilancio pubblico italiano. La pesante recessione prevista per il 2012 (che oscillerà fra un -1,6% ed un -2,2% di PIL) avrà ovviamente effetti negativi sui saldi di finanza pubblica, rendendo impossibile, a bocce ferme, rispettare gli obiettivi di disavanzo e debito prefissati dal Governo nel DEF. Le previsioni, che scontavano per i 2012 un rapporto fra deficit strutturale e PIL dello 0,6%, ed un rapporto fra debito pubblico e PIL del 119,5%, si basavano su una previsione di crescita del PIL 2012 dello 0,6%. Ben più realisticamente, l'Ocse prevede, proprio a causa degli effetti del ciclo sui conti pubblici, lo stesso disavanzo/Pil del governo ma un debito pubblico/Pil al 120,5%. Tali previsioni sono però ancora ottimistiche, essendo basate su una riduzione stimata del PIL pari a soltanto lo 0,5%. Con una contrazione prevista dell'1,6% (previsione FMI, più aggiornata di quella dell'Ocse) si arriverebbe ad un deficit/Pil, in termini strutturali (cioè al netto degli effetti del ciclo, che è l'indicatore rilevante ai fini del rispetto del patto di stabilità), dello 0,8%, ed un debito pubblico/Pil addirittura al 125,3%, con una forte crescita rispetto al consuntivo 2011. Evidentemente, la stessa ripresa dello spread si tradurrà in un peso aggiuntivo di interessi sui titoli pubblici alle prossime aste, alimentando ulteriormente il debito.
Tutto ciò comporterà la necessità di una manovra aggiuntiva in estate (nonostante le ripetute assicurazioni pubbliche di Monti, per cui non sarebbe stata necessaria una manovra di aggiustamento), per rispettare i vincoli del fiscal compact, ovvero il pareggio di bilancio entro il 2013, in termini strutturali, e la riduzione di un ventsimo dell'extra debito rispetto alla soglia del 60%. Ma l'ulteriore manovra finanziaria non farà altro che appesantire ulteriormente la recessione, provocando ulteriori effetti endogeni sui saldi di finanza pubblica, richiedendo quindi un'altra manovra, e così via, in una spirale che, se non si rimuoveranno i vincoli del fiscal compact, e non si tornerà ad una possibilità di utilizzo attivo del bilancio pubblico in funzione del ciclo, sarà senza fine e senza salvezza (tra l' altro, un articolo di dicembre scorso dello stesso blog anticipava tale situazione senza sbocco delle politiche liberiste di Monti.
Il fallimento della politica economica non si limita alle manovre di finanza pubblica. L'intervento sul mercato del lavoro, che la borghesia italiana sogna già dalla fine degli anni novanta, si traduce in un pasticcio che delude tutti, non soltanto i lavoratori, che si vedono poco garantiti, ma persino Confindustria, che voleva l'abrogazione dell'art. 18 almeno rispetto ai licenziamenti economici, e che adesso si ritrova con una riformulazione dell'art. 18 che non soltanto prevede la possibilità teorica del reintegro, ma che addirittura, con l'obbigo imposto al giudice di verificare “la manifesta infondatezza” del licenziamento economico, appesantisce e rende ancora più lunghi e bizantini i processi di lavoro, alle spese delle imprese stesse.
(cfr.http://bentornatabandierarossa.blogspot.it/2012/04/prime-note-suquel-che-resta-dellart-18.html )
La delusione di Confindustria, rispetto a tale versione della riforma, è stata così cocente che in un goffo tentativo di placare gli animi imprenditoriali Monti, sostituendosi indebitamente ai giudici, che hanno l'obbligo di interpretare le norme, si è lanciato in una interpretazione autentica del dispositivo, annunciando che i reintegri saranno del tutto eccezionali (ma le imprese sanno bene che ciò che conterà sarà l'interpretazione giurisprudenziale di tale norma, non quello che dice Monti).
Stendo poi un pietoso velo sul gigantesco pasticcio della vicenda degli esodati, con un Governo incapace persino di fornire cifre inattaccabili sull'entità della platea, ed ovviamente incapace di indicare una via d'uscita, ma è opportuno comunque segnalare che, oggi, la ministra Fornero addebita alle imprese la colpa di tale situazione, e ciò è sintomatico della rottura del cordone ombelicale con la borghesia, in un contesto in cui persino i sindacati, su tale tema, hanno magicamente ritrovato l'unità contro il Governo. La pubblicazione, da parte della CGIA di Mestre, di un elenco di imprenditori che si sono suicidati, e la dichiarazione esplicita del segretario della CGIA, Bortolussi, secondo cui il sistema è sordo alla disperazione delle piccole imprese, è una dichiarazione di guerra esplicita: la piccola borghesia produttiva non è rientrata nei ranghi dopo la fine delle proteste dei Forconi, ma continua a stare sulle barricate; e sebbene sia evidente che il grande capitale finanziario e industriale stia cercando di scaricare la piccola borghesia, accomunandola al proletariato fra i soggetti che devono pagare la crisi (e anche qui, per inciso, l'insegnamento di Marx, secondo cui la piccola borghesia viene scaricata sistematicamente dal grande capitale, alla cui alleanza organica aspira, quando le cose si mettono male, è attualissima) le imprese con meno di 50 addetti producono il 53% del valore aggiunto extragricolo dell'economia italiana. E persino un semplice sciopero di padroncini di bisarche può mettere in crisi un colosso come la Fiat. L'ostilità sempre più manifesta della piccola borghesia, e delle sue strutture di rappresentanza come la CGIa di Mestre, è un pericoloso segnale di allarme per la tenuta del governo-Monti.
