di Carlo Felici
La
sconfitta dei socialisti spagnoli è sicuramente un segnale d'allarme
significativo non solo in merito alle prospettive del socialismo
europeo, ma anche per quanto riguarda una seria politica di contrasto
alle tendenze neoliberiste imperanti e al monetarismo sempre più
spiccato della BCE.
E' altresì un indicatore importante della crisi del socialismo a livello globale?
Non
sembrerebbe proprio. Innanzitutto rileviamo che, pur essendo battuto
con un largo margine, il PSOE spagnolo conserva circa un 30% dei
consensi e tale è sicuramente, rispetto ad altri partiti riformisti
specialmente di area italiana, una percentuale ragguardevole. In
secondo luogo c'è da notare che tale calo di consensi è più dovuto ad
una disaffezione interna del suo elettorato che ad una valida
alternativa presentata dal suo partito antagonista. E' stata quindi
una sconfitta segnata duramente dal fattore “delusione”.
Il
leader dei popolari spagnoli ha infatti conquistato una maggioranza
assoluta praticamente senza promettere nulla, con un semplice,
perdurante ma convincente.. “vedremo”, mentre i socialisti scontano due
errori clamorosi.
Il
primo è stato quello di non sapere interpretare le nuove sfide della
crisi economica attuale, dimostrandosi incapaci di fornire risposte e
tanto meno spiegazioni adeguate al loro elettorato. La conseguenza di
ciò è stata che non si è avuta più la percezione di un distinguo netto
tra politiche di sinistra e quelle di destra. Due casi sono emblematici
in tal senso nelle politiche di Zapatero: il congelamento delle
pensioni e una riforma dello Statuto dei lavoratori altamente
penalizzante, imposta dall'alto senza cercare un minimo di
concertazione o di consenso per una maggiore flessibilità tra i
lavoratori. A ciò si aggiunga uno spiccato “laicismo” che è arrivato
fin quasi allo scontro frontale con la Chiesa Cattolica,
tradizionalmente ben radicata in Spagna.
Ma
il fattore “disoccupazione” ha sicuramente pesato ancora di più, dato
che la Spagna è oggi in Europa la nazione con un numero di disoccupati
tra i più elevati.
In
tale contesto, così come in altri, recuperare un terreno di dialogo
con la protesta crescente degli “indignados” era non solo necessario ma
sicuramente indispensabile per contenere almeno la perdita progressiva
di consensi. Si è avuto invece l'esatto contrario: la crescita
esponenziale della divaricazione tra governo socialista e movimenti di
piazza.
Il
movimento degli “indignati” ricorda un po' quelli anarchici della
guerra civile spagnola: la FAI, il CNT, con le istanze libertarie,
partecipative e la tendenza all'autogestione, ma senza quella
organizzazione territoriale che si ebbe allora, anche se con una
spiccata critica dell'apparato compromissorio verso il capitale e le
politiche neoliberiste.
La
protesta degli “indignados” però non è confluita in una vera e propria
proposta alternativa di governo e di gestione dell'economia, e si è
limitata alla “pars destruens”, esattamente come certi altri movimenti
partecipativi che rimettono in primo piano la necessità dell'esercizio
della democrazia diretta, senza però andare in profondità e spiegare
come e quando potersi sottrarre validamente al tutoraggio dei grandi
potentati economici oggi dominanti in Europa e nel mondo. L'invito al
non voto è stato da parte di tali movimenti, sul cui coordinamento in
rete alcuni sollevano vari dubbi in merito alla questione che siano in
una certa qual misura eterodiretti più che spontanei, l'elemento infine
più efficace e dirompente che ha causato la sonora sconfitta dei
socialisti.
Dice
tutto la seguente dichiarazione di uno di loro: Ignacio, un avvocato
di 37 anni: «Io lo so che in fondo non è tutta colpa di Zapatero questo
disastro. Il punto è che anche lui è un fantoccio nelle mani di
qualcun altro: i banchieri, il Fondo monetario, la Commissione europea.
Mi dispiace per come è andata con lui. Però è la dimostrazione che la
politica in Spagna non ha bisogno di super eroi ma di gente semplice
che si dedica alle piccole cose».
Il
punto però è anche un altro: con la vittoria folgorante della destra,
che fine farà questa “gente semplice che si dedica a piccole cose” non
lo sappiamo di sicuro, ma una cosa certamente c'è da aspettarsela: che
essa subisca, in Spagna come altrove, ulteriori e più numerosi tagli
ai servizi e alle opportunità che già sono fortemente in crisi o
scarseggiano fino a sparire del tutto
L'incapacità
da parte degli “indignados” di compenetrarsi validamente nel processo
di rinnovamento politico, civile e sociale, fino ad entrare con
prepotenza negli apparati di partito della sinistra e l'incapacità di
quest'ultima, e soprattutto del PSOE, di andare incontro validamente a
tali istanze innovative, fino a rimettersi in discussione e
trasformarsi ulteriormente dall'interno, ci danno la misura della
sommatoria di errori che hanno portato ad una sonora sconfitta.
