INTERVISTA A NORBERTO FRAGIACOMO
CANDIDATO AL CONSIGLIO COMUNALE DI TRIESTE
Puoi spiegare sinteticamente la situazione della sinistra triestina e perché si è giunti alla formazione di due liste di sinistra (Trieste in comune-Sinistra unita e Trieste a Sinistra), considerando anche il fatto che SEL appoggia la lista del sindaco uscente Roberto Cosolini.
Il
lodevole tentativo di assemblare una “Sinistra Unita” a Trieste, radicalmente
alternativa al PD e capace di mettere in campo un candidato sindaco comune, è
fallito per una concomitanza di ragioni, che di politico (in senso alto) hanno
abbastanza poco.
Il
“tavolo”, convocato stavolta per tempo, ospitava varie forze: PRC e PCd’I, il consigliere
comunale Marino Sossi con i transfughi di SeL, il gruppo del deputato ex 5Stelle
Aris Prodani, una parte della Lista Tsipras (portavoce Marino Calcinari,
proveniente dal PRC), i civatiani e il PSI.
La
prima componente a sfilarsi è stata il PSI, lamentando il rifiuto da parte dei “commensali”
di prendere in considerazione la proposta, avanzata dal segretario Gianfranco Orel,
di sostenere il progetto di una provincia autonoma della Venezia Giulia (per
cui il partito stava raccogliendo firme in vista di un referendum): la rottura
è arrivata via mail – ero presente in sala.
Tra
le altre componenti il dialogo è proseguito, e pareva ben avviato: gli ostacoli
– più di natura “organizzativa” che politica – sembravano superabili, anche
grazie alle insospettate doti diplomatiche rivelate dal padrone di casa, il
segretario del PRC Peter Behrens (le riunioni si svolgevano preso la sede di
Rifondazione e PCd’I, in via Tarabochia). Preciso di aver assistito ad un unico
incontro (mi pare fosse fine febbraio o inizio marzo), dal quale sono uscito
moderatamente ottimista e un po’ annoiato.
Lo
scoglio era rappresentato dalle modalità di scelta della candidatura a Sindaco
(fuori dai denti: dalla gran voglia che taluno aveva di candidarsi). Tre le
opzioni: Iztok Furlanic, sostenuto da PRC e PCd’I, Marino Sossi e Fabio Omero,
ex consigliere PD ed esponente di punta dei civatiani. Dopo lunghi conciliaboli
si sono scartate le idee “estreme” di una nomina concertata al tavolo e di
mini-primarie (troppo evidente il rischio di un flop!), e si è optato per la
costituzione di un’associazione, denominata Trieste
in Comune, l’iscrizione alla quale avrebbe conferito ai compagni
interessati il diritto di votare il candidato preferito.
Sembra
(dico sembra, perché non sono stato testimone diretto degli eventi) che la
proposta sia successivamente caduta per il timore, da parte di alcuni, che l’associazione
potesse venir “colonizzata” dai comunisti, con conseguente vittoria scontata di
Furlanic, ottimo Presidente dell’assemblea nell’ultima consiliatura, ma
considerato "divisivo" per alcuni giudizi su Liberazione e Yugoslavia di Tito cui
Il Piccolo, nel 2015, ha dato estremo e compiaciuto risalto. L’altro punto
caldo era rappresentato dalla Ferriera di Servola, di cui Sossi – ex sindacalista
– auspica la chiusura, ritenuta invece dai comunisti (e dal sottoscritto) un
colpo fatale per la già provata economia triestina.
Sossi
e Prodani sono stati i secondi ad abbandonare – insieme – il tavolo, dando vita
a SI/Sinistra per Trieste, che candida a Palazzo Cheba l’ex sindacalista, cui
va riconosciuto il ruolo di spina nel fianco dell’attuale maggioranza guidata
dal PD. Restavano quattro formazioni: i civatiani hanno giocato il tutto per
tutto lanciando via mail l’aut aut
Omero (personaggio molto attento alla tematica dei diritti civili) o niente. I
due partiti comunisti sono andati avanti per la loro strada, hanno costituito l’associazione
(monca…) e candidato Iztok Furlanic sotto la sigla di Sinistra Unita,
riedizione della vecchia Federazione della Sinistra. Gli altri? I civatiani
hanno dato forfait, il PSI – dopo aver sostenuto il sen. Francesco Russo in
primarie straperse – si sono alleati con i Verdi di Alessandro Claut e supportano
adesso la candidatura Cosolini (PD, ma appoggiato pure dalla maggioranza di
SeL, rimasta agganciata al partito egemone).
