(QUEL CHE RESTA DE)LL’ART. 18 DOPO IL RESTYLING
di Norberto Fragiacomo
di Norberto Fragiacomo
Riservandoci un commento più approfondito a cose disfatte, tentiamo un esame “al volo” delle novità introdotte da una riforma che, a quanto pare, accontenta pienamente il PD (Bersani ha dichiarato, giulivo: “è un passo avanti importantissimo”… staremo a vedere verso dove).
Limitando la disamina all’art. 14 del disegno di legge – quello che modifica la norma “totem” – rileviamo, anzitutto, che in luogo dei sei commi vigenti, presto ne avremo dieci: peggiora, dunque, la leggibilità del testo, tra l’altro appesantito da un gran numero di richiami incrociati.
I primi tre commi dell’articolo 18 “montiano” riguardano il licenziamento discriminatorio: si prevede, in alternativa alla reintegra (la scelta spetta al lavoratore), la corresponsione di un’indennità pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione di fatto.
Più interessante la disciplina dei licenziamenti in assenza di giusta causa e giustificato motivo soggettivo. Fino ad oggi, in entrambe le eventualità, il dipendente aveva diritto al reintegro – monetizzabile in quindici mensilità dell’ultima retribuzione – oltre che al risarcimento del danno, mai inferiore a cinque mensilità di retribuzione globale di fatto (vecchio comma 3).
Cosa cambia? Parecchio. D’ora in avanti, il reintegro sarà disposto dal giudice soltanto nei seguenti casi: 1) il fatto addebitato non sussiste; 2) il lavoratore non lo ha commesso; 3) per il fatto contestato risulta prevista dai contratti collettivi una sanzione meno grave. Il dipendente ingiustamente licenziato conserva il diritto ad essere risarcito dei mancati guadagni, ma attenzione: dall’ammontare massimo di 12 mensilità (prima non esisteva un tetto) andrà dedotto non solo l’introito di eventuali attività svolte nel frattempo (recepimento normativo di un’impostazione giurisdizionale consolidata), ma anche quanto l’ex subordinato avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione. Che significa dedicarsi “con diligenza”? Basterà la prova di aver spedito domande e curricula? Chissà… certo la previsione è un omaggio allo spirito dei tempi, e non agevolerà il compito del giudicante.
Ci sono però anche delle ipotesi – non tipizzate – in cui il giudice non potrà ordinare la reintegrazione: ad esempio, quando condotta e sanzione non siano individuate dai contratti collettivi? O quando il comportamento, pur riuscendo sgradito al datore, non sia illecito, e non costituisca inadempimento contrattuale (perché magari riconducibile al diritto di espressione e di critica)? Forse… in ogni caso, il nuovo comma 5 prevede che, riconosciuta l’illegittimità del licenziamento, il dipendente riceva un’indennità onnicomprensiva variabile tra un minimo di 12 e un massimo di 24 mensilità, da determinare in concreto tenendo conto di tutta una serie di parametri, “con onere di specifica motivazione a tale riguardo”. Tutto qua, neanche un euro in più: il peggioramento rispetto al passato è netto.
Il comma 5 prevede un’ulteriore eventualità: quella in cui il licenziamento sia dichiarato inefficace “per violazione del requisito di motivazione”. L’indennizzo è ridottissimo: va da 6 a 12 mensilità, “a meno che il giudice, sulla base della domanda del lavoratore, accerti che vi è anche un difetto di giustificazione del licenziamento”, nel qual caso si applicano le disposizioni precedentemente citate. Come farà il giudice ad accertare un tanto? E, soprattutto, visto che si procede su domanda di parte, graverà sul lavoratore l’onere di provare… ma di provare che cosa? L’assenza di un inadempimento contrattuale? Arduo dimostrare di non aver fatto nulla di male… nel frattempo, l’imprenditore/datore di lavoro sarà incentivato a recedere senza spiegare il perché.
Arriviamo ai famigerati “licenziamenti economici”, vale a dire per giustificato motivo oggettivo. Le modifiche a questa parte del progetto sarebbero il “capolavoro” dei bersaniani: in cosa consistono? Nell’evenienza di “manifesta infondatezza del fatto posto a base del licenziamento”, il magistrato procederà al reintegro, altrimenti – sempreché faccia difetto un giustificato motivo – si riconoscerà al lavoratore la misera indennità di cui al comma 5. Manifesta infondatezza: che significa nel mondo reale? E’ immaginabile che il datore, dopo aver dichiarato di voler cacciare il dipendente in seguito alla soppressione di un reparto, mantenga in attività quest’ultimo senza neppure cambiargli denominazione, o roba del genere? Viene il dubbio che le ipotesi di reintegrazione siano meramente virtuali (lo stesso Mario Monti sembra pensarla in questo modo)…
Tre ultime notazioni: la prima riguarda il comma 2 dell’articolo 14, tenuto prudentemente fuori dall’articolo 18 restyled. Si stabilisce che “l’inosservanza delle disposizioni in materia di limiti al sindacato di merito sulle valutazioni tecniche, organizzative e produttive che competono al datore di lavoro costituiscono motivo di impugnazione per violazione di norme di diritto”. Last but not least, è il caso di dire: il disposto è finalizzato a sconsigliare interpretazioni pretorie troppo favorevoli al lavoratore, imponendo di fatto al giudice una funzione notarile. Quel che il datore di lavoro dice è Vangelo, o poco meno. Era già implicito nel sistema? Può darsi, ma la sottolineatura conta.
Il DDL punta anche a velocizzare il giudizio dinanzi al giudice del lavoro (artt. 17 e 18): benissimo, è opportuno, ma il rischio è che si aprano falle nell’istruttoria, causa i tempi ridotti e la complessità della nuova normativa. Se non altro, il provvedimento giudiziale resta provvisoriamente esecutivo.
Infine, una chicca: prima, al fine del computo dei dipendenti (soglia dei 15 ecc.) si teneva conto anche dei lavoratori a tempo parziale e di quelli assunti con contratto di formazione e lavoro – da domani, faranno numero soltanto i primi. Perché non si contano pure gli apprendisti, vista l’enfasi posta dai nostri ministri “tecnici” sul contratto di apprendistato? Un mistero che neppure Voyager sarebbe in grado di risolvere…ma non potendo rivolgerci, per avere risposta, ad un bravo analista bocconiano, ci accontentiamo di osservare che la previsione, senza dar troppo nell’occhio, innalza l’asticella per i lavoratori ingiustamente “rottamati”: d’ora in avanti, certe “grandi” imprese saranno un po’ “più piccole”.
Tante questioni aperte, insomma, e nessun… giustificato motivo di ottimismo.
Se quello che abbiamo sommariamente (e provvisoriamente) descritto è il grande vanto del compagno Bersani, non ci resta che concludere: Pirro vinceva molto più largamente le sue battaglie.
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