Sono
gli stessi della sinistra riformista italiana nei confronti dei
“grillini” che hanno contribuito alla “grulleria” della sconfitta in
alcune nostre regioni.
Ma
è davvero possibile reagire alle politiche neoliberiste, oppure la
sconfitta dei socialisti spagnoli e di quelli greci dimostrano che, in
realtà, nell'ambito degli schieramenti tradizionalmente maggioritari in
Europa, ed in particolare in quelli socialisti, nulla di nuovo e di
valido si può ormai proporre, nemmeno per arginare o ridurre l'impatto
rovinoso dell'economia sulla politica?
Essenzialmente un dato emerge con sempre più chiarezza.
Nell'
eurozona in cui manca una valida direzione fiscale e politica delle
iniziative monetarie della BCE, ad essere penalizzati sempre di più
appaiono i partiti di sinistra, in particolare quando agiscono senza un
coordinamento continentale e, seguendo in buona parte interessi
nazionali, in ordine sparso. In altri paesi come la Danimarca tuttora
fuori dell'eurozona, le cose vanno diversamente. Evidentemente la
sovranità monetaria rappresenta un vantaggio per chi propone un
programma basato su investimenti pubblici, energie rinnovabili e fondi a
educazione e sanità. E questo dovrebbe spingerci seriamente a
riflettere sulla opportunità quanto meno di rinegoziare presenza e ruolo
nell'ambito dell'eurozona, specialmente considerando come essa sia
sempre più proiettata verso una centralità economica e finanziaria
continentale e tedesca, e sempre meno orientata verso una valida sponda
di cooperazione e di sviluppo nell'area mediterranea.
L'unico
continente in cui il Socialismo, nei suoi vari e molteplici aspetti,
vince democraticamente e liberamente appare oggi il Sudamerica, a causa
di una concomitanza di fattori positivi:
La
situazione dissestata delle economie dei Paesi dell’area, dovuta in
gran parte alla crescita del debito estero e all’adozione del modello
neoliberale ha determinato una forte reazione politica che ha visto
coinvolti movimenti e personaggi che, dalla opposizione militare e
guerrigliera, hanno saputo reinterpretare il loro ruolo e conquistare
validamente quei consensi che hanno consentito loro di vincere le
competizioni elettorali . Questo anche grazie alla revisione ideologica
di alcuni partiti di sinistra, che ha permesso loro di abbracciare una
fetta più ampia dell’elettorato. La capacità dei partiti e degli
esponenti di sinistra di attrarre il voto di persone che non avevano
mai votato prima è avvenuta soprattutto grazie al forte richiamo
simbolico di alcuni candidati presidenziali.
Naturalmente
tutto ciò è stato favorito dalla grande disponibilità di materie
prime, dalla nazionalizzazione del loro sfruttamento e dall'incremento
di rapporti con i paesi emergenti dell'area BRIC, in particolare con la
Cina.
Nel
Mediterraneo non è impossibile realizzare un ponte con il Sudamerica, e
soprattutto con quei paesi emergenti che validamente hanno come comune
obiettivo la riduzione della povertà e delle disuguaglianze. Programmi
come Chile solidario, Fame zero in Brasile o le Misiones venezuelane
si concentrano sulle fasce più deboli della popolazione, cui si
propongono di offrire – tramite una serie di sussidi – una risposta
alla fame, all’analfabetismo, all’emergenza medica. Lo Stato torna ad
avere un ruolo centrale anche nell’economia. Ciò non sorprende, dato
che anche un recente sondaggio di Latinobarometro ha confermato che i
latinoamericani non hanno molta fiducia nell’economia di mercato e
nelle imprese private. Tali politiche sarebbero cruciali per
risollevare le disastrate condizioni di vari paesi della sponda sud del
Mediterraneo, sottraendoli alla rovina del tribalismo, del
fondamentalismo, del caudillismo e soprattutto del rischio di un caos
sociale e politico permanente dovuto a conflitti endemici senza
soluzione di continuità.
Un'area
mediterranea di libero scambio, di progresso economico oltre che di
sviluppo sociale, sottratta al nazionalismo e alla sudditanza
neocoloniale, sarebbe davvero la carta vincente, soprattutto se
coordinata con altre zone di analoga tendenza nei paesi emergenti e nel
Sudamerica, contro quell'invadenza e quell'offensiva neoliberista e
neocolonialista che, con guerre sempre più rovinose e perduranti, si
sta imponendo dall'inizio del secolo, e che ha come principale scopo
quello di impedire che il commercio delle materie prime, dal
Mediterraneo al Medio Oriente, avvenga non più in dollari ma in euro.