L'isolamento crescente del Governo inizia a trovare una sponda anche nelle figure politiche più legate agli interessi borghesi. Napolitano, al di là delle battute di spirito fatte ieri, ha lanciato un monito che può essere letto come una prima presa di distanza da Monti: nei giorni scorsi, proprio in corrispondenza con l'annuncio della risalita dello spread verso quota 400, Napolitano ha infatti richiamato vigorosamente il Governo sull'esigenza di prendere misure per la crescita. Il decreto-liberalizzazioni, peraltro più volte rimaneggiato in sede parlamentare, sarebbe infatti l'unica misura che, nelle intenzioni di Monti, è mirata alla crescita. Tuttavia la teoria economica sa bene, oramai da decenni, che i cambiamenti negli assetti dei mercati, rendendoli più concorrenziali, di per sé stessi non garantiscono maggiore crescita, se, come appare prevedibile in molti dei mercati “liberalizzati”, ciò porterà soltanto ad una maggiore concentrazione oligopolistica, a detrimento del rapporto qualità/prezzo del servizio erogato agli utenti
(cfr. http://bentornatabandierarossa.blogspot.it/2012/01/introduzione-il-modello-di-mercato.html) e, comunque, anche nel migliore dei casi, eventuali effetti positivi sulla crescita si manifestano soltanto in tempi lunghi, mentre invece c'è bisogno di stimoli nell'hic et nunc. Lo stesso decreto fiscale, ancora in via di discussione, non sembra essere decisamente a favore dello stimolo alla crescita, poiché, quand'anche contenesse (ed è tutto da verificare) meccanismi di restituzione del ricavato dalla lotta all'evasione fiscale, tale effetto è controbilanciato, in termini di impatto sul ciclo economico, dalla congerie di tagli a deduzioni e detrazioni fiscali, che finiranno inevitabilmente per aumentare la pressione fiscale. L'aumento generalizzato dell'IVA, poi, comporterà un ulteriore danno alla crescita, comprimendo ulteriormente consumi già oggi catatonici.
La crescente difficoltà di navigazione del Governo-Monti si riflette anche nell'attegiamento sempre più rissoso dei partiti della maggioranza, che ne avvertono il clima di crescente isolamento, e, complici anche le imminenti elezioni amministrative, diventano sempre più nervosi e ribelli. La bagarre sulla rateizzazione dell'IMU, con il Pdl che ha, unilateralmente, e contro il parere governativo, presentato una modifica parlamentare per aumentare le rate dell'imposta, trovando l'immediata opposizione del Pd, è il segnale superficiale di una crescente tendenza dei partiti della maggioranza a smarcarsi dalla linea di politica economica del Governo, che sinora avevano seguito disciplinati come soldatini. Segnale preoccupante, perché stavolta, a differenza delle volte precedenti, il partito che si smarca dalla inea non sembra disposto a scendere a compromessi. La possibile apertura di uno scontro fra i partiti della maggioranza potrebbe allargarsi anche rispetto alla spinosissima questione del finanziamento pubblico, rispetto alla quale la mediazione governativa sembra esser stata respinta, e le posizioni, fra l'asse Alfano-Bersani-Casini che ha presentato una proposta molto debole, e che sostanzialmente difende il finanziamento, e Fini che dall'altro lato spinge per la sua totale abolizione, ed ha utilizzato le sue prerogative istituzionali per bloccare l'emendamento al dl fiscale che introduceva la bozza del trio ABC, si divaricano in un modo che può facilmente portare ad una guerra senza quartiere, con conseguenze ovvie anche sulla tenuta dell'esecutivo.
In sintesi, fallimento delle politiche e crescente isolamento, non solo dal Paese ma, cosa ancor più pericolosa, dai poteri forti del capitalismo italiano, stanno disegnando per questo governo un'estate fredda, più simile all'autunno. Monti afferma di non essere attaccato all'incarico che ha? Meglio per lui, perché la sua esperienza politica sembra in procinto di entrare in una pericolosa zona-Cesarini.
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