Abbiamo
dunque una situazione abbastanza anomala rispetto a quanto accade a livello nazionale: in particolare, la federazione
triestina di SeL è contrapposta a Sinistra Italiana (Sossi ed ex grillini). Complessivamente, l’ennesima occasione persa.
“Consola”
il fatto che gli indipendentisti, capaci di portare in piazza quasi 10 mila
persone tre anni fa, si sono rivelati più litigiosi della Sinistra: concorrono
con tre (!) liste e nessuna chance di arrivare al ballottaggio. A quest’ultimo – in un
quadro ovunque frammentato – possono aspirare Cosolini (favorito ma non troppo), l'ex Sindaco Dipiazza (Centro-destra,
con qualche defezione) e Paolo Menis del M5S. Quest’ultimo è candidato
credibile, ma anche lui ha dovuto vincere un’accanita opposizione interna che
gli preferiva la giovane Paola Sabrina Sabia, moglie di un parlamentare europeo
del Movimento.
Tra i temi più dibattuti c'è
quello della Ferriera, che senz'altro inquina ma dà da mangiare a 4-500
famiglie: l'ipotesi dismissione raccoglie larghi consensi tra candidati a
caccia di voti, ma le soluzioni proposte (c'è chi pensa ad una
ricollocazione nella PA delle maestranze , già sovradimensionata, o addirittura... ai
lavori socialmente utili!) sono, nella migliore delle ipotesi,
dilettantesche.
In ogni caso, una campagna elettorale all'insegna delle ciacole che no fa fritole, che non sembra appassionare granché una cittadinanza preoccupata anzitutto da crisi occupazionale e costante impoverimento.
Le elezioni amministrative hanno sempre una valenza nazionale e in questo contesto non potrebbe essere altrimenti, quali sono le tue previsioni (e le tue speranze) per questo appuntamento elettorale
Sulla valenza nazionale di queste elezioni
amministrative in particolare non nutro alcun dubbio, anche perché - come ho
già scritto su Bandiera Rossa in Movimento - esse costituiscono una sorta di
antipasto del referendum ottobrino, il cui esito verrà senz'altro influenzato
dai risultati di giugno.
Visto
che tra le insidie nascoste nella legge di riforma costituzionale c'è l’abrogazione
di fatto dell'art. 5 della Costituzione ("La Repubblica riconosce e promuove le autonomie
locali...") a seguito della cancellazione/depotenziamento della generalità
degli enti territoriali, e dunque il prepotente affermarsi di un neocentralismo
autoritario ispirato dalle lobby che governano a Bruxelles, ritengo che - per
salvare quel minimo di democrazia che ancora resta - dobbiamo impegnarci tutti
allo spasimo per la vittoria dei NO. Non si tratta solo di mandare a casa
Renzi, Boschi ecc.: si tratta anzitutto di impedire che una pessima e subdola riforma,
non a caso avallata dalla UE e strenuamente difesa da personaggi del calibro di
Napolitano, sia portata a compimento.
In
questa cornice è di fondamentale importanza sfatare il mito della
"invincibilità" elettorale di Matteo Renzi: più che a galvanizzare
chi ha già un idea su riforma ecc., una disfatta del PD alle amministrative servirebbe
a disorientare gli apatici, quei milioni di incerti (voto sì o voto no? oppure
non voto?) che non avendo manco letto il testo non si sono formati alcuna opinione,
e che il premier ha in mente di arruolare a suon di proclami, vanterie e
mancette. Se è vero che - come diceva Longanesi, prove alla mano - gli italiani
corrono sempre in soccorso al vincitore, impedirgli di vincere adesso può
significare un assai più importante successo per noi domani.
La
parola d'ordine, quindi, sia far
perdere il PD, sacrificando magari qualche buon candidato (riconosco, ad
esempio, a Cosolini di essere stato uno dei pochi politici triestini ad
affrontare con equilibrio e senza meschine furberie la questione Ferriera,
risorsa strategica per la città e per il Paese) al superiore interesse della
salvaguardia di quanto di buono c'è in Costituzione.
Concludo dicendo che non penso la mia speranza di un crollo elettorale
del PD sia campata in aria: Renzi, in altre faccende affaccendato, ha
inizialmente sottovalutato il possibile impatto delle amministrative,
disimpegnandosi e consentendo la presentazione di candidature a perdere, come
quelle dell'iperliberista Giachetti a Roma o di un'autentica carneade a Napoli. A Milano, poi,
Sala – incapace di entusiasmare anche il più superficiale tra gli elettori di
sinistra - se la gioca alla pari con Parisi: se nelle tre principali città del
Paese dovessero affermarsi altre forze la probabile riconferma di Fassino a Torino
(quarto centro con più di un milione di abitanti) non attenuerebbe la gravità
della sconfitta.
a cura di Stefano Santarelli
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