Saddam
e Gheddafi che commerciavano petrolio in cambio di euro sono stati
eliminati soprattutto per questo motivo, e c'è seriamente da
considerare che lo stesso rischio oggi corra l'Iran anche se, in tal
caso, il conflitto assumerebbe le proporzioni di un vero e proprio
Armagheddon.
La
Spagna, però, in tale difficile contingenza globale, pur nella sua
difficile situazione sociale ed economica, e nonostante la cocente
sconfitta socialista, ha saputo dimostrare sicuramente uno slancio, una
dignità e una credibilità in più di altri paesi “fratelli” della
sponda mediterranea come la Grecia e l'Italia, e sebbene non stia
sicuramente meglio di noi italiani, perché ha saputo eleggere un
governo democraticamente, senza subire l'umiliazione “tutoriale” di
governi “alieni e consociativi”, di fatto imposti dalla BCE.
L'Europa
della BCE assomiglia molto a quella carolingia. “Spazza via” chi non
si “converte” alla fede monetaristica ed inaugura un ferreo sistema
di vassallaggio nei rapporti tra economia e politica, specialmente se
trascura la questione cruciale degli eurobond. Ma, in tal senso, non ha
futuro, perché sostanzialmente autoreferenziale ed “utile” soltanto
per dirottare ricchezza dai ceti medi ai grandi “feudatari bancari”.
Un'
Europa mediterranea fa paura a chi vuole usare il “mare nostrum” come
“base militare” di controllo dello sfruttamento delle aree più ricche
di quelle materie prime destinate, nei prossimi anni, a diminuire di
quantità e ad aumentare di prezzo.
Il
Socialismo europeo ha quindi di fronte a sé molti nemici, proprio per
il rischio che esso potrebbe rappresentare se potesse realmente
coordinarsi e sfuggire al dominio delle tendenze neoliberiste e
neocolonialiste. Un rischio talmente grosso da costituire una svolta
epocale.
Ovvio
quindi che si cerchi di sabotarne l'affermazione seminando la
proliferazione di innumerevoli suoi nemici interni che abbiano come
loro missione principale proprio la necessità di dimostrarne
l'inefficacia, l'inconsistenza, la sudditanza ed il suo squilibrio
permanente tra utopismo e massimalismo ideologico a sfondo totalitario.
Nemici
ovviamente perfettamente inseriti nella gerarchia di vassallaggio con
cui il totalitarismo monetaristico neoliberista si sta affermando.
Nemici a tal punto tale, da arrivare a definirlo un “errore
antropologico”, cioè una sorta di contraddizione intrinseca della
natura umana, capovolgendo e misconoscendo completamente il senso
profondo delle radici umanistiche su cui il Socialismo stesso si fonda.
L'Ecosocialismo
libertario invece resta tuttora la risposta migliore che si possa dare
ad una crisi che rischia di aggredire la natura umana nei suoi più
intimi valori fondativi: la libertà, la solidarietà e l'uguaglianza.
In un mondo sempre più minacciato dai dissesti idrogeologici,
strettamente legati a quelle politiche che considerano il territorio
“merce” da utilizzare per fini di profitto, esso più che un'opzione
politica, rappresenta la via della sopravvivenza della specie umana e
la seria possibilità di arrivare indenni alla fine di questo secolo.
Attualmente
abbiamo in Italia una pericolosa alleanza tra quei tecnocrati che lo
considerano una “pericolosa illusione” ed i “gerarchi ecclesiali” che
lo intendono come “errore antropologico”, suffragata dall'utilizzo di
partiti contenitori guidati da vecchi leader “riciclatisi” proprio per
sostenerne l'inconsistenza su scala globale.
Ricostruire
una prospettiva di sviluppo socialista che sia concretamente
libertaria e che contrasti in primo luogo quel totalitarismo dei
mercati che non premia il merito, la competitività e l'innovazione, ma
incentiva piuttosto l'oligopolio, l'obbedienza e la servitù monetaria,
per promuovere una alternativa di emancipazione individuale e
collettiva, è molto difficile, ma non impossibile e, allo stato attuale
dei fatti, non può che risultare come un impegno rivoluzionario sia
nei confronti di vecchi assunti dogmatici veteromarxisti sia contro le
mistificazioni dell'apparato feudale neoliberista.
Solo
alcuni grandi leader che sanno smascherare le trame lobbistiche che si
celano dietro certi governi, e che allo stesso tempo viaggiano,
conoscono ed apprezzano le grandi tendenze innovative che emergono
prepotentemente nel mondo che non subisce passivamente un modello di
globalizzazione a senso unico, possono concretamente restituire anche
nel nostro Paese una possibilità di riscatto nella prospettiva del
Socialismo del XXI secolo.
Non
è difficile, basta solo che “diventino seriamente” ciò che “sono” e,
come tali, si facciano autenticamente e coraggiosamente riconoscere in
ambito europeo e globale.
C.F.
Nessun commento:
Posta un commento